La scelta di creare un romanzo a partire da un personaggio reale è una scelta eticamente discutibile, ma se lo scopo è narrare in maniera godibile una biografia posso anche comprenderla; se invece ciò che si crea è un vero romanzo, ovvero una storia inventata, è una scelta che critico. In questo caso abbiamo la seconda eventualità e crea indubbiamente confusione: quanto c'è di vero in ciò che Maurensig ci racconta su Morphy, dato che la narrazione - peraltro in prima persona - coinvolge tutta la vita del leggendario scacchista dalla prima giovinezza al giorno della morte? Quanto è stato derivato da ricerche dell'autore e quanto è stato inventato? Maurensig non ce lo dice lasciandoci una vicenda nebulosa, ma a questo punto mi chiedo: perché farlo? Non mi piace per nulla come scelta, la critico perché pare quasi che titolare tutto a Morphy sia sfruttarne il nome. Perché non fare, a questo punto, un romanzo vero e proprio con personaggi totalmente inventati?
A parte questa scelta, la narrazione non è male, è buona, Maurensig sa usare l'italiano, c'è quella cura dei vocaboli che difficilmente si ritrova in un libro tradotto da altre lingue, sebbene la tiri un po' troppo volendo dimostrare una padronanza dell'italiano che sicuramente c'è ma si perde un po' mancando alla storia una solida spina dorsale. Non vi ho trovato molto che mi sia rimasto impresso, frasi, citazioni, vicende particolarmente simboliche che possano uscire dal libro e restare nel lettore come un insegnamento. Paradossalmente Maurensig ha utilizzato una persona reale per creare un romanzo, ma questo porta il racconto ad essere in alcuni punti un po' noioso. Una volta concluso, non ci resta nulla: né di Morphy-vero, né di Morphy-romanzato, né della vicenda in sè.
Un libro che si salva abbastanza solo per la bravura dello scrittore che però con la lingua osa un po' troppo a ricercare una narrazione abbastanza curata a volte un po' troppo autoreferenziale, ma che soprattutto pecca per narrazione e contenuti, il peccato originale di aver voluto sfruttare il nome di una persona storicamente reale senza farne poi un mito o una narrazione da saggistica biografica lo rende piuttosto vuoto.
Vuole affrontare i temi degli Stati Uniti del sud con lo schiavismo, della nobiltà in decadenza, della solidità culturale della musica, dell'internazionalità dell'arte e dei problemi del gioco quando diventa ossessione, ma sono tutti temi accennati e poi lasciati lì, senza una morale ma neanche senza approfondimento.
Può essere curioso da leggere e anche gradevole per passare qualche serata, ma se di scacchi non sapete nulla vi manca ancora di più motivazione per affrontarlo. Ha rovinato il ricordo che ho del suo La Variante di Luneburg.
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