Un libro che mi ha lasciato perplesso perché è come un continuo stravolgere il tavolo di gioco. Se avessi fatto un grafico di apprezzamento con giudizi variabili in un asse temporale definito ogni 10 pagine avrei ottenuto un'irregolare onda sinusoidale con picchi e voragini. A tratti mi ha terribilmente annoiato, a tratti mi ha affascinato, a tratti mi ha sconcertato, a tratti avrei voluto impararlo a memoria. Il libro comincia in maniera epica dandoti la sensazione che stai affrontando una gloria della letteratura, poi la trama si ingarbuglia per duecento pagine che a tratti fracassano la pazienza a tratti ammaliano; si passa dal capitolo di Cicero insegnante che ho faticato a buttare giù ed ammetto di aver a tratti saltato parole per liquidarlo più in fretta, a quello che mi ha tenuto incollato ad ogni lettera con Rose ormai sola che vaga in un mondo allucinato misto tra la realtà e la fiction televisiva; segue poi la storia di Sergius da neo-orfano ad adolescente, un personaggio che non sono riuscito a farmi piacere e che nell'economia del romanzo rimane (come Cicero, del resto) piuttosto ininfluente non fosse che così Lethem conclude la storia di Rose; per non parlare dell'epistolario tra Miriam e suo padre, sezione che non capito perché abbia voluto inserirla. Indubbiamente Lethem è un grandissimo scrittore e lo dimostra anche in questo caso per il modo in cui riesce a cesellare in maniera estremamente evocativa ogni frase che usa trattando la lingua come un insieme di mattoncini Lego che sposta a destra e a sinistra fabbricando cose impensabili, però in questo romanzo la frattura della linea temporale è un punto critico perché spezza la morfologia psicologica dei personaggi che è il vero protagonista di questa storia: vediamo queste persone come in un prisma o in un quadro d'arte moderna tutto spezzettato in colori e forme irreali, si capisce che c'è un volto ma si fatica a riconoscervi una persona specifica o un sentimento qualsiasi. Una saga famigliare, generazionale e culturale come questa meritava proprio quella linearità temporale che manca ad evidenziare come lo stravolgimento che il magma degli anni che scorrono irruenti sopra le persone lasci dietro di sé, nonostante tutti i loro sforzi, solo una amorfa distesa grigia. Invece, Lethem preferito evitare la cronistoria, togliere l'azione e i dialoghi, preferendo creare una enorme riflessione di 500 pagine; perché così è questo romanzo, una riflessione continua e imperterrita e all'interno di questa riflessione le cose accadono quindi in maniera opaca e incompleta.
Il finale è deludente perché non è un finale; invece di chiudere le storie di Miriam e Rose, le lascia aperte e con punti interrogativo ritornando invece alle due persone più insopportabili, Cicero e Sergius quest'ultimo a concludere il libro e lasciando un gran amaro in bocca, da un lato perché restano troppi interrogativi sul resto delle storie, dall'altro perché Sergius è veramente un cretino. Insomma, si conclude come le opere incompiute, come se Lethem fosse morto lasciando l'ultimo capitolo vuoto.
Alla faccia di Lethem e di questo romanzo così strano e pesante, comunque, alla faccia della sua qualità a mio avviso inferiore rispetto ad altre sue opere che ho già letto, alla faccia di tutto rimane mille volte meglio a quell'orripilante
L'amica geniale che Lethem stesso ha votato come miglior romanzo del millennio (composto però per ora solo da 24 anni!). Lethem è uno scrittore indubbiamente
da leggere, ma magari è meglio partire da altro; chissà però, son gusti personali ed a voi potrebbe piacere anche questo. Probabilmente se non avessi letto altro di suo il mio giudizio sarebbe stato superiore. E se il finale fosse stato fatto bene.
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