Santo dio ma quanto bene scrive quest'uomo? La sua semplicità è così... semplice, così pulita, eppure riesce ad essere così piena ed evocativa. Senza particolari artifici quando fa parlare un ragazzino, lo fa parlare come un ragazzino: le domande sono semplici, nella sua vita i dubbi e i pericoli sono pochi, è ancora giovane e il mondo di cui parla lo vede così. Tutta la prima parte di questo libro è autobiografica e ci mostra Jamie bambino, ragazzino, ragazzo, poi adulto attraverso i suoi percorsi di conquista della libertà, di scoperta del sesso, di crescita personale con la musica, di difficoltà sociali all'università, di discesa nell'inferno della droga e della devastazione delle tragedie che accorrono ai suoi cari. Gli anni passano mentre King non vuole usare particolari metafore o figure retoriche o parafrasi o artifici stilistici particolari ma è semplice e diretto ma proprio qui è la sua forza, come ho già evidenziato in quasi tutti gli altri suoi libri. La sua capacità di adattare la narrazione all'evento in corso ma soprattutto alla persona "narrata" in quel momento è magistrale come pure la sua capacità di cantare (letteralmente) la natura che in questo romanzo si affaccia, oltreché coi fulmini, anche con l'afa estiva, la neve dell'inverno, le foglie che cadono d'autunno. Perla assieme al resto delle perle di questo libro: è una grande epopea Rock e dichiarazione d'amore al Rock. Jamie, il protagonista, è un chitarrista rock e nonostante tutte le deviazioni che ci sono in questo libro, il tema principale, il vero protagonista, è il rock.
L'unico problema che spesso ha Stephen King è il finale o meglio, il voler infilare il tenebroso, l'orrore, anche quando non c'entrerebbe nulla, e questo è un caso emblematico. L'Anno dello Scorpione è un altro caso simile che però si trascina ancora più a lungo, mentre qui King ha proprio toppato. Sarebbe stato un bellissimo libro biografico sulla nostalgia della gioventù che se ne vola via coi suoi misteri e le sue meraviglie, com'è Il Corpo di Stagioni Diverse: invece ci ha voluto mettere il magico peraltro lovecraftiano e, sebbene scritto bene con una bella tensione, sembrano quasi due narrazioni totalmente differenti. Come se il Jamie iniziale, e Charles Jacobs stesso, fossero solo due omonimi dei due personaggi finali.
Nonostante questa ricaduta, non me la sento di sconsigliarlo né di criticarlo o abbassarne il valore ma semplicemente mi piacerebbe dare una pacca sulla spalla a King e dirgli "Ou, non cagare fuori dalla tazza quando arrivi al finale".
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