gio 21/11/2024 | RSS | Menu

LA MOSSA GIUSTA. IL SENSO DEGLI SCACCHI PER LA VITA

Jonathan Rowson

Avevo molte aspettative su questo libro, e vi dico subito che sono state tutte disattese. Potrebbe intitolarsi "Lo Zen e l'arte di giocare a scacchi" per quanto è simile in inutilità al famoso orrendo libro che neppure voglio citare. L'unica differenza e che lo salva un po' in alcune parti è che almeno qua di scacchi si parla, mentre nell'altro la moto non c'entra proprio un cazzo. Certamente l'introduzione lasciava presagire ma, come al solito, non l'ho analizzata bene pensando che data la natura complessa e linguistica/matematica/logica degli scacchi avrebbe portato il libro in direzioni di ricerca tra la scienza, la filosofia e la pratica; invece è una baggianata personale, biografica, opinionistica. L'autore è un filosofo e con un curriculum piuttosto interessante e mi aspettavo dunque un libro come il bellissimo Deep Thinking di Kasparov ma, trattato da un diretto addetto ai lavoro, con approfondimenti filosofici e scientifici più immediati. Nella realtà pare di leggere una collezione di biglietti dei baci Perugina, come era Il Gioco Immortale di Shenk, stessa noioso solfa autocelebrativa. Innanzitutto, il libro è troppo personale: c'è un capitolo in cui non fa altro che citare la sua azienda, organizzazione, la sua Perspectiva al punto che sembra una brochure promozionale; poi c'è un capitolo in cui parla così tanto di quanto è magnifica sua moglie Siva che vien voglia di scriverle un'email; poi parla di quanto sono intelligenti i suoi figli, fin da piccoli ovviamente, come neanche al parco giochi tra genitori che si decantano le genialità dei propri piccoli pestiferi; poi di nuovo la sua azienda, poi la sua magnifica carriera di studi, poi quanto era bravo a scacchi, poi quanto è stato saggio a lasciarseli alle spalle... che rottura di coglioni! Il tutto pieno di consigli su come fare a vivere, come essere felici, come amare, come lottare, come essere amici, e per ogni pagina ci sono almeno due o tre citazioni (ovviamente c'è anche Nietzsche, ovviamente sempre immancabile quando serve una citazione che nulla ha a che fare con il suo pensiero, e c'è anche il Pirsig, sempre sia maledetto) che viene la bile ogni volta che si incontra l'espressione "Come ha scritto tizio" e le sue mille e mille derivate. E sulle citazioni soprattutto, non sto per nulla esagerando!
Persino nel libro di Hendriks c'è più filosofia, più storia personale, più analisi di quanta c'è in questo immenso tomo di quasi 400 inutili pagine.
Non c'è scienza, non c'è filosofia, non c'è ricerca, non c'è neanche obiettività ma tutto è intriso di esperienza e opinioni e giudizi completamente personale ma senza un perché. Alla fine cos'è, un testo di filosofia, un testo di divulgazione, un testo sugli scacchi, una biografia? Non è nulla di tutto ciò ed è tutte queste cose assieme ma in un discorso così dispersivo ed aleatorio che tutte queste cose sono si presenti, ma il risultato è negativo.
E' la filosofia spicciola (e la psicologia spicciola) che si può trovare tipicamente in ogni discorso sul coaching o self-training che oggi vanno così di moda. E "spicciolo" inteso come "da quattro soldi", non "ingenuo" come si parla della branca della filosofia e della psicologia ingenue intese come studio degli atteggiamenti che ha l'uomo comune.
Ammetto che a livello libri, e cultura in genere, gli scacchi mi stanno dando immense delusioni: questo libro, ad esempio, è decantato nel mondo scacchistico che pare potersi quasi paragonare alle lettere di Paolo per i cattolici. A seguire le discussioni nei forum scopri che gli scacchisti spesso a malapena sanno scrivere, sono fermi all'interno delle loro 64 caselle considerandole la summa di ciò che l'uomo ha ideato dai tempi della preistoria, sono boriosi e irascibili, assolutamente non sanno perdere e non accettano i principianti considerati alla stregua di un branco di dementi, e passano la loro vita online tra i socials e Youtube e Twitch, e quando leggono un libro di Maurensig lo decantano che probabilmente Dostoevskij e Thomas Mann nessuno ha mai decantato così.
Quando poi cita Freud e la teoria di Eros e Thanatos per decidere che la patta è simbolo/effetto del Desiderio di Morte freudianomi ha fatto cadere le braccia. Che prove avanza? Che studi avanza? Niente di niente, lo dice e basta! Senza considerare che la sua interpretazione di Freud è degna di un talk-show televisivo più che di uno psicoanalista. Ma per favore...
Nutro molti dubbi sulla veridicità di aneddoti che porta a difendere le sue tesi moraleggianti, sono dubbi da sospetto ma un esempio lo voglio raccontare ovvero il racconto di quando Anand lo chiamò nel suo team di preparazione al mondiale contro Kramnik. Sono rimasto basito dal fatto che un giocatore professionista come lui ignorasse lo studio coi e dei motori scacchistici e dopo averci pensato lo reputo impossibile: era il 2008, Deep Blu era già preistoria e due anni prima Kramnik stesso aveva perso contro Fritz, quindi non proprio i tempi del C=64. Nel 2008 i software scacchistici c'erano eccome! È possibile che uno scacchista di professione, che frequentava scacchisti e tornei, non sapesse nulla di software di scacchi al punto di ignorare persino a cosa servissero i core del PC? Che non gliene avesse mai parlato nessuno mentre la sua vita lo portava continuamente a passare giorni e settimane tra maestri di scacchi? Impossibile. Se vivi in un ambiente, prima o poi anche senza volerlo le notizie correlate a quell'ambiente ti arrivano, a meno di non essere socialmente disturbato. Posso capire se avesse detto che preferiva l'allenamento "analogico", e sarebbe stato poco credibile comunque, ma lui lo spaccia proprio come se la scoperta dello studio delle apertura non sulla scacchiera ma sul PC l'avesse fatto cadere dalle nuvole. Peccato poi che qualche paragrafo dopo dice che era "dal 1997" che usava i software per preparasi alle partite di scacchi. Oltre a ciò, è possibile che Anand chiamasse un tipo simile nel suo team? Ok erano amici, ma Anand stava per affrontare il campione mondiale di scacchi, la macchina da guerra Kramnik in un match per il titolo, mica bruscolini. E ti va a chiamare un tizio, che peraltro pare di capire che conosce bene, che pensava di arrivare lì con una scacchiera in legno e il Porreca? No, ammettiamolo: Anand se avesse saputo una cosa simile l'avrebbe chiamato magari come amico per rilassarsi nel dopo-studio, non come preparatore. Per finire: se è diventato negli scacchi ciò che è diventato senza usare l'allenamento coi computer (dimentichiamoci quel "dal 1997" per un attimo), cosa avrebbe potuto diventare Rowson negli scacchi? 
Gli scacchi sono importanti? Probabilmente... come metafora, come dice lui. Ma se sono metafora, perdono un po' della loro importanza acquisendola indirettamente poiché conferita da chi la metafora la trova (anzi, "inventa", poiché una metafora non è un segno). Sotto questo aspetto, ogni cosa è una metafora, e ogni cosa fatta approfonditamente può far nascere lo stesso discorso che è presente in questo libro. Se Rowson fosse stato un musicista, il libro sarebbe identico, non cambierebbe di una virgola se non nelle parole "musica" al posto di "scacchi", e magari "note" o "strumenti" al posto di "pezzi" o "posizioni". Stessa cosa se fosse stato un pittore, un giocatore di bocce o un serramentista. A partire dalla posa del telaio di una finestra si può fare un discorso a proposto delle relazioni interpersonali, a partire dalla boccia sul boccino si può fare un discorso sugli equilibri geopolitici mondiali. Ogni cosa può essere una metafora, poiché (come insegna sempre il caro Nietzsche) non esistono fatti ma interpretazioni: del resto abbiamo opere d'arte moderne assurde come orinatoi ribaltati o banane appese col nastro telato che sono accompagnate da pagine e pagine di testo per spiegarle, ovvero interpretarle. L'artista in questo caso prende un oggetto esistente e lo modifica per trasformarlo in una metafora, ma la metafora può essere applicata a ogni cosa anche senza modificarla. In questo senso la "cosa" di per sé non è più importante.
Così sono gli scacchi: un gioco inutile, in senso pratico, ma facilmente "metaforicizzabile" per via di molte sue particolarità quindi sicuramente interessanti. Gli scacchi hanno pezzi lavorati, non come la dama che ha solo dei dischetti; gli scacchi hanno movimenti complessi e diversificati, non come il Go dove si affiancano pedine e basta; gli scacchi hanno una lunga storia in Occidente, e hanno forgiato personalità particolari molto caratteristiche come Morphy, Capablanca, Kasparov. Ma di per sé gli scacchi non sono nulla, cominciano e finiscono sulla scacchiera: non fanno imparare la matematica, non insegnano a parlare, giocandoli non si ("se ne", ugualmente) impara la storia, non si impara a parlare meglio, non si impara neanche a gestire la vittoria o la sconfitta, e sottolineo quest'ultimo punto su cui spesso degli scacchi si dice il contrario, e per averne prova basta studiare un po' di biografia di scacchi del passato. O guardare Carlsen, una primadonna degno della peggio specie di Vips, per non parlare di Bobby Fischer che umanamente era una persona spregevole.
Aiutano lo sviluppo cognitivo e tengono sveglio il cervello diminuendo le possibilità di Alzheimer? Probabile, ma come lo fa qualunque attività che richieda l'impegno costante dell'intelletto. Tuttavia non creano qualcosa di pubblicamente godibile come la musica, che (a meno di non fare musica leggera) impegna l'intelletto, la memoria, lo studio ben più che gli scacchi, e i cui risultati sono diffusi mentre gli scacchi rimangono lì, nella scacchiera.
Sono un bel gioco, molto bello, ma non vanno esaltati più di tanto, come appunto fa Rowson. E sono ricorsivi, tutto ciò che impari resta importante solo per gli scacchi; come il libro di Rowson, del resto, arrivi alla fine e non hai nessuna conoscenza aggiunta se non per ciò che pertiene a Rowson stesso.
Le ultime 150 pagine le ho lette in maniera sommaria, lui Siva Kailash Visnu mi avevano proprio rotto le palle ...

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