Ernest Hemingway definiva questo libro uno dei più bei romanzi di guerra mai scritti; non solo perché stimo Ernest, ma anche perché ora ho letto questo troppo breve romanzo, non posso non dargli ragione. E' ai livelli di Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale di Remarque, del terribile Nelle Tempeste d'Acciaio di Junger, di Pattuglia Bravo2Zero di McNab, dello sconosciuto Memorie di un Soldato in Cecenia di Babcenko, ma dalla sua ha la base di una guerra combattuta ancora prima dell'iper-tecnologia già presente nella prima guerra mondiale. Moschetti, cannoni su carri, fanterie e cavalleria, e la immensa e arrogante devastazione della guerra di posizione pura, dove gli ufficiali svettano sui cavalli prima di essere colpiti da rozze pallottole che devastano ciò che toccano e dove qualche miserabile aveva sempre l'ingrato compito di dover portare il palo di una bandiera in mezzo alla battaglia. Peccato solo che sia così corto. Ho amato questo libro fin dal suo
incipit che fa sentire, appena aperto il libro e cominciata la lettura, l'enorme carica di poetica tensione della battaglia. La tensione epica che lo anima riporta non solo ai libri su citati, ma senza mezzi termini riporta all'Iliade, senza troppa esagerazione. É di una potenza devastante quanto la guerra che racconta, quanto gli abissi emotivi che tenta di far emergere dalle radure di sangue ed ira.
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