Pesante e pesante. Se non siete avvezzi alla letteratura russa, lasciate perdere, nonostante il tema da memoria dei Gulag possa allettare. Sinceramente, non mi è piaciuto: la vicenda di Ivan, che dopo la morte di Stalin viene rilasciato dal Gulag dopo 30 anni di prigionia, non è il tema principale, ma uno stratagemma per nascondere (forse per via della censura diretta o indiretta ancora presente nella Russia del tempo?) un discorso contro il regime nell'aspetto di un romanzo. Ogni accadimento della vita di Ivan serve quasi, come un deus ex machina, ad introdurre un monologo sul comunismo/socialismo russo, monologo che di volta in volta ha varie forme: quello di un discorso storiografico, anche se non cronologicamente lineare; un discorso psicologico sulla tirannia; un discorso sociologico sulla società russa; un discorso antropologico sull'uomo; un discorso filosofico sul materialismo dialettico. Tutto però molto teorico, come piace alla dialettica comunista, cosa che snatura veramente la spietatezza del discorso della prigionia politica. Peccato, perché ti vien voglia di dire "Vaffanculo a te e al Gulag". Ci sono veramente troppe, troppe, troppe parole per condannare, che quasi alla fine non si capisce più chi condanni cosa, e perché. Finché si ragiona così, non si arriva da nessuna parte.
E' un peccato che Grossman resti a metà fra questo lirismo e questo intellettualismo e non riesca a rendere, realmente, l'enormità della tragedia e della colpa, come invece gli riuscì con
L'Inferno di Treblinka. Leggete ad esempio, di quel libro, queste
tre citazioni e capirete cosa intendo: in quelle poche righe c'è una condanna totale e inattaccabile del nazismo, dell'hitlerismo (perché non si usa più spesso questa parola) e delle colpe
di tutti. In Tutto Scorre... questa condanna non c'è, a malapena ne risulta condannato lo stesso Stalin: e non è che Grossman non voglia farlo, anzi; è che non riesce a farlo
verbalmente! E' il pendolo cui restò sempre appeso Grossman: una condanna a Stalin ma non al comunismo.
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