Questo libro è molto strano. Lo ho comprato perché negli ultimi tempi mi ero avvicinato alla letteratura nordica, con Stig Dagerman e August Strindberg, ed avevo letto che questo libro di Knut era stato uno di quei libri-chiave che vengono scritti solo in alcuni eroici momenti storici: assieme ad "Inferno" di Strindberg era stat infatti proprio questo libro a portare alla ribalta mondiale la letteratura nordica.
Il libro narra semplicemente la storia di uno scrittore che diventa povero, senza neppure un centesimo, e passa le giornate vagando per la città, al freddo, senza mai elemosinare per orgoglio ma pian piano venendo meno ad ogni amor proprio.
L'unico motivo ricorrente, nelle sue giornate, sono i terribili morsi della fame, la fame di chi vive in paesi civilizzati, mangiando sempre anche da piccolo e di colpo si trova a non toccare cibo anche per quattro cinque giorni, succhiando trucioli di legno o sassi raccolti per terra.
Mi ha ricordato molto, pensiero poi accreditato dal commento del curatore, la figura del Wanderer del primo romanticismo tedesco (come quelle di Kleist o, ancora più, come il Kreuzgang di Bonaventura, le "Veglie"), dello Sturm und Drang; anche se quello apparteneva quasi sempre ad un'ottica di crescita interiore, mentre in Knut non c'è crescita, ma solo abbandono. E', insomma, un Wanderer della contemporaneità. Uno "sperduto".
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