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Robert E. Fulton Jr: One Man Caravan

Categoria: LIBRI

KEYWORDS: libri | moto | recensioni | scrittori | viaggi |
Inserito in DATA: 01/03/2014 | Vai ai COMMENTI
Impressionante. Sono uscito dalla lettura di questo libro sconvolto, un po' triste. Come tutti i grandi romanzi, o le grandi avventure, si stringe un rapporto intimo col narratore, o il protagonista, e quando ci si lascia c'è sempre una pacata, serena, malinconia.
Forse il termine migliore resta quel gioiello tuareg (tamashek) che è "Assouf", la malinconia solitaria del carovaniere cullato dall'ondeggiare ritmico del cammello nel deserto, sotto il sole. E' un termine che ho scoperto qualche anno fa, quando ho iniziato ad informarmi sulla grande cultura dei nomadi del deserto, e che forse solo loro possono comprendere appieno: questo termine infatti indica uno stato che difficilmente noi possiamo provare. Quando il nomade si mette in viaggio con la carovana, si ritrova ad attraversare uno tra i posti meno ospitali del pianeta: i suoi ritmi biologici devono rallentare il più possibili per diminuire il consumo di liquidi, e per evitare ciò anche la psiche ha il suo ruolo. Una mente che lavora, è un organo che consuma: l'assouf è dunque quello stato di immobilità ipnotica in cui su lascia cadere il Tuareg mentre, cullato dall'ondeggiare del passo felpato del cammello, attraversa il deserto salvaguardando quanto possibile il suo cibo, la sua acqua, la sua salute. Allo stesso tempo, tuttavia, questo stato d'animo rappresenta anche l'abbandono della tribù, della famiglia, degli amici, mentre la carovana dovrà compiere il suo lungo viaggio.
A volte un motociclista riesce a raggiungere qualcosa di simile a questo stato: dopo un'ora circa di guida, l'ho provato io stesso, le scomodità della sella e delle vibrazioni quasi scompaiono, l'adrenalina della partenza si quieta, ed entri in una simbiosi mentale con il paesaggio che attraversi. E' noto che i primi km di un lungo percorso sono i più duri: dopo un centinaio, si potrebbe correre per giorni e giorni di seguito!
E' lo stesso sentimento che Fulton, abilissimo scrittore, descrive quando deve ricordare le persone incontrate nel suo viaggio. Magari anche solo un incontro di qualche ora, o poco più: eppure, loro sono stati, e saranno, suoi amici. Nel mio piccolo, è quel bellissimo rapporto che si crea quando si condivide un viaggio in moto con uno fino a quel momento sconosciuto personaggio. Alla fine si è amici: più amici dopo una settimana passata, paradossalmente, perlopiù nell'isolamento del casco, piuttosto che con una persona che si frequenta da decine di anni. Sono rapporti che sono subito intimi e immediati (o burrascosi e distruttivi, raramente) e che non periscono mai. Ho amici che non vedo da anni ma con cui ho condiviso qualche centinaio di chilometri e una serata in qualche alberghetto fuori mano, eppure continuiamo a sentirci come ci fossimo lasciati la settimana prima.

Io provo questo sentimento anche quando finisco un bel libro. Il protagonista, o i protagonisti, sono diventati ormai per molti giorni miei amici, e il non rivederli più lascia molto amaro in bocca. Con questo libro Fulton ha scritto un capolavoro del motociclismo: superiore, per lo stile narrativo, a tutti gli altri che ho letto. Se si fa un paragone con Bettinelli, o con Ted Simon, si vedrà che la strada percorsa è minore, che il tempo trascorso dall'inizio del viaggio è pure molto minore, ma la capacità narrativa ed evocativa di Fulton è di altro livello. Si parla ormai di "letteratura".
Ciò non toglie che il racconto di un viaggio in moto effettuato negli anni 30 lasci senza parole. In giro per il mondo c'è ancora l'Impero Britannico, Fulton incontra guarnigioni francesi, fortini, muraglie, avamposti armati nel nulla assoluto di una steppa indiana... Sono più gli occidentali che incontra, che le popolazioni locali. E' l'unico libro, peraltro, in cui l'autore riesce ad entrare in moto in Cina.

Quello che lascia senza parole è la facilità, comunque, con cui gira per il mondo. Ti prende pure in giro, con le sue saltuarie riflessioni del tipo "Al giorno d'oggi è facile, cinquant'anni fa doveva essere più dura": eppure parla nel 1932!
Un brano della traversata della SIria mi ha fatto quasi sorridere:
Dov'era quella notte che mi aveva riempito l'anima, dov'erano quegli uomini semplici, i fuochi, le ombre danzanti? Il sole - il Magico Cacciatore d'Oriente - aveva distrutto ogni cosa, non con una pietra ma con un macigno.
Attraverso i massicci portali del caravanserraglio si riversarono autobus stracarichi di arabi con la pelle scura e le vesti cenciose: dentro, fuori, sul tetto, sui parafanghi, sul cofano - erano ovunque. La notte era finita. Questo era il giorno, saturo di taniche di benzina, gas di scarico e camion; questo era il XX secolo. Dov'erano i cammelli, le navi del deserto che avanzavano arrancando nella sabbia? Ora sulle dune millenarie le merci erano trasportate da navi d'acciaio che macinavano i chilometri, guidate da arabi cinici come tassisti.
La Siria è stata raggiunta dalla civiltà e oggi è una terra di anacronismi. Nel raggio di una manciata di miglia si incontrano castelli crociati e moderni college in stile americano, tende beduine e autostrade militari, cedri del Libano e camion enormi che vomitano odore di gomma bruciata nell'aria desertica.
Povero Fulton, non avevi, nella realtà, la più pallida idea della deformazione del pianeta che la Civiltà poteva dare: con l'avvento della comunicazione facile ed immediata il mondo si è talmente ristretto da diventare un caotico insieme di disastri.
A tratti mi viene da pensare che, con la diffusione dell'informazione feticcia che c'è oggi, che alla fin fine ha generato più estremismi divisori che prossimità che unisce, con la burocrazia odierna nevrotica conseguenza della semplicità di emigrazione, col tentativo dei regimi di sfuggire allo spionaggio ossessivo che c'è dappertutto nel mondo e si è fatto sempre più facile e a portata di mano anche del piccolo hipster sfigato, - mi viene da pensare che oggi sia molto, molto, molto più difficile girare per i popoli in serenità, piuttosto che in quegli anni quando il mondo era talmente più grande che era anche più sicuro.
Oggi, se vai in Iraq, sei semplicemente un "Occidentale", magari pure un "Filo americano", o un "Sionista". Oggi, l'arabo che viene in occidente è uno "Scansafatiche", "Terrorista".
Oggi vieni immediatamente bollato. Perché? Perché tutti abbiamo di continuo, volenti o nolenti, informazioni: via telefono, computer, tv, radio, giornali... Ne siamo invasi: e se da un lato già la qualità dell'informazione è penosa, in buona parte per il fatto che ce n'è troppa e dunque ogni media deve diversificarsi dagli altri, come può; dall'altro è colpa nostra che nella maggior parte quella informazione non la leggiamo, costringendo così il media a venire incontro alla nostra idiozia informativa. Tutti sanno che su internet gli articoli sono letti si e no per un 10%, tutti sappiamo che se vogliamo fare un sito internet dobbiamo scrivere il meno possibile, mentre i giornalisti - che comunque non possono scrivere poco - devono concentrarsi sulle prime righe.
Il mondo è diventato così a portata di mano, così semplicemente, che noi l'abbiamo reso semplicistico e scontato.

Non per niente è solo quando Fulton ritorna nel mondo "civilizzato" che gli fregano la moto!

Parlavo proprio con un mio amico poco tempo fa: non so oggi sarebbe così facile. Se ne accorse comunque anche Ted Simon al tempo del suo secondo viaggio. Il mondo è cambiato, ma in peggio.
Le popolazioni più "povere" un tempo erano comunque soddisfatte di quello che avevano. La vita per quanto dura gli fosse, gli dava da vivere, e non c'era spazio per i "di più" che caratterizzano invece la vita in Occidente.
Il nomade non bollava nessuno, perché non era sua abitudine farlo: il nomade, quando trova un viaggiatore, pensa subito ad accoglierlo e dargli da mangiare, perché è solo così che i nomadi possono sopravvivere. Oggi abbiamo distrutto i nomadi, abbiamo devastato questi popoli e posto delle frontiere nel loro mondo, e loro si sono ritrovati come la rana in Frog: perlopiù presi sotto, e pilotati da qualcun altro. Così sono finiti. E coi nomadi siamo diventati dei nevrotici anche noi: non possiamo più stare da soli, anche chi non abbiamo a portata di mano dobbiamo conoscerlo, assolutamente, e giudicarlo.
Noi non potremo mai essere come i Nomadi, le nostre porte hanno doppie serrature e le nostre finestre hanno le inferriate.
D'un tratto vidi in fondo alla gola una luce tremolante: un fuoco! Mi concentrai su quella fiamma cercando di tener duro. Non mi importava di chi fosse quel fuoco e come mai ci fosse gente in quel posto sperduto, se avesse buone o cattive intenzioni. Il teerreno era estremamente accidentato, non potevo continuare in moto, perciò mi avvicinai il più possibile, appoggiai la moto a una roccia e proseguii a piedi. [...] finalmente raggiunsi il fuoco, intorno al quale riuscii a scorgere una decina di teste e gli immancabili fucili. I cammelli mi lanciarono un grugnito infastidito mentre solo uno degli uomini si voltà verso di me: gli altri fissavano completamente assorti un punto indefinito a innumerevoli miglia da lì. Avvolti in pelli di pecora, spessi indumenti di feltro e stracci, stavano seduti a gambe incrociate, voltando le spalle alla notte. Ero troppo infreddolito per farmi degli scrupoli e così mi infilai tra di loro, allungando le mani intirizzite sul fuoco, poi mi rivolsi sorridendo all'uomo che mi stava guardando.
"Salaam".
"Agh!" mi rispose con un cenno del capo. [...]
Alcuni risposero con una specie di grugnito, la maggior parte non disse niente ma mi fissò per un minuto o due. Poi uno di loro disse qualcosa al suo vicino, che si alzò e scomparve tra i cammelli. Se non fossi stato così intirizzito, avrei probabilmente avuto paura. Ma in realtà non c'era alcuna tensione nell'aria, solo una sensazione di pace e di silenzio, interrotta dal fischio del vento e dal crepitare della legna. In quei momenti non ci si ferma ad analizzare le cose ma si reagisce in modo istintivo, inconsapevole. Il tizio ritornò e diede qualcosa al vecchio, che me lo porse.
"Tieni" sembrava dire il suo sguardo "mangia e buon appetito". Mi sorrise. Involontariamente, avevo superato la prova. Mi resi conto che mi accettavano come loro ospite, offrendomi la loro protezione.
QUando gli chiedono, in Tuareg di Vazquez-Figueroa, cosa ci sia dall'altra parte del deserto, il Tuareg Gacel risponde lapidario:
"Gente", fu la risposta. "Molta gente. Le piace ammucchiarsi in piccoli spazi o in strette e puzzolenti case, gridando e agitandosi senza ragione, rubandosi e ingannandosi come bestie che sanno vivere soltanto in branco".
"Perché?"
"Non lo so perché alla gente piace agire in questo modo, ammucchiarsi e vivere dipendenti l’uno dall’altro. E non ho mai trovato nessuno che lo sapesse con esattezza".

Sapreste rispondere voi?
Quando Ted Simon si ritrova a ripassare per l'Africa interna trova strade asfaltate, e la televisione aveva nel frattempo fatto conoscere a tutto il mondo africano la ricchezza e l'opulenza dell'occidente, ma anche il suo razzismo, la sua invidia e cupidigia, oltre a un sacco di altri pregiudizi. Così non trova più la gente ben disposta, allegra, che lo accoglie e balla e festeggia.
Trova solo relitti seri e minacciosi.

E questo è il mondo in cui viviamo tutti noi, oggi: un mondo pieno di informazione stupida!

La soluzione? Non c'è. Inutile pensarci: non può che andare in peggio. Punto.

Nel frattempo: posate il giornale, cambiate canale dal TG e mettete piuttosto un film. Ma soprattutto aprite un libro, perché i libri patiscono una selezione naturale molto più forte degli altri media, e la loro informazione è di solito meno idiota.

E quando potete farlo prendete e partite, e quando arrivate chiedete informazioni ai passanti, parlate coi camerieri, mangiate cibo locale, andate nei mercati per le strade e frequentate i bar dove non vedete turisti.

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