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IL MAESTRO DI GO

Yasunari Kawabata

Più di trent'anni fa (ero alle superiori) lessi un romanzo ambiguo, Quattro pezzi di giada di Eric van Lustbader. Ho il dubbio di non averlo mai concluso, bravo scrittore (arrivai a quel libro dal magnifico Ninja) ma con qualche paranoia legata alla sessualità che rendono quei suoi libri intrisi di scene vilentemente sessuali, a volte persino senza un perché. Fatto sta che in questo romanzo scoprii per la prima volta il Go, gioco che noi occidentali "sappiamo" essere giapponese ma che invece è cinese. A suo tempo nient'altro si poteva trovare riguardo il Go (e oggi poco più), non c'era internet ma per fortuna mio padre ci ha sempre obbligato a usare l'enciclopedia e forse lì riuscii a trovare qualche informazione in merito, oppure nella solita biblioteca che fin da bambino è stata un luogo per me tanto amato quanto magico, fatto sta che tra Lustbader e queste altre probabili fonti riuscii a capire un po' il senso base del gioco e ad immaginarmelo, costruendo qualche reticolo nei quaderni per capire il senso di questo gioco così strano. Dico "strano" perché così mi apparve in Quattro pezzi di giada dove il Go è altamente cerimoniale e quasi metafisico, con personaggi che ci giocano da soli e mosse che durano ore; la verità è che proprio così è questo gioco, probabilmente soprattutto nella sua flessione nipponica essendo questo popolo molto attento al cerimoniale e ai meta-significati che si possono attribuire ad ogni azione. Quando comparve internet una tra le mie prime ricerche riguardò proprio questo gioco ma in breve tempo lasciai perdere, erano anni di altri interessi: la filosofia, la musica, la letteratura, l'amore e l'alcol, poi le moto e i viaggi, ma oggi la mia vita è cambiata ed è molto limitata e, quando (ri)cominciai a pensare agli scacchi immediatamente mi tornò in mente quel reticolo amorfo costellato di pietrine amorfe. Lo sto un po' guardando ancora da lontano, ma perché - come faccio sempre - non cominciare a studiare qualcosa partendo dalla letteratura?
Be, tornando al libro, non mi ha fatto impazzire. E' assurdo. In sostanza è la cronaca fatta realmente da Kawabata per il giornale che aveva sponsorizzato una celebre partita di Go giocata nel 1938 tra il maestro Hon'inbō Shūsai (definito "anziano" nonostante i soli 65 anni!) e Minoru Kitani  (cui nel libro ha cambiato nome in Otake, non si sa perché). Tutto il libro è un insieme di mosse di Go, contornate dal cerimoniale tipico giapponese nelle partite di Go, con quell'atmosfera di leggendario eroismo che i giapponesi applicano a tutto, anche a una cavolo di partita di Go. "Cerimoniale" è la parola chiave. Faccio un esempio: se guardate una partita di Go vedete i giocatori pensare anche per ore a una sola mossa, e ci sta, ma perché pensare a lungo anche alla prima mossa quando per "tradizione" (appunto, il "cerimoniale") è fatta sempre dal nero nell'angolo in alto a destra? Nel racconto di Kawabata sembra che i due si stiano sfidando per le sorti dell'intero pianeta: certo, questo pan-cerimonialismo dei giapponesi è anche carino ed affascinante, ma se si pensa all'incredibile onore richiesto dal Bushido contro la vigliaccheria assoluta di Pearl Harbor, o che mentre questa partita si svolgeva tra mille leggendarie narrazioni i giapponesi invadevano la Cina (peraltro, patria del Go) attuando uno sterminio di una violenza paragonabile se non maggiore a quella nazista ti chiedi "E allora a cosa serve tutto questo cerimoniale?". 
Teniamo anche conto di una particolarità fondamentale del Go: sostanzialmente, non si vince sconfiggendo il nemico, annientandolo come avviene negli scacchi: si vince conquistando più territorio dell'avversario che tuttavia, a rigor di logica, manterrà il suo territorio; l'avversario non viene annientato, viene sostanzialmente superato in territorio. Inoltre la partita termina con una patta: si chiama Yose (Fuseki=Apertura, Chuban=Mediogioco, Yose=Finale) ed è solo lontanamente paragonabile al finale degli scacchi perché se negli scacchi c'è una effettiva fine, nel Go durante lo Yose i giocatori effettuano un conteggio dei punti e se uno dei due pensa che ormai non sia più possibile ribaltare le sorti del gioco, chiede la patta, se l'avversario pensa di avere ancora qualche possibilità può rifiutarla e continuare a giocare ma altrimenti accetta la patta e si passa al conteggio. Quindi nel Go non c'è una vera "fine". Se il Go è una simulazione della guerra, da tutto ciò che abbiamo visto si può riconoscere un carattere nobile di questa guerra e dei suoi protagonisti: non c'è la vera e proprio sconfitta dell'avversario (lo scacco matto - l'uccisione), i suoi presupposti sono il rispetto dell'avversario (che c'è anche nello Shogi) e semplicemente il giocare melgio. Esattamente ciò che non fecero (io amplierei in "fanno") i giapponesi nella vita reale. Pare quasi che con questa celebrazione di ogni cosa, questa continua ricerca di "segni" nel mondo - una vita fondata sulla semiotica -, dalla natura (Shintoismo) ai giochi si possa interpretare come un desiderio ideale, una aspirazione, che nella realtà porta però alla estremizzazione. E dove c'è estremizzazione c'è devastazione. Si pensi a come vivono le mode (scoperto il rock'n'roll, tutti vestiti come caricature di Elvis o di Fonzie - nel metal diventano dei violenti ossessivi - e per non parlare del loro mondo del porno dove se la donna non piange non ha senso, dove c'è un vero e proprio atto di forza, scadendo poi nei manga che diventano vere e proprio realizzazioni di fantasie inconsce proprio più dei sogni/incubi che del desiderio conscio).
Ok, io sono prevenuto sotto questo aspetto, ma se non credete a me leggetevi qualche testo sulla loro cultura, conoscere sicuramente In Asia di Terzani e quando parla della sua visita al Giappone scopriamo un mondo folle, con robot che servono a servire il tè o studi avanzatissimi sulla costruzione dei water. I Giapponesi esaltano estremizzandola ogni cosa, fosse anche l'heavy metal o il rock'n'roll o gli scacchi o la pesca. Questo loro comportamento è inquietante e inquietante in effetti è ciò di cui il Giappone è riuscito a rendersi capace nella storia.
Ma torniamo a noi: il libro prosegue così, tra mosse di Go, pause di attesa tra un round e l'altro, problemi di salute del maestro e di vescica di Otake. Basta, tutto qua. Ha senso leggere questo libro? Si, un po', ma solo se siete interessati al Go e al Go per i giapponesi. Altrimenti no perché non vi resta molto da questa lettura. Occhio anche che la lettura è complessa perché piena di termini giapponesi relativi al vestiario, alle costruzioni, al cibo, al Go stesso per i quali dovete continuamente andare al Glossario finale. Nella mia edizione inoltre c'è una lunga parte finale di introduzione al Go, cosa strana a mio avviso perché se uno non sa cos'è il Go sarebbe bene leggerla prima del romanzo, non dopo, ma oltre a ciò reputo difficile che uno non interessato al Go legga (o anche solo apprezzi) questo libro perché la piatta descrizione della partita in stile giornalistico puro è tutto ciò che vi trovate. Note, glossario e introduzione al Go sono parti molto lunghe che si prendono tranquillamente quasi metà delle pagine totali del volume.

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Tutti i libri di Yasunari Kawabata

  • Il maestro di Go (stato: Libro finito )
  • Il paese delle nevi (stato: Libro finito )
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