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LA REALTÀ DELLA REALTÀ. COMUNICAZIONE, DISINFORMAZIONE, CONFUSIONE

Paul Watzlawick

Mi avvicinai a Watzlawick durante la mia tesi di laurea in filosofia del linguaggio ma a suo tempo non lo considerai eccessivamente rilevante da introdurre come ulteriore elemento alla già troppo grossa bibliografia che dovevo gestire quindi, intellettualmente, fu un avvicinamento temporaneo. Ora ho deciso di prenderlo in mano ma senza passare per il troppo grosso Pragmatica della comunicazione umana mentre questo testo mi è parso più riassuntivo e saggistico. Per capire il pensiero Watzlawick bisogna capire innanzitutto chi è: austriaco, laureato in filosofia a Ca' Foscari a Venezia, successivamente specializzato in psicologia analitica junghiana, quindi trasferitosi alla Scuola di Palo Alto. Tenendo conto che la Scuola di Palo Alto era figlia della psicologia della Gestalt quindi dello stesso sfondo europeo continentale della psicoanalisi, della filosofia, dell'umanesimo, si capisce che l'approccio sia tutto particolare. E' una psicologia che si sofferma sui sintomi senza voler scendere nella profondità delle cause, si fonda sull'individuo e sulla sua terapia affinché sia il più breve possibile. E' difficile capire una cosa simile qui da noi dove la psicologia è vista come qualcosa da cui tenersi lontani altrimenti si è pazzi, strano a dirsi, nasce praticamente da noi ma ancora non l'abbiamo assimilata nella nostra vita quotidiana. Rimanendo nella formazione della Gestalt, rimane in una situazione "superficiale" non intendendo con questo termine una caratterizzazione qualitativa bensì quantitativa: si rimane nei sintomi, e arrivando alla teoria della comunicazione di cui Watzlawick è portabandiera si rimane al parlato tout court senza scendere in Teorie del Significato. Un esempio è, a proposito del capitolo sulla confusione, l'esempio della randomizzazione: Watzlawick riporta che se un programma che genera numeri casuali di colpo riporta la serie 0123456789 allora il primo pensiero è che l'algoritmo di randomizzazione ha un errore; oppure, ancora più chiaro, se una randomizzazione di estrazione di numeri riporta il numero 2 con un'incidenza troppo alta sui valori predetti statisticamente, si potrà introdurre una modifica per ridurre la casualità del 2, ovviamente però questo interverrà sulla randomizzazione che non sarà più propriamente tale e che potrà invece portare a valori sballati in una futura nuova analisi statistica. E' corretto, ma a mio avviso e obiettivamente il fatto che una randomizzazione possa dare una serie non implica che la randomizzazione sia errata; se la famosa scimmia che batte su una tastiera per un tempo infinito produrrà prima o poi un testo uguale alla Divina Commedia, non vuol dire che la scimmia ha scritto la divina commedia. Come si vede è una variazione semantica, oltre al fatto che la statistica che evidenzia una eccessiva incidenza del numero due fa un confronto tra un dato singolo e una valorizzazione di statistica media. Questo non significa che Watzlawick sbaglia, sia mai che io lo pretenda di "smontarlo": evidenzia però l'approccio differente. Watzlawick ha come base la Gestalt, la forma, la percezione diretta, l'esperienza sensibile. Che qualcosa, come la serie ordinata generata dal randomizzatore, possa avere risvolti successivi dovuta alla confusione che genera, ecco, questo è la base su cui si muove Watzlawick: perché, se io non sono informato sul fatto che ad elaborarla è stato un randomizzatore, vedendo una serie ordinata penserò a qualsiasi cosa ma mai a qualcosa di casuale ed andrò a cercare un ordine. A Watzlawick interessa più il cosa implica, invece che il da cosa è dovuto. Portando il discorso alla comunicazione, è chiaro che un errore come quello sopra può portare una persona ad andare a cercare una teoria che giustifichi l'informazione che gli viene data ed è anche probabile che una teoria egli trovi, in qualche modo; e questa teoria sarà la sua realtà, che però sarà differente dalla realtà che ha prodotto la serie. Se un randomizzatore sforna per caso dal 10° al 20° numero decimale del pi greco, rimane una serie casuale perché generata da un randomizzatore; ma se fornisco questi numeri a un matematico lui non dirà che sono casuali ma troverà la formula matematica che li genera. Si ottengono dunque due visioni reali ma contraddittorie, una puramente casuale e una puramente deterministica/nata. E' questo che Watzlawick mostra, ed è questo che giustifica il senso di tutto il libro: "La credenza che la realtà che ognuno vede sia l'unica realtà è la più pericolosa delle illusioni". D'altro canto, è forte la formazione filosofica del nostro poiché in linea generale sorregge la forma del suo discorso: un ragionamento prettamente teoretico, il linguaggio utilizzato come strumento. Non c'è dubbio che Watzlawick, sotto questo aspetto, è un filosofo e vi diventa chiaro se siete filosofi e soprattutto nel momento in cui arrivate al capitolo "Le minacce". Questo impianto filosofico è ben utilizzando per non sfociare nella retorica tipica di molta filosofia, ma è più simile alla filosofia analitica di stampo linguistico.
Se non si sa già questo assunto, leggere questo libro vi risulterà confuso quasi inutile ed è il motivo per cui è un libro dedicato a personale specializzato anche se è un libro piuttosto divulgativo e veramente scritto in maniera eccelsa. Non è però un libro di filosofia del linguaggio, né un libro di teoria del linguaggio, né da un punto di vista psicologico né antropologico né di teoria psicologia, bensì un libro di pragmatica del linguaggio e dal punto di vista della clinica. Ciò non lo rende oggettivamente sbagliato, errato, tendenzioso o altro, bensì è un libro con una ben definita impostazione teorica di base.
A questo punto però, dopo l'oggettivo, viene il soggettivo: personalmente, non appoggio questo approccio. Il motivo è che è limitativo a livello teorico: se vogliamo discutere di comunicazione, terapia, psicologia, linguaggio e comunicazione dobbiamo obbligatoriamente considerarne tutti gli aspetti e svolgere un'indagine, mentre con un punto di vista come questo si ha una ricerca teleologicamente strutturata: il fine è appunto, secondo la scuola di Watzlawick, una terapia il più breve possibile quindi dovrà esulare da determinati approfondimenti ma anche da determinati statuti consolidati per raggiungere il suo scopo nel suo più breve tempo possibile. Facciamo un esempio: ho un orologio da polso con il quadrante ruotato di alcuni gradi quindi le lancette che alle 12:30 dovrebbero essere perpendicolari al mio braccio, in realtà segnano le 11:40. Inoltre, ogni 24 ore avanza di 10 minuti, non si sa perché. Bene: un approccio scientifico (psicologia) vero e proprio smonterebbe l'orologio per controllare cos'è successo, sistemare il quadrante e sistemare il meccanismo; un approccio pratico (pragmatico, terapeutico breve) uniformerebbe il movimento delle lancette col quadrante storto e mi consiglierebbe di spostare le lancette indietro di 10 minuti ogni giorno. In entrambi i casi otterrei che l'orologio tornerebbe ad essere utilizzabile, mi sarebbe utile, potrei usarlo per la vita di tutti i giorni, cosa che costituisce appunto lo scopo di una terapia. Tuttavia l'orologio resterebbe un orologio rotto; semplicemente, un orologio funziona quando risponde ai requisiti pratici, ovvero quando segna la stessa ora di tutti gli altri, cosa che costituisce la normalità. Ho fatto questo esempio perché io, per molti anni, più di dieci, ho tenuto regolarmente l'orologio sfasato di 6 ore indietro: l'ho fatto perché mi accadde qualcosa che reputai importante e volevo che qualcosa (a quei tempi ero giovane e di certo non potevo farmi un tatuaggio) mi ricordasse ogni giorno quel particolare fatto. L'orologio funzionava bene e non ho mai avuto problemi di orario, tranne nei casi in cui non avevo il mio e dovevo utilizzare un orologio diverso, ad esempio quello di un campanile; se ero di fretta pativo ovviamente qualche secondo di smarrimento, del resto è per quel motivo che avevo scelto sei ore di differenza, ovvero perché sono facili da interpretare e correggere all'occasione. Fossero state solo due, ad esempio, avrei avuto problemi, ma il punto è che il mio orologio era perfettamente utile allo scopo di indicare a me l'ora ed aveva un certo grado di concordanza con tutti gli altri orologio.
Watzlawick fa un discorso all'incirca simile con la comunicazione e del resto il suo capolavoro, nonché questo stesso libro, insiste sulla pragmatica della comunicazione, con un genitivo che può oscillare tranquillamente tra il soggettivo e l'oggettivo. Del resto a livello pragmatico persino la frenologia a volte c'azzecca e spesso, nella vita di tutti i giorni (ovvero pragmaticamente) può tornare utile. Con questo si cade nel vasto mondo delle teorie ingenue che sono indubbiamente utili e immancabile nella nostra vita: l'anziano è saggio, il bambino è innocente, e via dicendo. Nel momento in cui l'uomo ha capito che poteva utilizzare per scopi pratici il movimento del Sole ha fatto un bel balzo nella sua evoluzione e conoscenza del mondo, e l'utilità immensa di queste conoscenze che ha acquisito è rimasta intaccata dalla successiva scoperta che in realtà è la Terra a girare attorno al Sole.
Quando Watzlawick parla dell'esperimento di Solomon Asch sul conformismo sociale fa un discorso che è pienamente corretto ma evita di sottolineare la ovvia utilità del conformismo sociale: se siamo in una piazza e tutti cominciano a correre in una direzione specifica, è probabile che lo faremo anche noi e ciò, nel caso di un attentato terroristico, potrebbe salvarci la vita. E' chiaro che da un punto di vista della sopravvivenza il conformismo sociale ha dei vantaggi, ma dal punto di vista della comunicazione può avere enormi svantaggi soprattutto quando è manipolato. Watzlawick non sottolinea questo punto non perché sia tendenzioso, ma perché non pertiene alla scopo di questo libro, del resto chi legge questo libro senza avere una qualche base alle spalle piuttosto vasta anche magari approssimativa (come la mia) di psicologia in senso lato, non capirebbe una fava ed anzi, otterrebbe delle conclusioni piuttosto errate. Restando valido il fatto che per tutta l'opera l'oggetto di Watzlawick rimane la comunicazione, in vario aspetti ed ambiti, ma sempre e solo la comunicazione. Quindi un esperimento, un fatto, una metafora, una racconto sono presi e considerati solo per quanto riguarda la loro dimensione comunicativa pragmatica, non linquistica, non semantica, non ontologica, non logico formale, non teoretica, non scientifica.
Simile è anche l'interessantissimo esperimento di Bavelas presente nel primo capitolo dove due soggetti devono imparare a riconoscere determinati tipi di elementi (mi pare molecole) semplicemente guardandone serie di diapositive e premendo dei pulsanti di risposta cui segue un segnale che indica se essa è corretta o meno. A un soggetto vengono date le valutazioni corrette alle sue risposte, mentre all'altro vengono date le stesse valutazioni del primo soggetto anche se ha diapositive scorrette; insomma, vengono date valutazioni casuali (e in questo caso si potrebbe riprendere il discorso sulla randomizzazione fatto prima perché qui le valutazioni sono razionale se osservate per i risultati del primo soggetto, casuali per i risultati del secondo soggetto, ma lasciamo pure perdere la relatività). Il secondo soggetto ovviamente pensa che le valutazioni vengano date correttamente quindi, quando si scontrano con le sue opinioni che hanno generato le sue risposte, dovrà piegare queste opinioni per adeguarle alle valutazioni e dovrà quindi trovarvi delle motivazioni, costruire un'altra realtà che dovrà giustificare più di quanto deve fare il primo soggetto. Se ad esempio io un test sul riconoscimento dei colori ottengo come risposta "verde" quando io segnalo "rosso" dovrò trovare una motivazione al mio errore, essendo la valutazione fornita da personale più qualificato di me, quindi dovrò aggiungere informazioni. In questo modo il secondo soggetto ha più teorie e riflessioni rispetto a quante ne abbia il primo soggetto che riscontrava invece concordanza tra la sua percezione e quella delle valutazioni. Il paradosso è che, messi assieme a discutere, la più ampia teorizzazione del secondo soggetto pervaderà anche il primo soggetto che, riposto davanti al test, comincerà a sbagliare poiché si adeguerà alla teoria del primo soggetto, o meglio crederà meno alla propria esperienza personale, e non perché la teoria del secondo soggetto fosse più vera ma semplicemente perché era più vasta; paradossalmente, il secondo soggetto, ripetendo l'esperimento, nonostante il confronto avuto con il primo soggetto, permane nelle sue teorie. Quindi la ripetizione dell'esperimento porta il primo soggetto a peggiorare le sue prestazione, ma il secondo soggetto a non migliorarle.
Come nell'esperimento di Asch, viene dunque sottolineata la tendenza a conformarsi tipica dell'intelligenza e forse non solo di quella umana. Del resto nasce probabilmente dalla stessa base che tutti credono alla correttezza della Teoria della Relatività anche se ben pochi la conoscono veramente, nonché al fatto che tutti crediamo all'esistenza dei buchi neri anche se nemmeno i diretti interessati ne hanno alcuna esperienza (così è per la definizione stessa del buco nero). Si chiama Effetto Forer o Effetto Barnum ed è una tendenza che forse facciamo meglio a ringraziare di averla piuttosto che il contrario, ma dal punto di vista della comunicazione ovvero di Watzlawick (o meglio, dal punto di vista della manipolabilità della comunicazione) è una tragedia.
La realtà è individuale ed è percezione; se intersoggettiva, è comunicazione. Ampliando il discorso per quanto riguarda la verità, è solo tradizione, come disse Bernhard e qui è ancora più credibile se considerato da un impianto teorico come quello di Watzlawick.
L'unico dubbio che ho è se classificarlo come libro di psicologia o di filosofia ma penso che, nonostante l'impianto pratico e la bibliografia scientifica, sia il metodo (teoretico linguistico) sia lo stile (richiami a letteratura, religioni, ecc.) propendano per la seconda.
Il capitolo sulle possibilità e metodologie di comunicazione con animali e soprattutto con eventuali alieni vagola ebete dal romanticismo fantasioso alla fantascienza nuda e cruda; peccato. Watzlawick si è sfortunatamente lasciato andare alla logorrea editoriale abbandonando ogni epifania di criticismo obiettivo. Passiamo dai delfini che dicono "ciao mamma" ad astronavi aliene che per 11000 anni hanno parlato la Terra e appena l'uomo è diventato interessante sono fuggite lasciandoci messaggi ancora più critici dei cerchi nel grano. Tutto l'ultimo capitolo sulle comunicazione è, nel complesso ovvero a parte rari paragrafi interessanti ma superficiali, uno sproloquio sul nulla che non è neanche classificabile come filosofia. Quella sui delfini è proprio assurda perché dà quasi scontate ricerche che erano in corso e poi ridimensionate; senza nulla togliere ai delfini, sia chiaro, ma forse Watzlawick non sapeva ancora che l'assistente di Lilly come metodo scientifico per superare uno stress fece una sega a un delfino (verificate pure).
Le mie recensioni libro sono spesso scritte durante la lettura e non revisionate quindi raramente per intero considerano tutto il libro, ammetto che in questo caso se l'avessi letto tutto dall'inizio non sarei stato perlopiù buono come ho fatto. È sinceramente un libro con molto punti interessanti e spunti di riflessione ed approfondimento ma paradossalmente la bibliografia è quasi meglio del suo contenuto. Oltretutto la perdita di fondamenta è progressiva, e durante la lettura il mio giudizio sul libro calava sempre più. Con voto 3/5 avviso anche che sono stato bravo, vale quanto un "ha capacità ma non si impegna".

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