mar 03/12/2024 | RSS | Menu

IL COMPLOTTO CONTRO L'AMERICA

Philip Roth

Il protagonista si chiama Philip Roth, è lui che narra la storia e in tempo reale, la storia che però è ambientata in un mondo che non accadde, è infatti un romanzo ucronico e attraverso la storia possiamo vedere da vicino una nazione il cui capo dello stato , fortemente antisemita, si allea con Hitler dando vita a una società che non vuole gli ebrei o perlomeno l'ebraismo. I sentimenti sono probabilmente gli stessi che provavano gli ebrei della Germania al sorgere di Hitler tranne che in Germania, in Europa, gli ebrei vivevano già in uno stato di tensione immersi da sempre nell'antisemitismo e in continui tentativi di eliminazione di massa, scaturenti da un odio perennemente presente. In America non è così, là si sentono (sentivano, dal punto di vista del romanzo) al sicuro e ciò che accade è dunque inaspettato e le reazioni dei cittadini ebrei sono svariate: esagerano ad avere paura? Del resto Lindbergh ha solo stipulato un accordo di non aggressione reciproco con l'Asse. Molto ebrei lo appoggiano, perché non pensare che forse è la scelta giusta per evitare una strage di soldati? Perché è sbagliato lasciare l'Europa al suo destino in cambio della pace negli Stati Uniti e la fine della Grande Depressione? Forse Just Folks serve veramente a forgiare ragazzi forti che sanno e amano lavorare, e non a trasformarli in bravi cristiani. Nella realtà, la nostra, fuori dal romanzo, anche tra i nazisti c'erano collaborazionisti ebrei e Eichmann se ne servì per individuare e raccogliere (come il contadino le patate dall'orto) gli ebrei da mandare ai campi, si forni, allo sterminio. Forse è così, forse non c'è da temere; o forse, come accadde nella realtà, è solo un modo per spezzare l'ebraismo facilitando il raggiungimento di questo scopo grazie agli ebrei stessi? È mero, laico capitalismo, o vero antisemitismo? I campi di lavoro sono veramente campi per l'assimilazione alla e divulgazione della società americana e dei suoi ideali, o il fine è l'esilio e la disgregazione della popolazione ebraica americana? E' forse Winchell l'ennesimo giornalista alla ricerca del sensazionalismo magari con una teoria del complotto poiché gli dà una visibilità ancora maggiore, a scapito della verità? Può essere che l'America di Lindbergh si stia dimostrando ancora più furba dei nazisti, minando con manovre ancora più subdole e celate la solidità della struttura sociale ebraica? Oppure Lindbergh è solo una marionetta manovrata dietro le quinte? Roth è bravissimo a creare e mantenere questa atmosfera di continuo dubbio nel lettore, perché ricrea così il continuo timore e la perenne tensione dei protagonisti del romanzo, una tensione palpabile, a volte quieta a volte burrascosa e che rovina le esistenze dei singoli personaggi come della intera comunità. Dati oggettivi sembrano esserci: Lindbergh appoggia più volte la politica di Hitler e Von Ribbentrop viene ricevuto alla Casa Bianca con tutti gli onori, questo è innegabile, ma basta a sancire che c'è un complotto contro gli ebrei o è solo una politica troppo ambigua per giacere però in pace mentre nel resto del pianeta infiammano la guerra e la distruzione e allo stesso tempo manovrare forze esterne indipendenti allo scopo di demolire il pericolo comunista, come accadde anche nel mondo reale (vedi Vietnam, Corea, ecc.)? L'America è lontana un intero oceano dall'Europa e può considerarsi relativamente al sicuro da invasioni, è dunque possibile che la politica così ambigua della Casa Bianca abbia come unico scopo di restare fuori dalla guerra e non portare l'ideologia nazista sul suolo statunitense, allo stesso tempo sfruttando l'occasione per dare ancora più corpo alla cultura americana e alla sua identità sociale e patriottica. Il dubbio, l'incertezza, permane per tutto il libro anche quando i tempi si fanno più duri e crea uno stato di tensione che dai protagonisti arriva fino al lettore; credetemi, Roth riesce a farvi calare nei panni dei Roth del romanzo e comincerete a guardarvi in giro con sospetto, a tremare di fronte al telegiornale, a girarvi di scatto ogni volta che sentite urlare per la strada. L'unico punto debole, a trovarne forzatamente uno, è il finale che lascia troppi dubbi aperti, ma facciamo attenzione perché non è probabilmente una superficialità: il paragrafo si chiama "Eterna paura", piuttosto insolito visto che lì si risolvono i problemi. Il fatto è che nonostante ci sia una soluzione ai problemi (e nel complesso la storia ucronica si riallinei con la storia reale), rimane comunque uno stato di tensione nella popolazione ebraica americana, una percezione della propria vulnerabilità, una sottolineatura del proprio essere perennemente in pericolo nel mondo. Rimane una, appunto, eterna paura della società di cui si è parte ma non sempre pienamente tollerata. La scrittura è perfetta, forbita, a tratti arzigogolata nelle descrizioni ma nel complesso senza mai portarci all'esasperazione tant'è che si legge bene e velocemente, nei limiti di un romanzo che è sicuramente dotto e profondo. Un esempio è il matrimonio tra zia Evelyn e il rabbino Bengelsdorf, ci sono ben tre facciate e mezza di elenco di invitati più un'altra facciata abbondante con una lettera di felicitazione della moglie di Lindberg, riprodotta per intero. Sebbene scrittore profondamente ebraico, rimane uno scrittore tipicamente americano e sia nello stile narrativo sia nell'impianto stesso della storia a me ricorda a volte Faulkner, non so perché. Philip Roth è un'altra continua testimonianza del perché il Nobel alla letteratura finisca spesso in mani più che immeritevoli (Dario Fo, Bob Dylan, per fare due nomi banali, ma ho letto qualche pagina dell'ultimo Jon Fosse e metterei anche lui nella cricca).

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  • Pastorale americana (stato: Libro finito Libro molto apprezzato! )
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