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MEMORIE DEL TERZO REICH

Albert Speer

Anticipo subito una cosa: il libro è di scomoda lettura poiché di struttura leggera, la copertina è fina come pure le pagine morbide e data la mole tenerlo in mano e leggerlo è piuttosto faticoso. Sono circa 650 pagine oltre le note con una ricostruzione biografica piuttosto precisa e puntigliosa quindi preparatevi a una lettura che a tratti sarà pesante, molto pesante. Fortunatamente, questa noia riesce in certo qual modo a mitigare il ribrezzo che bisogna provare per Speer.
La prima cosa che mi è venuta in mente dalla lettura di questo libro è che quando pensiamo che Hitler fosse pazzo lo facciamo come meccanismo difensivo di razionalizzazione, è una strategia per poterlo comprendere e giustificare forse, è un modo (non corretto) per riuscire a dargli un posto come motore delle cose inimmaginabili che ha compiuto. Che non abbia conquistato l'Europa intera è accaduto per un soffio, un soffio dovuto a errori di calcolo che l'hanno fregato. Ma che da solo sia riuscito a fare tutto ciò, come Speer dimostra, è un pensiero agghiacciante; tutti sbagliamo e falliamo obiettivi, più questi sono grandi e minore esponenzialmente diventa la nostra possibilità di realizzarli, ma Hitler considerando quanto erano immensi i suoi scopi ha sbagliato veramente poco, è servito un intero mondo per fermarlo. Per quanto possa valere il linguaggio, di certo non era pazzo. Negli scacchi si dice che dei due giocatori non è uno che vince, ma l'altro che perde: nella razionalità che gestisce il gioco, vince chi fa meno errori, perde chi fa l'ultimo errore; o i più grossi. Ecco, con Hitler ci è andata bene perché, fortunatamente, a un certo punto ha commesso degli errori. Nella sua logica, è stato indubbiamente un genio. Nelle prime parti del libro di Speer ci appare un Hitler fin troppo lucido nel capire come muoversi e cosa fare, e viene spontaneo dire che per fortuna ha scelto l'Italia come partner anche se avrebbe preferito la Gran Bretagna! Cosa sarebbe successo, altrimenti?
Parimenti ci viene da pensare che, per fortuna, non tutto l'entourage di Hitler era composto da individui come Albert Speer! Se Hitler era la mente malvagia, Speer era un abile braccio e se ne Hitler ne avessi avuti tanti come lui ora grideremmo Heil tutti assieme.
Nel 1944 il giornalista Sebastian Haffner del The Observer scrisse: "Albert Speer non è il solito nazista appariscente e ottuso... è molto più del semplice uomo che raggiunge il potere, simboleggia invece un tipo d'uomo che sta assumendo sempre più importanza in tutti i Paesi belligeranti: il tecnico puro, l'abile organizzatore, il giovane brillante uomo senza bagaglio e senza altro scopo che seguire la propria strada, senza altri mezzi che le proprie capacità tecniche e manageriali. Degli Hitler e degli Himmler ce ne sbarazzeremo, ma con gli Speer dovremo fare i conti ancora a lungo" (fonte). E' sicuramente vero ed emerge chiaramente leggendo queste sue memorie in cui ciò che spicca è la sua incredibile lucidità. Tuttavia non va inteso con ciò che Hitler fosse "appariscente e ottuso", un "semplice uomo che raggiunge il potere": Hitler ebbe una lucidità ancora maggiore perché il potere non lo raggiunse, ma lo costruì, lo forgiò, lo detenne, e il potere che ebbero altri, tra cui Speer, fu Hitler a crearlo e donarglielo. Speer era un prodotto di Hitler, forgiato dall'ideologia nazista, altrimenti sarebbe stato solo un architetto.
Il grande Simon Wiesenthal gli disse chiaro e tondo in faccia: "Se a Norimberga avessimo saputo quello che sappiamo adesso, lei sarebbe stato impiccato" (fonte). Il perché, oltre alle prove che poi si scoprì, si può dedurre anche da questa stessa opera. Speer si dimostra, in questa autobiografia, incredibilmente furbo, ad esempio a pagina 41 (di oltre 600, quindi proprio all'inizio) dice "Molti eventi - perfino lo sterminio incontrollato di ebrei, massoni, socialdemocratici, testimoni di Geova del mio stesso ambiente - dovetti sentirli come eventi che non mi riguardavano personalmente. Forse mi sentii pago di non parteciparvi". Encomiabile, non fosse che sono le uniche pagine che citano un qualche sterminio. I lager ritornano solo a fine libro e giusto in qualche riga, anche se più che di lager parla degli internati, citati come manodopera per i razzi V2, di loro narra la situazione fisica terribile ma all'interno delle fabbriche (il complesso di Dora), mentre non cita mai, oltre a quella volta lì, sterminio o campi di concentramento. Attesta subito la loro esistenza, ma poi non ne parla più perché, ovviamente, gli conviene tacere. In realtà quasi non cita mai gli ebrei, se non per qualche modo di dire e veramente raro a livelli di eccezionalità. La questione ebraica e i campi di concentramento e sterminio in questo libro non ci sono, e solo alla fine nelle ultime pagine in due righe dice che ne scoprì l'esistenza e gli scopi quindici giorni dopo aver ricevuto la notizia della morte di Hitler! Carogna maledetta! Speer sta difendendo la posizione tenuta a Norimberga, posizione che lo ha salvato dall'impiccagione. Successivamente al processo, furono trovate lettere di Speer in cui attestava esplicitamente di essere a conoscenza dell'esistenza e soprattutto dello scopo e dell'operatività dei lager, parla chiaro e tondo di forni crematori, nonché contribuì alla fornitura di materiale e logistica per la costruzione (almeno) di Auschwitz (leggi qua - lo cito in coda) Aveva ragione l'Observer del 44 che Speer cita con malcelato orgoglio: lui è il figlio della Tecnica. È il guru della finanza che accumula soldi e soprattutto potere, l'imprenditore che non paga le fatture. È quello che fa fallire 10 aziende per puri movimenti finanziari e lascia a casa 1000 persone senza battere ciglio. È il frutto della società della produzione, talmente avanti nei tempi che per fortuna rimase in posizione subalterna a Hitler; con Speer al suo fianco alla pari, non avremmo avuto scampo.
Questa furbizia di Speer deve essere tenuta sempre a mente come chiave di lettura del libro e va tenuta presente in tutti quei continui momenti in cui critica il Fuhrer, i gerarchi, il sistema nazista: in quei momenti, sotto questa prospettiva, si può così riconoscere chiaro e tondo che sta mentendo. Speer è classificabile come "bastardo", un "gran figlio di troia".
L'immagine che potremmo farci da queste parole di Albert Speer è quella di un uomo schiavizzato dal potere, soggiogato dalla figura di Hitler talmente affascinante da essere quasi magica, costretto dagli ordini, e che a un certo punto ha aperto gli occhi di fronte alla realtà cercando in ogni modo di affrontare il disastro e perlomeno mitigare la enorme disgrazia che stava cadendo sulla Germania e sulla popolazione. La realtà era ben diversa: Speer era parte del potere, una parte consistente; era il braccio destro di Hitler ma forse anche di più, uno degli uomini più fidati e anche più cari, e viceversa. Speer era mente e mano del potere, artefice di distruzione, azione del Nazismo. Speer era l'uomo a fianco o dietro il trono. Di tutto quello che racconta nel libro e sempre più verso la fine, ad esempio che ha tentato di convincere Hitler a cambiare prospettive, a migliorare le condizioni degli internati nel campo di Mittelbau-Dora, non c'è prova. C'è prova invece delle congratulazioni che fece per la costruzione e la pianificazione lavorativa e produttiva di Mittelbau-Dora, c'è che fondò con Himmler l'azienda che gestì la sua ideazione, c'è che fornì materiale per Auschwitz sapendo che vi erano forni e che il suo scopo era la "soluzione finale". Ma anche ignorando queste scoperte successive, solo leggendo il suo libro a un certo punto ti vien da pensare: dopo tanto parlare, pensare, scrivere lettere, nella pratica cosa ha fatto? La risposta è: NIENTE. Niente di niente. Com'è possibile che una persona così tecnicamente preparata e con nelle mani un potere immenso, secondo solo a quello di Hitler, non concluse nulla e ciò che ci resta sono solo le sue rassicurazioni in queste memorie? La realtà è che restò a fianco del Fuhrer fino all'ultimo, che tornò a Berlino sotto i bombardamenti solo per vedere ancora una volta il suo Fuhrer, rischiando la vita. Le cose che dice di aver fatto per il "popolo tedesco", Speer le fece solo per sé stesso, questa è la verità. E il suo comportamento a Norimberga lo attesta. Restando al Processo di Norimberga, abbiamo nel finale del libro l'ultima grande menzogna di quest'uomo abbietto quando non fa altro che presentarsi come un eroe del popolo, auto-immolatosi dichiarandosi colpevole per tentare di salvare il popolo tedesco dalla colpa del Nazismo, prendendo dunque questo fardello sulla sua schiena. Denigra i suoi "colleghi" attestandosi come l'unico che ha addossato su di sé la piena colpa, meritandosi la morte. Solo un idiota può credergli e non pensare che lo fece proprio perché, da un lato, dichiarandosi colpevole poteva sperare in un giudizio più deviato da sentimenti di pena, dall'altro perché era ben conscio che col suo fare astuto le effettive prove contro di lui non c'erano. 
Il giudizio dell'Observer rimane una verità sacrosanta, ma tradita.
Speer è stato semplicemente più lucido dei suoi colleghi, la sua malvagia intellettualità razionale gli ha permesso di muoversi con un campo più ampio all'interno dell'apparato nazista e mentre Bormann o Goering o Himmler acquisivano delle parti da impersonare che ovviamente li ponevano in una sola dimensione, come una persona che nell'armadio ha 10 completi tutti uguali, lui invece vi è strisciato dentro senza mai acquisire una sola posizione, un giorno una giacca, un giorno una camicia, un giorno i jeans, un giorno di nero e un giorno di grigio. Quando ha capito che non c'era più niente da fare, intuendo che il seguito sarebbe stato chiaro con processi impiccagioni e fucilazioni, ha iniziato a pararsi il culo forte di questa sua incredibile capacità di metamorfosi, tentando di individuare nel disastro una bene o male via di uscita. E nel complesso si può dire che l'ha trovata.
Tutt'altra pasta rispetto a Rudolf Hoess che sembra sempre bastardo ma quadrato ai livelli di idiozia funzionale. Speer non è così: siamo di fronte né all'ideologismo povero di Hoess né alla "banalità del male" di Eichman, ma alla perfetta esternazione ed efficienza della malvagità pura che desidera solo il potere.
Quanto maggiore è il crimine, tanto meno sarà credibile (fonte): col nazismo questo motto è sempre decisamente adeguato.
A Speer è andata bene. Ha fatto solo 20 anni di galera, in relax, e poi ha vissuto in tranquillità il resto della sua vita. La Germania andava rasa al suolo, la Germania e tutto il suo popolo, sarò sempre saldo su questa mia tesi. E non solo la Germania. Quelle persone andava cancellate dalla faccia della Terra.
Prima che scompaia nel cimitero del web, riporto un articolo del Corriere da web.archive.org

Cade la maschera di Speer «Fu complice della Shoah»

Un documentario televisivo dimostra le colpe dell’ architetto di Hitler

dal nostro corrispondente BERLINO - « Se a Norimberga avessimo saputo quello che sappiamo adesso, lei sarebbe stato impiccato » disse Simon Wiesenthal al suo interlocutore, ricevendone solo un imbarazzato silenzio. Avvenne verso la fine degli anni Settanta. Di fronte all’ uomo che della caccia agli ex nazisti aveva fatto la missione di una vita, c’ era Albert Speer, architetto personale di Hitler e ministro degli Armamenti del Terzo Reich nella seconda parte della guerra. « Non disse nulla, perché sapeva che avevo ragione » avrebbe raccontato nel 1998 Wiesenthal allo storico Gregor Janssen. Condannato a vent’ anni dal tribunale che giudicò i crimini di guerra nazisti, Speer era rimasto la figura più misteriosa e intrigante del regime hitleriano. Vicinissimo al Führer come nessun altro, partecipe di tutte le sue scelte, legato addirittura a Hitler, secondo l’ intuizione del grande storico Joachim Fest, da un « platonico rapporto omoerotico » . Eppure lontanissimo dall’ iconografia fisica e intellettuale del Terzo Reich. Colto e di bell’ aspetto, elegante e di modi raffinati, quanto gli altri erano truculenti e assatanati, Speer sembrava veramente « l’ angelo venuto dall’ inferno » , come lo definì Wolf Jobst Siedler, l’ editore che pubblicò le sue memorie dopo l’ uscita dal carcere di Spandau. Norimberga era stata il suo capolavoro. Assumendosi la responsabilità generale per i crimini del Terzo Reich, unico fra tutti i gerarchi alla sbarra, Speer si era calato nel ruolo del tecnocrate sedotto da Hitler, negando però ogni coinvolgimento personale nello sterminio degli ebrei e convincendo i giudici di non aver saputo nulla dell’ Olocausto. A suo merito, per la verità, aveva anche potuto rivendicare di aver disobbedito a Hitler e all’ ordine della terra bruciata, contribuendo a salvare parte delle strutture industriali della Germania. Ancora al tempo del colloquio con Wiesenthal, il manto del nazista illuminato, nonostante i molti dubbi e qualche vistosa smagliatura, sembrava sempre proteggere la figura di Albert Speer nell’ immaginario dei tedeschi. C’ è voluto un esorcismo nazionale, nella forma di un film documentario televisivo in quattro parti, seguito da milioni di persone, per sfatare definitivamente un mito capace di resistere oltre mezzo secolo. Andato in onda la settimana scorsa su Ard, la prima rete pubblica tedesca, Speer und Er ( « Speer e lui » ) è uno straordinario lavoro di ricerca, ricostruzione filologica, sceneggiatura e testimonianze personali, di studiosi ma anche dei figli di Speer, col quale il regista Heinrich Breloer restituisce alla storia un ritratto completo, privo delle ambiguità del passato. Nuovi documenti, ritrovati dalla storica Susanne Willems e presentati separatamente nella quarta puntata, provano per esempio senza ombra di dubbio, che già nel maggio 1943 Speer venne informato di che cosa stesse veramente succedendo ad Auschwitz. In quel periodo, infatti, il ministro aveva mandato due suoi collaboratori, Desch e Sander, nel campo di sterminio in Polonia, per avere un quadro della situazione. Lì vennero informati dal comandante, Rudolf Höss, che « nell’ ultimo periodo lo scopo del lager è stata la soluzione finale della questione ebraica » . Subito dopo il colloquio con Höss, i due inviati fecero anche una visita guidata dell’ intero complesso di Auschwitz Birkenau e le ricerche della Willems hanno permesso di accertare, che, nello stesso giorno, novecento ebrei polacchi, appena arrivati dal ghetto di Sosnowiec, vennero mandati alle camere a gas e poi inceneriti nei forni. « In quelle giornate - ha spiegato la Willems - la puzza di carne bruciata invadeva tutto il campo e nessuno poteva evitarla » . Desch e Sander ebbero dunque un’ esperienza diretta del genocidio in corso. Tornati a Berlino, fecero un completo rapporto a Spe er, riferendogli del Sonderbehandlung , il cosiddetto « trattamento particolare » con il quale si indicavano gli stermini di massa, e segnalandogli fra l’ altro « l’ edilizia primitiva » di Birkenau. Pochi giorni dopo, venendo incontro alla richiesta del capo delle SS, Heinrich Himmler, il ministro degli Armamenti autorizzò la consegna di alcune migliaia di tonnellate di ferro per l’ ampliamento del lager di Birkenau. Nei documenti, firmati da Speer in persona, ricorrono le parole crematorio, obitorio, torri di guardia. Breloer fa a pezzi anche un’ altra menzogna di Speer. Nel campo di concentramento di Mittelbau Dora, i lavoratori schiavi erano costretti a scavare cunicoli sotterranei: non avevano un posto dove dormire, non c’ erano servizi igienici e non c’ era neppure un rancio. Lavoravano fino a quando morivano. Speer aveva sempre sostenuto che, dopo aver visitato il complesso e visto quei cadaveri viventi, aveva subito ordinato la costruzione di nuove baracche. Grazie alle ricerche compiute dallo storico Jens Christian Wagner, il documentario dimostra che quell’ ordine non venne mai impartito. Il film contiene anche episodi già noti, ma inseriti in un contesto più convincente. Come il colloquio fra Hitler e Speer, interpretati magistralmente da Tobias Moretti e Sebastian Koch, nel quale l’ architetto espose la sua idea di cacciare dalle loro case 75 mila ebrei berlinesi, la cui unica colpa era di abitare lungo l’ asse Nord Sud, previsto per Germania, costruenda capitale del Reich millenario. Edifici che la megalomania di Speer voleva rasi al suolo. Aveva veramente pensato, come so stenne, che un giorno sarebbero ritornati, sia pure in altre case? L’ immagine di migliaia di valigie, « dimenticate » sulle banchine delle stazioni di Grünewald e Wannsee, è la risposta più agghiacciante. « Non era solo una rotella nel meccanismo - commenta il regista - era la dinamo, la forza trainante delle deportazioni, Speer era il terrore » . « È vero, avrei potuto sapere » fu la formula bugiarda, con cui il grande affabulatore incantò i giudici di Norimberga. « Ci ha menati tutti per il naso » commenta nel film Albert Speer junior, il figlio che porta il suo nome e fa lo stesso mestiere, attualmente impegnato nella realizzazione del masterplan di Shanghai. Albert, suo fratello Arnold, che è medico, e la sorella Hilde, ex deputata verde al Parlamento di Berlino, sono i veri eroi del film di Breloer. Li vediamo nei filmati d’ epoca, accarezzati da zio Adolf sulla terrazza dell’ Obersalzberg. E poi oggi, accettare per la prima volta di confrontarsi pubblicamente con la figura del padre, leggere davanti alla telecamera documenti inediti, dove si apprende fra l’ altro che Speer comprò per pochi spiccioli un terreno espropriato agli ebrei nel 1938, poco prima della Notte dei cristalli, per rivenderlo nel 1943 con un profitto di 240 mila marchi. « Sempre cose nuove, questo non lo sapevo » dice affranta Hilde, forse quella che più ha sofferto la sua condizione di figlia del prediletto di Hitler. « Mio padre è stato per me come un fantasma, io non ho avuto un padre, ammette Albert, il quale, a proposito delle menzogne raccontate dal genitore su Auschwitz commenta: « È impossibile immaginarsi che non sapesse » . Sessant’ anni dopo la caduta del nazismo, il lavoro di Breloer è già considerato un altro, decisivo passo della cosiddetta Vergangenheitsbewältigung il confronto col passato. Ma, questa volta, l’ oggetto della riflessione non era semplice da maneggiare, tanto densa era la cortina di ambiguità e fascino che lo stesso Speer era riuscito a crearsi intorno: « Con questo film - dice Michael Jeismann, della Frankfurter Allgemeine - è chiaro adesso a tutti, che Speer è stata una sorta di figura ideale di tedesco nella Repubblica federale, quella che si voleva adoperata e sedotta. Incarnava il mito delle persone con le migliori qualità, che furono costrette alle cose peggiori. Ora finalmente si alza il sipario » . E finisce la leggenda: non più l’ angelo venuto dall’ inferno, ma un diavolo, che all’ inferno si era trovato un posto molto confortevole. Albert Speer ( 1905 1981), primo da destra, con Adolf Hitler. Nella foto in basso lo vediamo in auto con i figli Albert, Arnold, Hilde, Fritz e Margret Il film Il film per la tv « Speer und Er » , dedicato alla vita dell’ architetto del Terzo Reich, mette insieme scene di fiction e materiale documentario Diretto dal regista Heinrich Breloer, su una sceneggiatura dello stesso Breloer e di Horst Königstein, il programma è costato circa 12 milioni di euro ] Vi si parla del rapporto tra Speer e Hitler, del processo di Norimberga e della lunga prigionia del favorito del Führer ] La parte di Speer è interpretata da Sebastian Koch e quella di Hitler da Tobias Moretti, mentre Dagmar Manzel è la moglie del gerarca nazista Il gerarca Nato a Mannheim nel 1905, brillante architetto, Albert Speer ( nella foto) aderì al Partito nazionalsocialista nel 1931 e divenne uno dei pupilli di Hitler Architetto di fiducia del Führer, durante la guerra Speer subentrò come ministro degli Armamenti a Fritz Todt, morto in un incidente aereo ] Molto importante fu il suo contributo allo sforzo bellico del Terzo Reich, anche grazie al duro sfruttamento della manodopera straniera ] Condannato a vent’ anni di carcere al processo di Norimberga, Speer fu liberato nel 1966 e morì nel 1981 IL GIUDIZIO DEL FIGLIO «Ha menato tutti per il naso. Mi pare impossibile pensare che non sapesse»

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