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Il Bostro e la filosofia

Se volete potete leggere i miei appunti di storia della filosofia oppure controllare quali libri di filosofia sono presenti nel mio database libri o dare un'occhiata a citazioni e aforismi di filosofia
Il Bostro, come saprete bene, è un filosofo. Anzi: il Bostro-X è il filosofo.
Per l'esattezza, il Bostro è un Filosofo del Linguaggio. Si è regolarmente laureato alla Universitas Venetiarum in Domo Foscari col voto di 110 e Lode (un genio insomma). Senza alcuna modestia lo ammetto: sono stato un gran studioso, ed a parte due 27 e due 28, i restanti esami avevano tutti come votazione 30 oppure 30 e lode!
Devo ammettere che due anni di insonnia hanno fatto la differenza: avere a disposizione 20 ore al giorno disponibili per lo studio non è male. Niente figa, poi, ed il gioco e fatto! E' comunque un privilegio che al momento giusto vi presenta il conto.
Ricorda ancora quelle terribili pillole enormi che ogni tanto prendevo per sprofondare in un sonno terrificante ed allucinato, scosso da incubi bestiali che si ricorda con paura anche il mio compagni di stanza.
In questa sede voglio tracciare le linee fondamentali della cosiddetta Filosofia del linguaggio, branca filosofica che si divide principalmente in due percorsi, piuttosto differenti nel metodo ma nonnell'oggetto di studio. Esse sono la Filosofia Continentale (prevalentemente europea) e la Filosofia Analitica (prevalentemente americana - la vera e propria materia del Bostro).
La filosofia continentale ha un'impostazione di base derivata dalla filosofia classica, ed è un'evoluzione diretta dell'ermeneutica filosofica iniziata da Heidegger e successivamente portata avanti da Gadamer.
E' importante, come la filosofia da sempre insegna, non cadere nello schematismo, che per lo più è sempre un prodotto di un tipo di indagine filosofica storicista, quella che oggi per lo più va di moda in Europa e che il Bostro combatterà per sempre.
Intendevo comunque dire che non bisogna contrappore definitivamente e radicalmente le due materie, perché molti sono i parallelismi, molti anche i punti di incontro e (sarebbero) molti gli spunti ottenibili da una collaborazione. Sono stati avanzati notevoli parallelismi persino tra alcune indagini di Hans Georg Gadamer ed il grande analitico Donald Davidson (da poco scomparso. Pace all'anima sua).
Resta il fatto innegabile che la filosofia di matrice continentale ha più prossimità con la metafisica, l'indagine sull'essere ed anche il metodo d'analisi è "classico". La filosofia analitica, invece, fa maggiormente capo ad influssi derivanti direttamente dalla matematica, dalla psicologia cognitiva, dal connessionismo, dalla logica, nonché da una costellazione di filosofi del primo novecento che ha lasciato un marchio indelebile nella storia della filosofia. In primis il grande e celeberrimo Ludwig Wittgenstein.

LA FILOSOFIA ANALITICA DEL LINGUAGGIO

La filosofia analitica (che non si identifica appieno con "Filosofia del linguaggio", piuttosto né è una branca e, comunque, a detta di molti, la branca più completa) è una disciplina filosofica prettamente novecentesca.
Seppur ci sia sempre stato un interesse filosofico nei confronti del linguaggio, anche da parte dei filosofi classici greci, il linguaggio come oggetto di studio sistematico ed indipendente, come cominciamento dello studio sia come oggetto sia come metodo - sebbene, dunque, i filosofi si siano sempre accorti che un oggetto è, in definitiva, per noi solo un concetto, la filosofia del linguaggio e nata nel XX secolo, tra la fine del 1800 e l'inizio del 1900.
La materia è ardua, e chi vuole dedicarsi al suo studio deve essere preparato ad affrontare la Logica Formale, basi di Matematica Teorica, Scienze Cognitive, Linguistica Moderna e, oltre comunque a tutto l'armamentario filosofico classico, per lo più Ermeneutica e Filosofia della Scienza, come anche la Semiotica del resto. A questo punto... potrà cominciare a studiare la Filosofia del Linguaggio, e la Filosofia Analitica ovviamente.
Si può dire che l'inizio della filosofia analitica coincida con il saggio Senso e Denotazione di Gottlob Frege, un matematico nato nel 1848 e morto nel 1925: il saggio è datato 1892. L'interrogativo principale è il seguente: che rapporto c'è tra le parole che utilizziamo e ciò che significano?
La prima distinzione è dunque quella tra il significato e la parola (per cui - parte de - il significato è detto "Denotazione", ossia è la cosa che la parola denota, indica), e la distinzione tra la parola ed il suo concetto, ovvero tra la manifestazione sensibile della parola e ciò che... significa! La parola, infatti, ha molte forme, date dalle lingue, dai sinonimi, dalle differenziazioni dialettali...
Si badi, a questo punto non c'è circolarità, anche se può sembrare: c'è semplicemente una nebbiosità dei termini ma che non è causata da Frege, bensì (e qui entra in campo un altro grande oggetto della filosofia analitica) è data dal linguaggio comune, ordinario, ossia il linguaggio che usiamo tutti i giorni per comprare il pane, ordinare birra al bar, corteggiare una ragazza, litigare...
Non è questa una novità: si pensi che la poesia gioca molto su ciò. Se infatti una parola si identificasse in toto col suo significato, completamente e senza eccezioni, avremmo noi possibilità di identificare l'espressione frequente nei sonetti di Petrarca "L'aura" (=l'aria) con "Laura (la donna amata)? E quando qualcuno mi parla, e pronuncia una parola al posto di un'altra, potremmo noi udire la parola sbagliata ed intendere invece la corretta? Eppure succede tutti i giorni.
"Senso" indica dunque, in Frege, proprio la molteplicità di modi, di parole, con cui è possibile denotare un significato. Frege gioca sul doppio nome che ha il pianeta Venere nel linguaggio quotidiano: Vespero in quanto stella della sera, Lucifero in quanto stella del mattino. Venere ne è la denotazione:
A partire da questo saggio nacque la Filosofia Analitica, caratterizzata proprio da questi temi, che riepilogo.
  • linguaggio;
  • lingue naturali;
  • lingue artificiali;
  • significato;
  • significare;
  • concetto;
  • comprensione;
  • interpretazione;
  • Apparve dunque chiaro che lo strumento principe di secoli e secoli di indagini, il linguaggio, era... impreciso; poco affidabile. Poco affidabile senza un'analisi, disse qualcuno; altri dissero senza una risistemazione. Certo, va bene per comprare il pane, per parlare al bar, per fare molte cose, ma se deve occuparsi di scienza diventa inopportuno. Fu così che alcuni decisero persino di riassestare il linguaggio ordinario per crearne uno nuovo per la scienza, le scienze avevano bisogno di strumenti precisi perché devono essere precise. Frege stesso cominciò la costruzione di un nuovo linguaggio.
    Ora però, con questo tema, emerge un vero e proprio eroe della filosofia in generale ed il pioniere principale della filosofia del linguaggio: una persona che fu, per questa materia, ciò che fu Einstein per la fisica, Freud per la psicologia, Schoenberg per la musica. Sto parlando di Ludwig Wittgenstein e del suo Tractatus Logico-philosophicus. Farne un riepilogo qui è praticamente impossibile: si pensi che è un libro di, mi pare, circa 50 pagine, ma per comprenderlo appieno bisogna appoggiarsi ad un manuale come la "Introduzione al Tracuatus di Wittgenstein" di di G. E. Anscombe come minimo (Ed. Astrolabio), di circa 200 pagine!
    Basti fare un accenno alla sua struttura. Il Tractatus tenta di definire la forma delle proposizioni scientifiche, ossia di definire il linguaggio entro limiti precisi affinché riesca ad essere usato per la Scienza (con la "S" maiuscola, si badi!). Per questo, esso comincia dalla sua fine, ossia viene steso usando non un discorso continuo ed usuale, ma un criterio legato principalmente alla logica formale, quindi a proposizioni già scientifiche. Altrimenti, come si sarebbe potuto fare? Questo libro, dice Wittgenstein alla fine, è come una scala, che ci porta più in alto e, una volta che ci siamo giunti, non serve più e possiamo anche gettarla.
    Ogni proposizione ha un numero identificativo, ed è spiegata o definita o interpretata da sottoproposizione numerate a gruppi. Avremo quindi la proposizione 1, poi la 1.1 come spiegazione della 1, poi la 1.1.2 a spiegazione della 1.1, poi la 1.2 seguente la 1.1 e spiegante la 1, e via dicendo.
    In totale, comunque, il Tractatus consta di sole 7 proposizioni fondamentali, che possono anche essere prese singolarmente una volta che si sia ben fagocitato tutto il libro, sia chiaro.
    Il libro pone quindi dei limiti al linguaggio e ciò che va oltre è l'ineffabile, che, sia chiaro, non è ciò che non esiste, non è una fantasia, un oppio, ma ciò che non ha parole che possano dirlo. Wittgenstein è sempre stato attento alla sfera Etica della filosofia e, in primis, della vita: era per lui quasi l'oggetto primario di ogni riflessione.
    Per questo la settima proposizione è la seguente, immortale:
    Di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere
    In realtà i limiti del linguaggio che lui tracciò servirono in negativo proprio a chiarire qual'è l'ambito della morale. In effetti, ce lo testimonia la vita stessa del filosofo che, dopo la pubblicazione del volumetto, si ritirò completamente dalla vita filosofica e dalla vita sociale.
    Col tempo emersero svariate contraddizioni nel Tractatus, originate dalle testi fondamentali di questo libro, e la pubblicazione anni dopo di un altro grandioso libro intitolato Ricerche Filosofiche ne consacrò la definitiva morte. Il paradosso èche questo libro... fu pubblicato da Wittgenstein stesso! Già proprio lui fu il maggior critico delle sue tesi, ed anche questa volta costruì definitivamente ciò che caratterizza ancora oggi la filosofia del linguaggio: l'analisi del linguaggio conune.
    In questo libro Wittgenstein disse che il linguaggio è un gioco linguistico, costituito di giochi linguistici, che può far parte di altri giochi linguistici di un altro gioco linguistico... Insomma: non c'è il linguaggio, ma ci sono i giochi linguistici..
    La nozione di "gioco" qui utilizzata non è quella più usuale; oddio, in certo modo lo è. La Teoria dei Giochi è la disciplina nata principalmente in economia, ma che ha avuto grande influsso in matematica e via via in ogni branca della Scienza, che ha per oggetto problemi di interazione strategica tra decisori razionali, con obiettivi non necessariamente identici, e persino contrastanti. Da molto l'interesse di antropologi, psicologi, filosofi e via dicendo si era spostato verso il gioco, ed esiste per questo argomento un bellissimo libro di Johan Huizinga, "Homo Ludens" interamente dedicato a questo argomento.
    Il gioco è particolare perché:
  • C'è un obiettivo;
  • I giocatori sono razionali, anchese non sempre il perseguimento dell'obiettivo è razionale;
  • Non c'è necessariamente identità di obiettivi tra i giocatori;
  • Ci sono regole;
  • Queste regole sono state fatte esclusivamente per il gioco; anzi, il gioco è queste regole;
  • Per questo motivo, non c'è una regola che dica che le regole non possono essere infrante;
  • Una regola infranta dà spesso vita ad un nuovo gioco;
  • I giochi reali rispecchiano quasi sempre qualche ambito della vita;
  • Wittgenstein nota che tutte queste caratteristiche avvicinano al gioco il linguaggio ordinario, e comunque tutte criticano il linguaggio definito nel Tractatus perché formano, come dire, un nebbioso sistema ricorsivo. Eppure funziona!
    Da questo momento in poi nacque, a mio parere, la moderna filosofia del linguaggio, disciplina parascientifica poco diffusa in Italia in cui, aimé, vige una politica filosofica che impone una (alla Marzullo) filosofia politica/politicizzata. O meglio, impone filosofi politicizzati. E non basta essere di sinistra, sia chiaro: bisogna schierarsi con determinazione a sinistra. E vonde! E così i nostri cari sapienti, col loro mega-stipendio decidono tutto, tanto la filosofia per questo va bene perché non ha esperimento, ed anche le porcate, se le sai esporre bene ad uno stupido, diventano ai suoi occhi meraviglie indicibili!
    Provate a fare una ricerca dei libri di filosofi italiani: vi verrà da ridere a leggerne i titolo. A parte il grande EMANUELE SEVERINO c'è ben poco di filosofico in loro.
    Invece, la filosofia analitica con professionalità e modernità ha saputo ritrovare, negli U.S.A. soprattutto, quell'identità perduta della filosofia che a tutt'oggi le permette di coesistere a fianco delle scienze ed anzi, di dialogare con loro.

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