mar 03/12/2024 | RSS | Menu

SPILLOVER. L'EVOLUZIONE DELLE PANDEMIE

David Quammen

Bestiale. Scritto bene, scorrevole ma senza essere superficiale, approfondito ma senza essere troppo tecnico, completo ma essere diventare un mattone. Anche la struttura si vede che è curata. Il capitolo 1 è come un'introduzione al tema: il Virus Hendra ci dà il benvenuto e ci introducea i concetti di animale serbatoio e ospite di amplificazione come pure di zoonosi. Il capitolo 2 ci presenta il virus Ebola: ci butta nella mischia dell'orrore e mostra come senza l'individuazione del serbatoio l'eradicazione sia praticamente impossibile. Mostra anche come un virus lavora, soprattutto riguardo lo Spillover essendo ebola così volatile a ondate e allo stesso tempo ci mostra quanto nei confronti di un virus la scienza possa essere d'aiuto, ma la fortuna sicuramente di più. 
A questo punto siamo pronti ad affrontare l'argomento: epidemie, morti, analisi scientifiche, da qui in poi il libro è un crescendo. Il capitolo 3 ad esempio con la malaria ci mostra come funziona la matematica per lo studio di una epidemia e soprattutto ci introduce alla realtà di una malattia: ovvero ai morti in massa. 
Il capitolo di Ebola è terribile, lo ammetto, ma col capitolo sul virus della SARS comincia l'orrore, e comincia anche a farsi vivo il concetto (giudizio) soggiacente alla narrazione: siamo noi esseri umani che cerchiamo i virus, non il contrario. Con il mangiare animali selvatici, con il creare allevamenti intensivi, con lo sfruttamento del territorio e la riduzione degli habitat degli animali.
Sfortunatamente questo libro cade nel difetto principale tipico di questo stile di libro: lo stile giornalistico.  L'autore cerca lo scoop e il colpo di scena, cerca un punto chiave e per farlo spesso incasina una storia, inoltre la costruzione dei periodi è un po' svarionata e temporalmente scoordinata. Tuttavia nel complesso non sarebbe drammatica questa cosa e forse non l'avrei neanche sottolineata se la cosa non fosse amplificata ancora più dalla traduzione italiana che abbonda di inutile punteggiatura sempre in puro stile giornalistico ovvero ci virgole dappertutto a spezzare le frasi per creare pathos, e proliferano anche i punti che a volte arrivano persino ad arrivare ad esserci prima di un "ma" o un "e". Sappiata che troverete anche "[...]. E però [...]" ovvero una cosa orribile. Sotto questo aspetto la traduzione italiana è completamente impropria per la tradizione Adelphi.
Inoltre alcuni scienziati sono presentati come eroi stereotipati, tipo genio folle ma anche Deus ex machina che di colpo compaiono e sconvolgono la ricerca con intuizioni geniali; sebbene a volte questa sia la realtà, siamo troppo schiavizzati dal paradigma Einstein e non possiamo più immaginare la ricerca scientifica senza immaginarla come veicolata da eroi rappresentati da un tizio spettinato che mostra la lingua, e questo a mio avviso non è solo un limite ma un vero errore.
Fortunatamente sono difetti che non intaccano i contenuti del libro e formalmente non così pesanti da renderlo illeggibile. Anzi, devo dire che il libro anche nei momenti più tecnici - che comunque sono pochi e poco tecnici - rimane leggibile senza intoppi o incomprensioni.
Interessante nel paragrafo sulla Mixomatosi il discorso sull'analisi matematica della virulenza del virus sia logica sia matematica che conclude con una tesi contro-intuitiva che se tra gli scienziati è accettata, nel mondo comunque pare assurda ovvero che un virus non tende a diventare non-mortale. Siamo soliti pensare che un virus, per sopravvivere, tenda a diminuire il suo tasso di morte dell'ospite perché un parassita che uccide il suo ospite non sopravvive a sua volta. La verità è invece che un parassita che uccide troppi ospiti o troppo velocemente sicuramente tende a scomparire lui stesso poiché non ha tempo per propagarsi, ma anche un virus che non uccide il suo ospite è un virus che ha poca difficoltà di propagarsi: se un ospite non tossisce con insistenza, non ha perdita di fluidi ovvero diarrea, emorragia, muco, come si propaga? Ma questi sintomi sono sempre, appunto, sintomi di una malattia che quindi può diventare mortale. Un virus sopravvive quindi quando il tasso di mortalità da lui prodotto resta, ma magari resta più basso. Nel caso dei conigli australiani, dei vari ceppi tese a scomparire il ceppo più mortale, ma anche il ceppo meno mortale perché comunque il virus che riusciva a propagarsi di più era quello che causava le emorragie ma che non ammazzava subito il suo ospite, in questo modo il virus aveva più tempo per infettare altri ospiti e così facendo si diffondeva più del ceppo molto mortale - che invece non aveva abbastsanza tempo per diffondersi - e più del ceppo meno mortale - che invece non creava molte emorragie ovvero occasioni per diffondersi. I modi in cui un virus si diffonde restano comunque ciò che nell'ospite possono solo essere dei sintomi ovvero manifestazioni di una sindrome, ovvero genesi di un quadro clinico; un virus non potrà mai essere innocente nei confronti del suo ospite.
C'è tuttavia da evidenziare una cosa che invece nel libro non c'è: e gli animali ospiti? Perché lì, pare, il virus è quasi asintomatico? Perché diventa clinicamente rilevamente solo dopo un salto di specie? Non è dunque vero che un virus tende comunque a generare un quadro clinico: un virus diventa problematico quando si ritrova in una specie nuova. Probabilmente bisogna attendere così tante generazioni, perché diventi innocuo, che il virus diventa un altro virus e la specie in questione diventerà la sua specie ospitante.
Comunque...
Dopo aver letto questo libro, e aver dovuto mio malgrado aver a che fare con la sanità pubblica nei riguardi di un anziano che non produce più ma incassa la pensione, e che ti fa venire proprio il sospetto che la teoria "non è più produttivo, lasciatelo morire" sia esplicitamente confessata all'interno dei corridoi e sia quindi, più che un sospetto, un protocollo - e se qualche dipendente della sanità pubblica si indigna sappiate che, dopo ciò che ho visto e subito direttamente può anche andare a farsi fottere e aggiungo pure un bel "gran figlio di troia" - insomma, dopo questi due fatti, mi è ben chiaro il perché l'Italia abbia così tanto subito durante l'epidemia di Sars-Cov-2: mancanza di responsabilità del personale, mancanza di formazione, mancanza di normativa, mancanza di motivazione, mancanza di rispetto, mancanza di etica, mancanza di "sanità" e presenza solo ed ingombrante di "pubblica". Per ora non aggiungo altro riguardo la mia esperienza, ma per quanto riguarda il primo punto ovvero la scoperta dei virus da parte dell'uomo comune, be signori miei, se non leggete questo libro tanto vale che apriate la bocca.
Mi ha lasciato invece un po' deluso il capitolo sull'AIDS perché ci si aspetta la summa del terrore, invece è perlopiù resoconto di ricerca scientifica. Del resto questo non è un romanzo, ma un libro di divulgazione scientifica e il capitolo sull'AIDS non ha pathos perché mostra in maniera diretta quanto una semplice virus causa di milioni di morti sia un affare molto ostico per uno scienziato e come la ricerca sul come e dove influisca non poco l'ambito clinico. Il capitolo sul cacciatore e il viaggiatore potevano invece benissimo essere lasciati in pace. Merito di Quammen comunque è, nonostante il tema del libro, continuare a insistere sul fatto che attualmente la maggior parte delle persone muore di "cretinate dimenticate" ovvero tifo, colera, fame... Alla faccia di ogni zoonosi. Tuttavia se comparirà la zoonosi giusta, sarà un bel problema per tutti!

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  • Perché non eravamo pronti (stato: Libro finito )
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