Un libro di tre libri. Vi troverete a leggere infatti tre storie indipendenti, separate, legate si da qualche richiamo interno ma in realtà da un tema unico che girano attorno a una leggenda narrata nel Talmud: quattro uomini entrarono nel Pardès, il paradiso terrestre - l'Eden - ma solo una ne uscì incolume perché l'Eden è pieno di pericoli. Qui non abbiamo quattro uomini ma tre, precisamente due maschi e una femmina. Tutti tre attraversano un periodo difficile di sconforto ed abbandono che li porta al limite, e tutti tre trovano un qualcosa che sembra poterli riscattare dalla vita e riportargli la felicità ma tutto si risolve sempre in un inganno, come se tutti accettassero la mela dal serpente. E' un caso che nei primi due racconti sia un uomo a patire questa prova per mano di una donna che rischia di farlo scacciare dal paradiso, e che nel terzo la donna sia protagonista ma inneschi sempre per sua mano il dramma? Non penso si debba urlare al "patriarcato" come va di moda oggi, Eshkol Nevo probabilmente si accorge del pericolo decidendo per una protagonista femminile nell'ultimo quadro di questa stupenda esposizione sebbene ne resti macchiata dalla colpa e tuttavia da un lato è probabilmente un semplice artificio, non per niente si rifà alla storia dell'Eden restando il fatto che anche nella versione biblica in definitiva la colpa la commettono entrambi, dall'altro noi vediamo una colpa soltanto perché una sola delle due realtà è quella che parla, dall'altra parte c'è silenzio totale, un silenzio agghiacciante che nell'ultimo racconto diventa radicale. La realtà è che se tutti tre i casi presentano delle persone ingannate che cercano di salvarsi, tutte tre hanno una qualche colpa che ne macchia l'innocenza perché nessuno è senza colpa, come disse il crocifisso, come pure l'ingannatore continuerà a mostrarsi con una innocenza oggettiva e una colpa comunque non chiara che ne mitigherà il delitto, restando questo sempre presunto. Vivere è difficile, e vivere tra gli uomini non è uno standard ma un obbligo, dobbiamo vivere non come vogliamo noi né solo per noi né in noi: resta sempre vero ciò che disse nel suo magnifico libro Norman McLean: "Le storie della vita sono spesso più simili ai fiumi che non ai libri".
Eshkol mi fa pensare e capire bene la differenza di obiettivo tra questa letteratura e quella tipicamente araba di cui avevo parlato a proposito del libro Sette Luoghi: quella araba ha un'atmosfera di perdita legata alla comunità, mentre questa è più legata all'ambito esistenziale, entrambe sempre in crisi, una crisi che pare peraltro essenziale.