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IL RICHIAMO DELLA FORESTA

Jack London

Lo lessi da piccolo - forse "giovane"? - e anche oggi trovo questo racconto veramente strano. Bello, indubbiamente, ma strano. La storia meriterebbe più pagine invece delle 70 che copre ma, per come è pensata, non potrebbe essere: il punto di vista è quello del cane, ed è un cane non romantico come i cani che abbiamo oggi che pare che siano prossimi ad avere diritto di voto ed essere ammessi all'università, bensì un cane che rimane cane, che rimane animale.
Jack London era un tipo pratico, un uomo ancora figlio dei coloni americani e della Frontiera, il suo credo era il darwinismo sociale inteso ancora come lotta per la sopravvivenza, homo homini lupus come concetto adottato per qualsiasi essere vivente. Può essere un concetto di "darwinismo" considerabile forse superato, ma il buono di questo concetto - e per l'ennesima volta ringraziamo Darwin - è che porta a riconoscere ogni animale come puro e semplice animale. Homo compreso.
Il cane resta dunque un cane, un animale il cui comportamento è piegato dall'educazione e dall'ambiente; appena questi due caratteri cambiano, cambia il comportamento del cane. Buck, se prima regnava su un giardino recintato ovvero ben delimitato, mangiando pietanze ricercate, accarezzato e lavato, si trova di colpo in un mondo in cui il suo ruolo è collaborare, legato ad una cinghia con altri cani, col gruppo formato da cani ed umani per superare gli ostacoli dell'ambiente spietato del grande Nord tra gelo, neve, pioggia, fiumi ghiacciati che si sgretolano, fame, lotta al predominio. Di colpo si trova cioé in un mondo più simile a quello dei suoi antenati lupi dove vi è un branco e dove c'è spazio per un maschio alfa e per la lotta spietata a questo titolo.
Dato ciò, la narrazione dal punto di vista del cane non può essere troppo articolata ed elaborata perché tale non è il cervello, ovvero il comportamento - dato che in questa visione materialistica si equivalgono -, del cane, quindi il narratore impersonale che forma il libro rispecchiando Buck diventa un narratore semplice, diretto, spietato. Da ciò la brevità del racconto, privo di inflessioni umori e sentimenti umani.
Il fatto che lo trovi da sempre strano è dovuto al fatto che, data questa struttura, si passa dall'allegria delle prime pagine, dove vediamo un cane scondizolare e correre e giocare, con una narrativa che rispecchia questo comportamento e questo umore, d'un tratto si passa invece a un mondo di aggressioni bastonate e morte violenta, combattimenti di cani all'ultimo sangue con il perdente sbranato dal resto del branco, che raggiungono in alcuni tratti livelli di violenza inaudita.
Sempre, comunque, restando in una narrazione di fatti ed istinti. Non abbiamo quindi descrizioni dei grandi paesaggi isolati, di tramonti ed albe e ciò che incorniciano l'avvento, di animali al pascolo, di caccia e amicizie e amori. Abbiamo fatti, abbiamo istinti e azione. Questo concetto vale, ovviamente, anche per l'animale homo.
Tutto ciò è bello, preciso, corretto, comprensibile, ma lascia un po' di amaro in bocca perché vorremmo comunque avere anche una visione diversa di questa storia. Ed è per questo che, a mio avviso, vale la pena vederne anche un film.

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  • Il richiamo della foresta (stato: Libro finito )
  • La peste scarlatta (stato: Libro finito )
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