Eroico BIKER senza frontiere.
GIUSEPPE E I SUOI FRATELLI
Thomas Mann
- Categoria libro: Narrativa straniera
- Stato lettura: LIBRO CONCLUSO il 17/01/2025
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Tratto dalla Bibbia (quindi garanzia di qualità, la Bibbia - Antico Testamento - è un maestoso romanzo epico tutto da scoprire) e di lunghezza simile, preparatevi a una maratona letteraria tanto maestosa quanto sfiancante. A partire dalle celebri storie di Giuseppe narrate nell'Antico Testamento nonché da un'attiva corrispondenza con lo storico delle religioni Károly Kerényi, Thomas Mann lavorò per ben 16 anni per finire questo monumentale ciclo di quattro romanzi per un totale di circa 2.000 pagine (l'edizione in unico vole Mondadori appena uscita ne indica circa 1.100 ma i miei 4 ebook ne contano invece circa 2.100): leggiamo su Wikipedia infatti che "i primi studi preparatori per la redazione dell'opera iniziarono nel 1925 e i quattro romanzi che la compongono furono poi pubblicati in un lungo arco temporale che va dal 1933 al 1943". Ho amato Thomas Mann ma sono 25 anni non lo affronto e non è uno scrittore facile. Il suo poderoso La Montagna Incantata lo divorai in circa tre giorni con una maratona facilitata dall'insonnia ma erano altri tempi tuttavia se non avete mai affrontato Mann fatelo perché è uno scrittore di quelli che compaiono una volta ogni secolo, se va bene: i Buddenbrook, la Montagna Incantata, il Faust, Morte a Venezia sono opere che vi richiederanno sacrifici ma non vi usciranno più dal cuore sebbene vi getteranno nello sconforto. Questo ciclo di Giuseppe è composto da quattro romanzi:
Le storie di Giacobbe | iniziato il 09/11/2024 - finito il 23/11/2024
Il giovane Giuseppe | iniziato il 23/11/2024 - finito il 06/12/2024
Giuseppe in Egitto | iniziato il 07/12/2024 - finito il 30/12/2024
Giuseppe il nutritore | iniziato il 31/12/2024 - finito il 17/01/2025
Scrittura molto complessa, Mann si è documentato fino alle più piccole fonti riguardo storia dei popoli e delle loro religioni e questa immensa conoscenza è utilizzata appieno sia a livello storico-narrativo, sia a livello teologico. In pratica è come se il libro fosse stato scritto a quei tempi, la narrazione segue l'epica classica ed è fitta di citazioni, nomi, avvenimenti, credenze, abitudini, mitologie o teologie. Questo ha un duplice scopo: innanzitutto permeare la narrazione dei costumi ed immergerla nel suo contesto storico, difatti il libro segue quanto narrato nell'Antico Testamento trasportandolo ai tempi ipotizzati con una seria ricerca storiografica nonché con abbellimenti e integrazioni da ciò che conosciamo della vita quotidiana, hobby e passatempi, lavori e procedure, di quei tempi remoti e per questo si tratta di un "romanzo storico"; in secondo luogo evidenzia, sia direttamente sia "evocaticamente", l'abisso temporale esistente sia tra noi e Giuseppe, sia tra Giuseppe e le tradizioni e credenze che gli sono succedute, ovvero l'ebraismo.
La narrazione è portata avanti da "qualcuno", è una storia narrata da uno spirito del racconto che spesso dice "A quei tempi" oppure "Al giorno d'oggi", tuttavia non è chiaro quando sia questo "oggi" dando così un senso di precarietà temporale su due dimensioni che amplifica ancora più la distanza tra noi e gli eventi narrati; usare lo "spirito della narrazione" è un artificio letterario tipico in Thomas Mann e qui risponde precisamente allo scopo, certo già esistono ai "suoi" tempi il Corano o Firdusi nonché compare anche il concetto "borghese" ma resta privo di temporalità per definizione, non ha un "qui e ora" bensì esiste in un "lasso di tempo", lasso che parte dagli eventi narrati e arriva fino al lettore, sia il lettore nel 2024 o nel 2150 non importa. D'altro canto le storie narrate sono riguardanti delle persone che noi conosciamo sulla base della Bibbia, libro che invece queste persone non avevano e la differenza è abissale: noi possiamo studiare e ricreare la genealogia precisa di queste figure (reali o mitiche che siano, non importa) ma Mann le inquadra perfettamente in un'epoca in cui questi scritti non c'erano e dunque tutto avviene tramite la memoria e la narrazione dei singoli soggetti, narrazioni dalle quali nascerà appunto la Tanakh ebraica. Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe non sono ancora ebrei e in questo senso si muove Mann, è una religione all'alba della sua storia, Yahweh non è ancora (non) detto, non ci sono ancora prescrizioni, leggi, festività, non c'è il Deuteronomio, non ci sono i "patriarchi", non c'è un popolo "israele", non ci sono sinagoghe e libri sacri mentre vi troviamo un intero pantheon antico, babilonese, sumero, egiziano, vi è Gilgamesh, e questo pantheon esiste anche per bocca degli stessi Giacobbe o Giuseppe. La stessa parola "ebreo" compare, se non sbaglio, a partire dal terzo libro. E' un momento storico e narrativo, quello tratteggiato da Mann, in cui le religioni erano non strutture complesse dottrinali come quelle che intendiamo noi, bensì tradizioni che legavano e identificavano popoli e popolazioni, anche geograficamente nonché culturalmente; se ancora oggi si può parlare di religione come fatto culturale (l'occidente è cristiano, l'Italia è cattolica, il medioriente è mussulmano, l'Oriente è politeista, ecc.), nel mondo che scopriamo in questa monumentale storia vediamo invece le religioni come esclusivamente culturali. Del resto se sono loro, tramite la Torah, a fondare l'ebraismo, cos'erano loro? Gesù era un cattolico? Disse Mann in una lettera, dalla postfazione al primo romanzo: "è il racconto biblico che intendo narrare di nuovo, in modo realistico e umoristico"; ciò dev'essergli costato uno sforzo intellettuale immenso, ma ci è riuscito. Mann ha preso la vicenda di Giuseppe da Genesi e l'ha trattata come fosse un canovaccio ripiegato: l'ha svolta fino ai lembi più piccoli, cucendo dov'era rotto, aggiungendo toppe e bordi, tessendo nuovi ricami, le ha dato profilo e ambientazione storici, aggiunto dettagli e vicende intere ma sempre partendo da una ricerca storica e culturale puntuale quindi inquadrandola con precisione: ad esempio, il Faraone cui Giuseppe interpreta i sogni è Akhenaton - Amenhotep IV e non è una scelta a caso, dato che questo Faraone tentò l'instaurazione di una religione vagamente monoteistica, Mann dunque appoggia la tesi (mitica, non essendo Giuseppe in realtà figura storica) che questa deviazione dalla tradizione è stata in qualche modo ispirata dalle tradizioni del popolo ebraico.
Questa distanza temporale Thomas Mann, con una maestrìa narrativa unica, riesce a trasformarla in un abisso temporale vertiginoso e destabilizzante che spesso ci farà vacillare, tuttavia questo stile si fa pagare in leggibilità, non è banale narrativa ma alta letteratura che richiede molta concentrazione. Ci sono molte note di rimando a fatti, persone, eventi, dei, luoghi e figure mitologiche o leggendarie; non si legge velocemente, anzi si avanza piano come in una foresta oscura seguendo un sentiero appena accennato e parlando di oltre duemila pagine dovete prepararvi ad una maratona che vi impegnerà in tempo e impegno intellettuale. Nonostante ciò nulla toglie che se ne faccia una lettura meno approfondita, magari ignorando le note, tutte o alcune, e senza fermarsi a lungo su ogni frase, come fosse una fiaba, perché la capacità incredibile di Mann è anche quella di trasformare una frase complessa in una specie di cantilena che si può seguire senza più di tanto pensarci, tant'è che lui stesso di questo romanzo affermò fossero "settantamila righe che scorrono placidamente rievocando eventi remotissimi della vita umana".
Un plauso ulteriore a questo scrittore, inoltre, per il suo sempre presente slancio etico senza se e senza ma: mentre la Germania sprofondava con tutta l'Europa nel baratro dell'antisemitismo e della politica di eliminazione totale di tutti gli ebrei, lui, scrittore teutonico per eccellenza, decideva di creare un libro partendo dal libro guida dell'ebraismo e intendendolo come una celebrazione di quella millenaria cultura. Come disse lui stesso "In Giuseppe e i suoi fratelli si è voluto vedere un romanzo sugli Ebrei, anzi per gli Ebrei. La scelta dell'argomento veterotestamentario non fu certo un caso. Essa era senza dubbio in segreta, testarda e polemica relazione con tendenze del tempo che mi ripugnavano visceralmente, con il razzismo giunto in Germania a livelli inauditi, che costituisce una componente fondamentale del volgare mito fascista. Scrivere un romanzo che è una sorta di monumento allo spirito ebraico era attuale, proprio perché appariva inattuale. Ed è vero, il mio racconto si attiene con una fedeltà sempre per metà scherzosa ai dati della Genesi e spesso va letto come esegesi e amplificazione della Torah, come un midrash rabbinico". Certo c'è tanta ironia, la storia prima della Bibbia scritta e poi trasformata in testo sacro ci restituisce degli uomini reali che si credevano santi e solo dopo furono eletti patriarchi della religione: ad esempio, Isacco muore vecchio e rintronato belando come l'ariete che fu sacrificato al suo posto dopo che Yahweh fermò il coltello di Abramo, Giuseppe è uno spione borioso, Giacobbe è un invasato che indirettamente dà vita a carneficine e accordi sociali di certo non tanto santificabili. Il lato spirituale, divino, della storia di Giuseppe diventa solo lontanissima epica e fa intendere come un evento reale possa diventare leggenda in eoni di generazioni e racconti. Non c'è dio tra queste settantamila righe; c'è gente che crede a un dio che è superiore agli altri (in Genesi è fondamentale la differenza tra yahveh ed elohim, quest'ultimo plurale!) ma che è ancora indefinito, ma non ci sono miracoli, la voce di dio la sentono solo i diretti interessati ma nulla ci fa pensare che questo dio esista veramente. "Narravo delle origini, quando tutto esisteva per la prima volta" dice Mann in una conferenza; fa venire i brividi, perché leggendo avrete proprio questa sensazione.
La ricerca storica dev'essere stata immane e dei 16 anni di lavoro per realizzarlo non si può dire altro che "così pochi?"; è un romanzo storiografico, oltre che un romanzo teologico sebbene questo teologico paia piuttosto laico, dio è citato e studiato nella sua genesi ma è presente come idea e non come realtà, rimane un costrutto umano sebbene non possa essere differentemente essendo una narrazione semi-biografica di individui. I fatti, le vicende, le tradizioni, le culture e le popolazioni di quel periodo storico sono invece ben rappresentate a partire da studi storici che gli hanno permesso di riportarle in vita. Che dio esista o non esista è ininfluente dal punto di vista del romanzo, è un'idea la cui realtà non è dimostrata ma non lo è neppure il contrario (a parte l'interpretazione dei sogni nel quarto libro, è forse l'unico momento soprannaturale dell'opera sebbene, come dice lo spirito della narrazione, "gli anni non furono proprio sette, la carestia non fu così continua" e insomma il soprannaturale non fu così innaturale). Buttatevi dunque come volete in questa lunga camminata tra deserti ed eoni, ma attenti perché è una discesa nel pozzo abissale della nostra civiltà. Di certo è una lettura difficile, la maggior parte delle pagine sono divagazioni e pensieri di questo narratore, idee e confessioni quindi per oltre duemila pagine è dura, molto dura; a mio avviso l'anello più debole è il terzo libro che ho trovato lungo all'inverosimile nei dialoghi.
Dopo tutta questa celebrazione passiamo ai lati negativi. E' un gioiello di stile e una saga meravigliosa ma, sebbene venga spesso declamato come "il capolavoro di Thomas Mann" a mio avviso non supera i Buddenbrook o la Montagna Incantata forse perché questi, oltre al magnifico stile, narravano storie da un lato a noi contemporanee dall'altro storie "semantiche", pregne di significati paralleli, mentre qui c'è sicuramente un senso nascosto ma rimane all'interno delle vicende. Nonostante ciò, indubbiamente un capolavoro, un altro capolavoro di questo geniale scrittore. Tra i punti negativi ce n'è uno probabilmente più dovuto al lettore, alla sua pazienza, alla sua profondità di comprensione, al tempo che ha, piuttosto che attribuibile al romanzo stesso: la lunghezza. Il romanzo è lungo perlopiù a causa di divagazioni della voce narrante che filosofeggia sul divino e gli dei e il tempo, a volte troppo a lungo; pure molti dialoghi sono ampliati a dismisura, mi vengono in mente i colloqui nel secondo libro tra Giuseppe e Beniamino-Benoni ("figlio del dolore", c'è anche un'apertura di scacchi - una difesa - con lo stesso splendido nome) che snervano o il dialogo nel terzo libro tra i genitori di Potifarre che, sebbene vecchi, pare sia la prima volta che parlano della castrazione del figlio ma non lo è, trucco utilizzato da Mann per mero fine letterario solo che dura una decina di pagine, come pure nel quarto libro il colloquio tra Faraone e Giuseppe che pare non finire mai; l'ironia manniana per rapporto le remote vicende all'uomo odierno a tratti è fuori luogo; Giuseppe è un gran bastardo spione egocentrico, Beniamino una specie di ritardato mentale ed entrambi risultano inizialmente indisponenti, Beniamino poi scompare per molto tempo mentre Giuseppe rimane in ogni pagina dell'opera un insolente viziato egocentrico. Il terzo libro è immenso e si perde in decine e decine di pagine di dialoghi quasi cantati perché ineffabili, lo spirito della narrazione di perde in pensieri propri e le sue 600 pagine mettono a dura prova la pazienza del lettore; è probabilmente quello che ho trovato più noioso per via dell'abbondanza di ridondanza narrativa in rapporto ai fatti reali che vi accadono. Inoltre vi sono moltissimi richiami, continui, a dei e culture del passato che richiedono continua consultazione delle note, note che sono centinaia; a volte per 10 pagine non vi basterà mezz'ora. Sono lati negativi ma, ripeto, non è propriamente colpa di Mann quanto piuttosto da imputarsi al lettore stesso se non riesce a reggere la fatica, ai tempi nostri siamo troppo abituati ad avere tutto troppo facilmente e velocemente ma quando un tempo non c'erano molte possibilità di acquistare libri nuovi e non c'era la TV o la radio a farci perdere tempo, vi era più abitudine ad affrontare con la dovuta concentrazione un testo di duemila pagine.
Qualche ultima riflessione.
La Bibbia - l'Antico Testamento, il Pentateuco, i primi cinque libri della Tanakh - è un testo tanto citato quanto sottovalutato. Genesi ed Esodo sono forse i più bei romanzi epici che esistano, superano di gran lunga l'Iliade, l'Odissea, l'Eneide e via dicendo. I Salmi sono poesie meravigliose. Il Cantico dei Cantici è una delle più belle elegie mai create dall'uomo. Qohelet o l'Ecclesiaste è di una potenza unica. I libri di Giosué, i Re, Isaia, Neemia sono cronache meravigliose ed epiche. Per non parlare del grande Giobbe, un capolavoro assoluto di letteratura ed etica e psicologia, un maestoso canto di perdizione e forza, se mi si chiedesse "Dammi un libro assolutamente da leggere tra tutti quelli che conosci" direi il Libro di Giobbe. Leggere questi libri e pensare che da millenni in quei paesi troviamo ancora molto luoghi ivi citati, la tomba di Abramo Isacco e Giacobbe, quella di Rachele... fa venire la pelle d'oca pensare a questo abisso del tempo che Mann sottolinea e in cui va a vangare per creare questa magnifica monumentale opera.
C'è da dire che, a fronte del titolo, quella che affrontiamo leggendo non è la storia di Giuseppe quanto piuttosto quella di Giacobbe. Bramavo arrivare alla fine per godere della maestà letteraria di Mann in occasione della morte di Giuseppe magari con future disquisizioni sulle peregrinazioni di Mosè col suo carico di spoglie mortali. Invece non si conclude così, si conclude con la morte di Giacobbe, è un evento epico che Mann ironicamente fa concludere non a sontuoso metafore ma direttamente alla Grande Signora, quel furbacchione di Mann, che gli toglie il fiato di bocca a metà discorso più simile a uno sproloquio. Perché, ripeto, quest'opera è per Giacobbe, a lui dedicata, ed è la saga della nascita di Israele da Jaakob ben Ischazk. Manca di qualcosa insomma; Mann ha comunque cambiato paradigmi, Giuseppe che nell'originale è una vittima inerme qui è borioso, vanesio, egocentrico, al punto che dire "se lo merita" non è eccessivo soprattutto ora che, grazie a questi tomi, sappiamo anche come si sentirono i fratelli, consci di non poter più tornare indietro. Ricordo quando, con la pelle d'oca per l'intesità della narrazione, lessi nella Bibbia gli ultimi istanti di vita di Mosè, uno dei pochi di cui non sappiamo dove morì (presumibilmente sul monte Nebo nel XII sec. a.C., secondo Wikipedia) e fu sepolto; ecco, questo tono di epica maestosità in Mann non c'è, ma non è un errore, è una scelta perché la storia qui narrata è realistica.
Post Scriptum | ho cominciato a leggere questa saga che avevo ancora un padre e una zia, l'ho conclusa che entrambi se n'erano andati.
Le storie di Giacobbe | iniziato il 09/11/2024 - finito il 23/11/2024
Il giovane Giuseppe | iniziato il 23/11/2024 - finito il 06/12/2024
Giuseppe in Egitto | iniziato il 07/12/2024 - finito il 30/12/2024
Giuseppe il nutritore | iniziato il 31/12/2024 - finito il 17/01/2025
Scrittura molto complessa, Mann si è documentato fino alle più piccole fonti riguardo storia dei popoli e delle loro religioni e questa immensa conoscenza è utilizzata appieno sia a livello storico-narrativo, sia a livello teologico. In pratica è come se il libro fosse stato scritto a quei tempi, la narrazione segue l'epica classica ed è fitta di citazioni, nomi, avvenimenti, credenze, abitudini, mitologie o teologie. Questo ha un duplice scopo: innanzitutto permeare la narrazione dei costumi ed immergerla nel suo contesto storico, difatti il libro segue quanto narrato nell'Antico Testamento trasportandolo ai tempi ipotizzati con una seria ricerca storiografica nonché con abbellimenti e integrazioni da ciò che conosciamo della vita quotidiana, hobby e passatempi, lavori e procedure, di quei tempi remoti e per questo si tratta di un "romanzo storico"; in secondo luogo evidenzia, sia direttamente sia "evocaticamente", l'abisso temporale esistente sia tra noi e Giuseppe, sia tra Giuseppe e le tradizioni e credenze che gli sono succedute, ovvero l'ebraismo.
La narrazione è portata avanti da "qualcuno", è una storia narrata da uno spirito del racconto che spesso dice "A quei tempi" oppure "Al giorno d'oggi", tuttavia non è chiaro quando sia questo "oggi" dando così un senso di precarietà temporale su due dimensioni che amplifica ancora più la distanza tra noi e gli eventi narrati; usare lo "spirito della narrazione" è un artificio letterario tipico in Thomas Mann e qui risponde precisamente allo scopo, certo già esistono ai "suoi" tempi il Corano o Firdusi nonché compare anche il concetto "borghese" ma resta privo di temporalità per definizione, non ha un "qui e ora" bensì esiste in un "lasso di tempo", lasso che parte dagli eventi narrati e arriva fino al lettore, sia il lettore nel 2024 o nel 2150 non importa. D'altro canto le storie narrate sono riguardanti delle persone che noi conosciamo sulla base della Bibbia, libro che invece queste persone non avevano e la differenza è abissale: noi possiamo studiare e ricreare la genealogia precisa di queste figure (reali o mitiche che siano, non importa) ma Mann le inquadra perfettamente in un'epoca in cui questi scritti non c'erano e dunque tutto avviene tramite la memoria e la narrazione dei singoli soggetti, narrazioni dalle quali nascerà appunto la Tanakh ebraica. Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe non sono ancora ebrei e in questo senso si muove Mann, è una religione all'alba della sua storia, Yahweh non è ancora (non) detto, non ci sono ancora prescrizioni, leggi, festività, non c'è il Deuteronomio, non ci sono i "patriarchi", non c'è un popolo "israele", non ci sono sinagoghe e libri sacri mentre vi troviamo un intero pantheon antico, babilonese, sumero, egiziano, vi è Gilgamesh, e questo pantheon esiste anche per bocca degli stessi Giacobbe o Giuseppe. La stessa parola "ebreo" compare, se non sbaglio, a partire dal terzo libro. E' un momento storico e narrativo, quello tratteggiato da Mann, in cui le religioni erano non strutture complesse dottrinali come quelle che intendiamo noi, bensì tradizioni che legavano e identificavano popoli e popolazioni, anche geograficamente nonché culturalmente; se ancora oggi si può parlare di religione come fatto culturale (l'occidente è cristiano, l'Italia è cattolica, il medioriente è mussulmano, l'Oriente è politeista, ecc.), nel mondo che scopriamo in questa monumentale storia vediamo invece le religioni come esclusivamente culturali. Del resto se sono loro, tramite la Torah, a fondare l'ebraismo, cos'erano loro? Gesù era un cattolico? Disse Mann in una lettera, dalla postfazione al primo romanzo: "è il racconto biblico che intendo narrare di nuovo, in modo realistico e umoristico"; ciò dev'essergli costato uno sforzo intellettuale immenso, ma ci è riuscito. Mann ha preso la vicenda di Giuseppe da Genesi e l'ha trattata come fosse un canovaccio ripiegato: l'ha svolta fino ai lembi più piccoli, cucendo dov'era rotto, aggiungendo toppe e bordi, tessendo nuovi ricami, le ha dato profilo e ambientazione storici, aggiunto dettagli e vicende intere ma sempre partendo da una ricerca storica e culturale puntuale quindi inquadrandola con precisione: ad esempio, il Faraone cui Giuseppe interpreta i sogni è Akhenaton - Amenhotep IV e non è una scelta a caso, dato che questo Faraone tentò l'instaurazione di una religione vagamente monoteistica, Mann dunque appoggia la tesi (mitica, non essendo Giuseppe in realtà figura storica) che questa deviazione dalla tradizione è stata in qualche modo ispirata dalle tradizioni del popolo ebraico.
Questa distanza temporale Thomas Mann, con una maestrìa narrativa unica, riesce a trasformarla in un abisso temporale vertiginoso e destabilizzante che spesso ci farà vacillare, tuttavia questo stile si fa pagare in leggibilità, non è banale narrativa ma alta letteratura che richiede molta concentrazione. Ci sono molte note di rimando a fatti, persone, eventi, dei, luoghi e figure mitologiche o leggendarie; non si legge velocemente, anzi si avanza piano come in una foresta oscura seguendo un sentiero appena accennato e parlando di oltre duemila pagine dovete prepararvi ad una maratona che vi impegnerà in tempo e impegno intellettuale. Nonostante ciò nulla toglie che se ne faccia una lettura meno approfondita, magari ignorando le note, tutte o alcune, e senza fermarsi a lungo su ogni frase, come fosse una fiaba, perché la capacità incredibile di Mann è anche quella di trasformare una frase complessa in una specie di cantilena che si può seguire senza più di tanto pensarci, tant'è che lui stesso di questo romanzo affermò fossero "settantamila righe che scorrono placidamente rievocando eventi remotissimi della vita umana".
Un plauso ulteriore a questo scrittore, inoltre, per il suo sempre presente slancio etico senza se e senza ma: mentre la Germania sprofondava con tutta l'Europa nel baratro dell'antisemitismo e della politica di eliminazione totale di tutti gli ebrei, lui, scrittore teutonico per eccellenza, decideva di creare un libro partendo dal libro guida dell'ebraismo e intendendolo come una celebrazione di quella millenaria cultura. Come disse lui stesso "In Giuseppe e i suoi fratelli si è voluto vedere un romanzo sugli Ebrei, anzi per gli Ebrei. La scelta dell'argomento veterotestamentario non fu certo un caso. Essa era senza dubbio in segreta, testarda e polemica relazione con tendenze del tempo che mi ripugnavano visceralmente, con il razzismo giunto in Germania a livelli inauditi, che costituisce una componente fondamentale del volgare mito fascista. Scrivere un romanzo che è una sorta di monumento allo spirito ebraico era attuale, proprio perché appariva inattuale. Ed è vero, il mio racconto si attiene con una fedeltà sempre per metà scherzosa ai dati della Genesi e spesso va letto come esegesi e amplificazione della Torah, come un midrash rabbinico". Certo c'è tanta ironia, la storia prima della Bibbia scritta e poi trasformata in testo sacro ci restituisce degli uomini reali che si credevano santi e solo dopo furono eletti patriarchi della religione: ad esempio, Isacco muore vecchio e rintronato belando come l'ariete che fu sacrificato al suo posto dopo che Yahweh fermò il coltello di Abramo, Giuseppe è uno spione borioso, Giacobbe è un invasato che indirettamente dà vita a carneficine e accordi sociali di certo non tanto santificabili. Il lato spirituale, divino, della storia di Giuseppe diventa solo lontanissima epica e fa intendere come un evento reale possa diventare leggenda in eoni di generazioni e racconti. Non c'è dio tra queste settantamila righe; c'è gente che crede a un dio che è superiore agli altri (in Genesi è fondamentale la differenza tra yahveh ed elohim, quest'ultimo plurale!) ma che è ancora indefinito, ma non ci sono miracoli, la voce di dio la sentono solo i diretti interessati ma nulla ci fa pensare che questo dio esista veramente. "Narravo delle origini, quando tutto esisteva per la prima volta" dice Mann in una conferenza; fa venire i brividi, perché leggendo avrete proprio questa sensazione.
La ricerca storica dev'essere stata immane e dei 16 anni di lavoro per realizzarlo non si può dire altro che "così pochi?"; è un romanzo storiografico, oltre che un romanzo teologico sebbene questo teologico paia piuttosto laico, dio è citato e studiato nella sua genesi ma è presente come idea e non come realtà, rimane un costrutto umano sebbene non possa essere differentemente essendo una narrazione semi-biografica di individui. I fatti, le vicende, le tradizioni, le culture e le popolazioni di quel periodo storico sono invece ben rappresentate a partire da studi storici che gli hanno permesso di riportarle in vita. Che dio esista o non esista è ininfluente dal punto di vista del romanzo, è un'idea la cui realtà non è dimostrata ma non lo è neppure il contrario (a parte l'interpretazione dei sogni nel quarto libro, è forse l'unico momento soprannaturale dell'opera sebbene, come dice lo spirito della narrazione, "gli anni non furono proprio sette, la carestia non fu così continua" e insomma il soprannaturale non fu così innaturale). Buttatevi dunque come volete in questa lunga camminata tra deserti ed eoni, ma attenti perché è una discesa nel pozzo abissale della nostra civiltà. Di certo è una lettura difficile, la maggior parte delle pagine sono divagazioni e pensieri di questo narratore, idee e confessioni quindi per oltre duemila pagine è dura, molto dura; a mio avviso l'anello più debole è il terzo libro che ho trovato lungo all'inverosimile nei dialoghi.
Profondo è il pozzo del passato. Non dovremmo dirlo insondabile? Insondabile anche, e forse allora più che mai, quando si parla e discute del passato dell’uomo: di questo essere enigmatico che racchiude in sé la nostra esistenza per natura gioconda ma oltre natura misera e dolorosa. (dall'introduzione di Mann)
Dopo tutta questa celebrazione passiamo ai lati negativi. E' un gioiello di stile e una saga meravigliosa ma, sebbene venga spesso declamato come "il capolavoro di Thomas Mann" a mio avviso non supera i Buddenbrook o la Montagna Incantata forse perché questi, oltre al magnifico stile, narravano storie da un lato a noi contemporanee dall'altro storie "semantiche", pregne di significati paralleli, mentre qui c'è sicuramente un senso nascosto ma rimane all'interno delle vicende. Nonostante ciò, indubbiamente un capolavoro, un altro capolavoro di questo geniale scrittore. Tra i punti negativi ce n'è uno probabilmente più dovuto al lettore, alla sua pazienza, alla sua profondità di comprensione, al tempo che ha, piuttosto che attribuibile al romanzo stesso: la lunghezza. Il romanzo è lungo perlopiù a causa di divagazioni della voce narrante che filosofeggia sul divino e gli dei e il tempo, a volte troppo a lungo; pure molti dialoghi sono ampliati a dismisura, mi vengono in mente i colloqui nel secondo libro tra Giuseppe e Beniamino-Benoni ("figlio del dolore", c'è anche un'apertura di scacchi - una difesa - con lo stesso splendido nome) che snervano o il dialogo nel terzo libro tra i genitori di Potifarre che, sebbene vecchi, pare sia la prima volta che parlano della castrazione del figlio ma non lo è, trucco utilizzato da Mann per mero fine letterario solo che dura una decina di pagine, come pure nel quarto libro il colloquio tra Faraone e Giuseppe che pare non finire mai; l'ironia manniana per rapporto le remote vicende all'uomo odierno a tratti è fuori luogo; Giuseppe è un gran bastardo spione egocentrico, Beniamino una specie di ritardato mentale ed entrambi risultano inizialmente indisponenti, Beniamino poi scompare per molto tempo mentre Giuseppe rimane in ogni pagina dell'opera un insolente viziato egocentrico. Il terzo libro è immenso e si perde in decine e decine di pagine di dialoghi quasi cantati perché ineffabili, lo spirito della narrazione di perde in pensieri propri e le sue 600 pagine mettono a dura prova la pazienza del lettore; è probabilmente quello che ho trovato più noioso per via dell'abbondanza di ridondanza narrativa in rapporto ai fatti reali che vi accadono. Inoltre vi sono moltissimi richiami, continui, a dei e culture del passato che richiedono continua consultazione delle note, note che sono centinaia; a volte per 10 pagine non vi basterà mezz'ora. Sono lati negativi ma, ripeto, non è propriamente colpa di Mann quanto piuttosto da imputarsi al lettore stesso se non riesce a reggere la fatica, ai tempi nostri siamo troppo abituati ad avere tutto troppo facilmente e velocemente ma quando un tempo non c'erano molte possibilità di acquistare libri nuovi e non c'era la TV o la radio a farci perdere tempo, vi era più abitudine ad affrontare con la dovuta concentrazione un testo di duemila pagine.
Qualche ultima riflessione.
La Bibbia - l'Antico Testamento, il Pentateuco, i primi cinque libri della Tanakh - è un testo tanto citato quanto sottovalutato. Genesi ed Esodo sono forse i più bei romanzi epici che esistano, superano di gran lunga l'Iliade, l'Odissea, l'Eneide e via dicendo. I Salmi sono poesie meravigliose. Il Cantico dei Cantici è una delle più belle elegie mai create dall'uomo. Qohelet o l'Ecclesiaste è di una potenza unica. I libri di Giosué, i Re, Isaia, Neemia sono cronache meravigliose ed epiche. Per non parlare del grande Giobbe, un capolavoro assoluto di letteratura ed etica e psicologia, un maestoso canto di perdizione e forza, se mi si chiedesse "Dammi un libro assolutamente da leggere tra tutti quelli che conosci" direi il Libro di Giobbe. Leggere questi libri e pensare che da millenni in quei paesi troviamo ancora molto luoghi ivi citati, la tomba di Abramo Isacco e Giacobbe, quella di Rachele... fa venire la pelle d'oca pensare a questo abisso del tempo che Mann sottolinea e in cui va a vangare per creare questa magnifica monumentale opera.
C'è da dire che, a fronte del titolo, quella che affrontiamo leggendo non è la storia di Giuseppe quanto piuttosto quella di Giacobbe. Bramavo arrivare alla fine per godere della maestà letteraria di Mann in occasione della morte di Giuseppe magari con future disquisizioni sulle peregrinazioni di Mosè col suo carico di spoglie mortali. Invece non si conclude così, si conclude con la morte di Giacobbe, è un evento epico che Mann ironicamente fa concludere non a sontuoso metafore ma direttamente alla Grande Signora, quel furbacchione di Mann, che gli toglie il fiato di bocca a metà discorso più simile a uno sproloquio. Perché, ripeto, quest'opera è per Giacobbe, a lui dedicata, ed è la saga della nascita di Israele da Jaakob ben Ischazk. Manca di qualcosa insomma; Mann ha comunque cambiato paradigmi, Giuseppe che nell'originale è una vittima inerme qui è borioso, vanesio, egocentrico, al punto che dire "se lo merita" non è eccessivo soprattutto ora che, grazie a questi tomi, sappiamo anche come si sentirono i fratelli, consci di non poter più tornare indietro. Ricordo quando, con la pelle d'oca per l'intesità della narrazione, lessi nella Bibbia gli ultimi istanti di vita di Mosè, uno dei pochi di cui non sappiamo dove morì (presumibilmente sul monte Nebo nel XII sec. a.C., secondo Wikipedia) e fu sepolto; ecco, questo tono di epica maestosità in Mann non c'è, ma non è un errore, è una scelta perché la storia qui narrata è realistica.
"Mosè, servo del Signore, morì in quel luogo, nel paese di Moab, secondo l'ordine del Signore. Fu sepolto nella valle, nel paese di Moab, di fronte a Bet-Peor; nessuno fino ad oggi ha saputo dove sia la sua tomba. Mosè aveva centoventi anni quando morì; gli occhi non gli si erano spenti e il vigore non gli era venuto meno (...) Non è più sorto in Israele un profeta come Mosè (lui con il quale il Signore parlava faccia a faccia) per tutti i segni e prodigi che il Signore lo aveva mandato a compiere nel paese d'Egitto, contro il faraone, contro i suoi ministri e contro tutto il suo paese e per la mano potente e il terrore grande messo in opera da Mosè davanti agli occhi di tutto Israele" Dt 34,5-12
Post Scriptum | ho cominciato a leggere questa saga che avevo ancora un padre e una zia, l'ho conclusa che entrambi se n'erano andati.
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