Eroico BIKER senza frontiere.
Quelli del Sanchez - Bueame Tunisino 2009
In Tunisia in moto senza meta, a passo di cammello, con un'Honda Africa Twin, un'Honda Dominator, una Yamaha TTE
SONO PASSATI 5452 GIORNI DALLA PARTENZA, DIO BOE!
Vuoi vedere la famosa pagina contenente il falso taccuino di viaggio che ha terrorizzato mezza Italia? ECCOLA!
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Bostro-X Fiky MigheTunisia 2009: Quelli del Sanchez - Bueame Tunisino
Qua trovi il mitico report di Mighe: https://www.endurostradali.it/forum/viewtopic.php?f=8&t=8350&start=50#p118028
INDICE: Prologo | Puntata 1 | Puntata 2 | Puntata 3 | Puntata 4 | Puntata 5 | Puntata 6 | Puntata 7 | Puntata 8 | Puntata 9 | Puntata 10 | Puntata 11 | Puntata 12 | Puntata 13 | Puntata 14 | Puntata 15 | Puntata 16 | Puntata 17 | Puntata 18 | Puntata 19 | Puntata 20 | EpilogoPROLOGO - [ torna all'indice ]
Dicembre 2008. Siamo nell'autostrada Sfax-Tunisi. Stiamo tornando indietro da uno splendido viaggio in Libia. Non faccio i nomi di nessuno, perchè non hanno importanza: faccio solo quello di Mighe. Mighe è mal messo con la benzina. Decide di uscire dall'autostrada poichè distributori in questo tratto non ce ne sono, ed io decido di accompagnarlo, anche perchè anch'io preferisco riempire il serbatoio. Usciamo, cominciamo a seguire una strada parallela all'autostrada ed alla fine troviamo, in extremis, un distributore con annesso baretto. Facciamo il pieno, quindi decidiamo pure di fermarci a bere un caffè. Ci sediamo all'aperto, il vento smuove le fronde di un albero, sopra noi l'enorme cielo azzurro d'Africa, davanti a noi distese sconfinate di campi e terreno brullo. Il viaggio in Libia è stato splendido, ma noi pensiamo ai panorami tunisini che abbiamo attraversato, e ci diciamo: "Sai che questo paese sarebbe proprio da visitare? Ma con più calma rispetto ai ritmi tenuti in questo viaggio...". E' così che circa un anno dopo decidiamo di passare le ferie attraversando la Tunisia lentamento, con calma, come dire a passo di cammello.
PUNTATA 1 - [ torna all'indice ]
Siamo da poco ripartiti dall'autogrill di Verona, dove ci siamo incontrati.
Il tempo è bello. O meglio, fa un freddo allucinante, ma almeno c'è il sole. Il mio nuovissimo completo Revit da super-fico del motociclismo avventuriero funziona da Dio! Trattiene l'aria e l'umidità, riscalda, isola, sto benissimo. La moto gira come un orologio. I Bagagli sono legati bene. Pare che tutto funzioni alla perfezione. Quando un centinaio di km prima di Genova il cielo diventa grigio uniforme, la neve a bordo strada ci guarda minacciosa, troppo minacciosa, ed i piccoli fiocchi che vediamo non possono più essere imputati al vento che li solleva dai campi che la sardostrada taglia in due. In men che non si dica ci ritroviamo avvolti nella neve, che cade sempre più fitta.
"Genova 89 km" dice il cartello. Andiamo ad 80 km/h abbondanti quindi penso che ci metteremo un'ora e mezza circa. Sempre che non aumenti...
"Genova 70 km": ora andiamo a malapena a 70 km/h.
"Genova 50 km" e noi teniamo andature ridicole. E' un dramma. Quando arriveremo? La nostra velocità si abbassa sempre di più. Arriveremo?
Nel tratto montano che precede Genova la nostra andatura è di 20/30 km/h. Io ossessivamente tengo le ruote nel solco tracciato dalle auto che ci precedono. Due auto ed un camion oltre me c'è Fiky. Mighe era molto più in crisi ed infatti da un bel po' non lo vedo.
Ad un certo punto... il dramma. Dopo una curva vedo Fiky fermo a bordo strada. Penso (spero) che sia per ripulirsi la mascherina del casco. Non mi fa alcun cenno, ed io non oso fermarmi per non uscire dalla canaletta di asfalto perlopiù pulito. Dopo alcuni km trovo una piazzola e mi fermo ad attendere gli altri. Non manca molto.
Attendo. Attendo. Non arriva nessuno. Lancio verso il cielo la prima di una lunga serie di bestemmie. La neve si accumula sulla mia moto e sui vestiti. Compare Mighe, si ferma, mi dice che Fiky era fermo a bordo strada, ma non sa perchè. Cazzo! Perchè dunque Fiky era ancora fermo? Lo attendiamo ma non arriva, dopo un po', indecisi, ripartiamo. Arriviamo all'uscita Bolzaneto e ci fermiamo vicini al Guard-Rail, attendendo un po' ansiosi. La neve ora cade con fiocchi insistenti e grossi. Guardo Mighe, ha un bello strato di neve sul casco, sui bagagli, sulle spalle. Passa un'auto e il conducendente ci informa che "il vostro amico sta avanzando piano, un po' a spinta". Seconda micidiale bestemmia.
Attendiamo ancora, ed alle nostre spalle compare una pattuglia della polizia. Minchia, mica ci faranno la multa perchè siamo fermi? Dal megafono esce l'annuncio che conferma ciò che noi non volevamo ammettere continuando a parlare di visiera appannata o altre cazzate: "Il vostro amico è rimasto a piedi e vi raggiungerà col carro attrezzi, uscite al casello Bolzaneto". Merda!
Usciamo, dopo alcune peripezie sulla neve ormai alta, e ci sistemiamo in una galleria che non capisco se è un vecchio scolo fognario o che altro! Finalmente ci facciamo l'un l'altro la fatidica domanda: "Ma i cazzo di spargi-sale dove sono?!?!?" - Infatti non ne è passato neanche uno. Alla fine Fiky arriva, è riuscito a mettere in moto il canchero, a volte, un po' ha proceduto a spinta.
Riparte a spinta verso una officina che gli hanno segnalato poco più avanti, lo raggiungiamo ma l'officina è di sole auto, quella per le moto è più avanti di circa 700 mt. Sono quasi le 18, la troveremo aperta? Si, la troviamo aperta perchè un trasportatore è in ritardo! Che culo! Prendono subito in mano la moto di Fiky, in effetti veder arrivare tre motociclisti dall'altra parte d'Italia con 3 cancheri di moto, sotto la neve... stringe il cuore.
E mentre Fiky osserva la sua moto sotto i ferri, e la neve ricopre pian piano la strada, Mighe mi dice: "Guarda quell'albergo là, sai qual'è?" - E' dall'altra parte della strada.
Antefatto: inizialmente dovevamo fermarci la notte a Genova in un albergo che però non voleva tenerci il casco integrale fino al nostro ritorno, per cui avevamo ripiegato per un B&B più lontano e costoso. E quell'albergo davanti all'officina è proprio quel primo albergo!
Guardo la mia Africa, è ricoperta di neve. Posto che la moto di Fiky riparta, come arriveremo al B&B? Le strade sono impraticabili. Mighe si decide a chiamare l'Albergo, ci daranno la camera, e il giorno dopo acconsentiranno a tenerci i caschi.
Riepilogando le coincidenze:
Insomma, nella sfiga, un bel po' di culo, no? In albergo ci cambiamo, una pizza in una trattoria, ed il giorno dopo freschi come rose, con un bel sole che scioglie i ghiacci (nonostante le previsioni avessero dato "DISASTRO"), e alcuni bagagli lasciati all'albergo in deposito - li ritireremo al ritorno - ci dirigiamo verso il porto. Qua passiamo il tempo a bere qualche birra, guardare le varie moto parcheggiate - tra cui 3 australiane - e parlare (io) con dei tizi che si imbarcano con noi e che faranno Tunisia-Libia-Egitto-Giordania-Siria-Turchia-Grecia. Mighe li odia perchè hanno delle BMW; io li stimo perchè macinano km; Fiky non li caga perchè già fa pensieri Ressing!
Abbiamo da mangiare in abbondanza ed una bella cassa di birra. Peccato che la nostra fame superi il nostro precedente concetto di "abbondanza", e che la cassa di birra finisca miseramente poco dopo la partenza (in solito ritardo) della nave.
E' fatta, siamo al largo, e la nostra prossima meta è l'Africa del Nord! Del viaggio c'è poco da raccontare, una palla pazzesca.
Tunisi. Una città moderna; dietro un alto minareto, svetta un campanile; all'orizzonte un enorme arcobaleno. Cielo d'Africa, enorme, con un sole inquietante tanto è alto nonostante l'ora. Finalmente! Si scende, siamo ufficialmente in terra d'Africa e mi batte forte il cuore. Andiamo in centro a cambiare dei soldi. Mi emoziona passare davanti al distributore in cui l'anno scorso facemmo la prima tappa appena scesi a notte fonda dalla nave, ed in cui materializzai per la prima volta di essere in Africa. Da quel distributore mandai a mio fratello un sms, ricordo bene, con scritto "E' ufficiale. Il Bostro è in terra africana". In centro ci chiediamo come fare per trovare la strada verso El Kef. Parlotto con un vecchio alcolista locale (tenetelo a mente), il quale mi dà il benvenuto. Poco dopo Mighe parla con questo vecchio derelitto sdentato per capire quale strada fare, visto che siamo pure tardi. La sua risposta è tanto ovvia quanto geniale: accordarsi con un taxi che dobbiamo seguire e che ci porterà all'uscita di Tunisi in direzione El Kef. Il sole è già calato, sebbene neanche un'ora fa sembrasse molto alto in cielo. Mi ero dimenticato del pesante sole africano... Che emozione.
Bene, ci siamo, aiutati dal tassista che non ci chiederà soldi ma un'offerta simbolica (ed al quale lasceremo un capitale, in seguito al quale fatto Mighe dirà "E' meglio che familiarizziamo con le monete, ha fatto una espressione ben troppo felice!") usciamo dal centro urbano e ci mettiamo subito a macinare un bel po' di km, e dopo un centinaio o più ci fermiamo a mangiare capretto alla brace in uno di quei bellissimi posti che ci saranno in seguito così cari. Che facciamo? Il piano prevederebbe di fare tappa ad Hammam Mellegue. Tuttavia ci sono dei punti di domanda, perchè non sappiamo bene com'è, neppure bene dov'è, e se troveremo da dormire. C'è pure, sembra, una sterrata da percorrere... Tuttavia è tardi, la nave ha ritardato troppo.
Ripartiamo a stomaco pieno dopo una pausa caffè in un lurido bar locale, il freddo è terribile ed i km sono tanti; tuttavia, questi km non trascorrono mai... Arriviamo a El Kef tardi e ormai convinti a cercare una pensione "sgrausa", e mentre decidiamo il da farsi dentro un cafè succede il dramma. Usciamo, e dalla moto di Mighe manca il sacco a pelo! Dalla mia mangia una sacchetta laterale! Ma Dio......... quei fottuti piccoli e giovani muslims ce l'hanno fatta, li tartassiamo di domande, continuavano a parlare con noi e toccare il nostro casco. Li minacciamo ma nulla da fare, fanno anche la scenetta di cercarli dietro un cespuglio.
C'è una cosa che non mi convince: una Golf è parcheggiata poco avanti. La osservo, dentro c'è qualcuno, ma che minchia starà facendo? Mentre mi decido se andare o no a chiedere a quelli, la Golf stessa mi viene incontro, e ne esce un tizio. Si presenta come un avvocato di El Kef, ci spiega che la sera sta là dov'era a tener d'occhio la sua nuova casa in costruzione perchè gli fottono i mattoni! Parla coi ragazzini citando la polizia, questi se la fanno sotto e corrono a recuperare la nostra roba! Piccoli muslims figli di puttana!
Il tizio, non contento del suo buon gesto, ci scorta persino fino ad un albergo, dove tratta il prezzo, quindi dopo che abbiamo scaricato tutto nella Hall ci carica in auto e ci porta a bere birra. Seduti al bar, siamo contenti; io mi godo la mia prima Celtia del viaggio, quando origliando a Mighe ed al Tizio misterioso che parlottano scopro che stanno sparlando del grande eroe Silvio El Berlusca! "Io vi ammazzo" urlo, ma nessuno mi capisce e/o mi caga, e così nella stanchezza e nel gelo della mia prima notte africana del 2009, sorseggiando alcune Celtia, scopro con notevole dispiacere che il mio amico Mighe è un rosso maledetto comunista mangia-pargoli! Io e Fiky siamo perplessi, di fronte alla scoperta che il nostro compagno di viaggio è un rosso bolscevico, probabilmente è venuto qua in Tunisia per cercare contatti con qualche "cellula". Ma cazzo, è di Padova, ne avrà ben di più vicino casa!!! Siamo costernati, mentre il nostro amico avvocato tenta di addomesticarci con concetti grandi importanti ed innovativi quali "Vivere la vita col cuore", "Amare gli altri", "Umanità che si aiuta" e via dicendo, e tenta persino di farmeli capire dicendo che dovrei, da filosofo, ascoltare di più Aristotele. Non gli replico che il greco non era proprio questo grande esempio di umanità, ma lascio perdere, sempre costernato dalla scoperta della vera identità di Mighe.
Mi chiudo in me stesso, pensando al da farsi con questo individuo...
Nel frattempo Fiky parlotta tra sè e sè facendo pensieri ressing...
Chiudiamo la nottata con un giro alle due di notte circa in auto per El Kef vecchia col tizio che sorseggia caffè da un bicchiere che sarà lì nell'auto da questo pomeriggio... Andiamo a dormire un po' brilli. Questo primo giorno è stato già sufficientemente intenso.
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Mi sveglio un po' congelato in questo bell'albergo freddo come un letto di morte. Ieri notte, quando siamo andati a dormire, il freddo era terribile. Le auto parcheggiate avevano un velo di ghiaccio a coprirle come un sudario. L'avvocato oggi voleva portarci in giro per tutta El Kef. Era una persona veramente tanto gentile, ma un po' troppo invadente. Ogni rumore, ogni movimento di auto, ci fa temere di vederlo comparire dietro la curva, così acceleriamo il rimontaggio dei bagagli e salutata la fighetta francese dell'albergo ce ne partiamo. Come l'anno scorso, andando in Libia, anche quest'anno il primo giorno tunisino si è svolto di notte, e svegliarci guardando la pianura tutt'attorno che ieri era tutta nera come le vacche di Hegel ci lascia senza parole. La Tunisia appare immediatamente un paese splendido; questo sentimento si ripeterà in me ogni volta che guarderò il panorama circostante, ogni giorno, in ogni luogo. Colline, pianure, campi, colori, è splendida.
La nostra destinazione è Hammam Mellegue, ancora; questo paesino citato appena nella mia guida Lonely Planet mi aveva a suo tempo lasciato un'impressione molto bella. Abbandonato nei monti brulli sopra El Kef, che dall'albergo appaiono ancora lontano e misteriosi, nasce come avamposto romano costruito attorno ad una sorgiva di acqua calda. La cosa più bella è che, a quanto si dice (su Internet infatti non se ne trovano molte notizie) alcuni bagni romani sono tutt'ora rimasti tali e quali e trasformati in Hammam. Vaghiamo un po' prima di trovare la strada giusta.
In lontananza si sentono strani colpi, come scoppi: tra una curva e l'altra immersi negli splendidi colli del canyon del fiume Mellegue non solo li sentiremo, ma ad un certo punto li vedremo: sbuffi di polvere si sollevano infatti a tratti attorno a lontani mortai. Sono esercitazioni militari, probabilmente volte ad intimidire indirettamente i molto vicini confinanti algerini. E' un clima di tensione che in parte rovina l'atmosfera bucolica, sebbene per poco tempo. La strada è tutta asfaltata, mentre le informazioni in merito suggerivano doverci essere uno sterrato, ed arrivato ad Hammam Mellegue scopriremo che è asfaltata da soli 6 mesi. Merda! Anche qua l'avanzata del bitume, come scopriremo anche in seguito, è continua, inarrestabile, e come da noi fastidiosa.
Rovine romane in ottimo stato sono abbandonate in ciò che chiamare "villaggio" è eccessivo. La strada asfaltata finisce direttamente sulle rovine, e da una casa sul lato opposto esce sornione un tunisino che si offre di farci vedere il vedibile. Gli Hammam sono chiusi per ristrutturazione; parola che nell'ottica di ciò che ci corconda non avrebbe molto senso, se non in realtà uno, terribile e spietato: è l'avanzata del turismo. A breve sorgerà sicuramente un albergo, le terme saranno ricostruite, riammodernate. L'avanzata inquietante del turismo si nota già da piccoli particolari: ad esempio, il tunisino ci mostra la sorgente. Da un acquedotto romano interrato sgorga l'acqua in una piccola pozza, che poi scende dal crepaccio nel fiume. In questa pozza, ci dice, sono soliti immergersi i turisti; ed in effetti non serviva neanche ce lo dicesse, poichè i barattoli di Panten, Fructis e simili ne sono la mesta prova. Mi chiedo: ma che senso ha venire in un villaggio abbandonato da Dio, in una pozza di acqua calda nel fango, con attorno merda di vacca e cammello, e lavarsi col bagno schiuma?
Non lo so. Il turismo che si porta dietro con sè le proprie abitudini non lo capisco per nulla. L'occidente che va in Africa portandosi in tasca le abitudini occidentali è un controsenso. Vattene alle terme in Austria, cazzo, se proprio vuoi lavarti per bene!
Insomma, un po' estasiato, un po' rattristato (parlo sempre per me, non so come la pensino i miei compari, anche se suppongo i sentimenti siano simili), ce ne ripartiamo. Ma non per la strada da cui siamo venuti. Mighe, il nostro traduttore francofono, ha chiesto informazioni sulla strada, e il simpatico tipo ci ha indicato una pista che, guadato il fiume Mellegue, ci farà fare un bel giro a nord poi riportandoci sulls statale che scende a sud e che dovremo utilizzare per raggiungere la nostra prossima destinazione, la misteriosa Tavola di Giugurta.
La pista di terra comincia tranquilla, qualche pietra messa un po' male aggiunge subito un po' di pepe alla guida, ma la cosa più bella è il guado. Simpatico, sufficientemente profondo, io nel mio classico stile lo prendo a 200 km/h devastando ogni cosa attorno a me e, soprattutto, lavandomi da capo a piedi. Cominciare la propria avventura off-road in Tunisia con un guado è quasi un contro-senso, ma noi l'abbiamo fatto! Lo sterrato è fantastico, i panorami sono micidiali. Si passa dal sottobosco, alla pianura, alle serpentine scavate da canaloni d'acqua, su cui Mighe appoggia pure la moto, ai biscioni battuti con vista a 40 km di distanza. A mio parere, uno sterrato bellissimo, lungo una trentina di km grazie alle nostre deviazioni non propriamente volute, con difficoltà saltuarie che rallegravano una guida sempre allegra; insomma, uno sterrato che inaugura in modo magistrale la nostra esperienza off-road in Tunisia.
Quando lo sterrato finisce siamo tristi, ma ripartiamo per una stradina niente male, con asfalto rovinato, e che ci riserverà, pare strano ma è proprio così, un secondo guado. La strada asfaltata infatti supera un guado pavimentato in cui l'acqua di un torrente scorre apparentemente profonda e sicuramente veloce e burrascosa. Mi butto per prima, non capisco quanto è alta per cui mi ci butto con decisione. Non conosco ancora bene l'Africa Twin, per cui mi ci butto ancora più allegro, col risultato che ne esco con persino la visiera che sgocciola!
Non so per quale motivo, ma i guadi sono sempre un momento di allegria particolare per un endurista. L'enduro è bambino: come i bambini, si gioca nel fango, ci si butta nell'acqua, si corre ed a volte ci si fa male, ma si ride come matti. Figuratevi farlo in un paese dall'altra parte del Mare Nostrum, in un paese chiamato Africa...
Vedere poi passare per lo stesso guado che noi abbiamo attraversato come fosse un gesto da eroi assoluti, guardarlo fare anche da un motorino e da un uomo in sella ad un mulo, è da un lato umiliante, dall'altro esilarante.
Ripartiamo verso la Tavola, che ora, timidante, dietro la foschia all'orizzonte comincia a delinearsi. E' un enorme blocco roccioso che sale docile, per poi andare su a picco fino ad un piano quasi perfettamente orizzontale che quasi pare costruita da una mano enorme. La teoria teologica dell'architetto può trovare qua una prova apparentemente inconfutabile. Se non fossi inguaribilmente ateo, potrei diventare un estremista teologico.
Arriviamo in un paese che senza mezzi termini oso definire di merda. E' la porta di accesso alla Tavola, che si erge minacciosa così vicina che pare immensa, enorme, irraggiungibile. Compriamo qualcosa da mangiare: i nostri folli piani prevedono infatti campeggio selvaggio in un posto qualsiasi ai piedi della tavola. Abbiamo trovato la pasta, il tonno per il sugo, il the per la notte, il caffè per il mattino, le scorte d'acqua; ma manca una cosa indispensabile, fondamentale, per la riuscita di un piano così idiota: LA BIRRA! Eppure in paese nessuno ce l'ha. Mighe "Le Traducteur" parla col negoziante, io sono a fianco, e ad un certo punto tra i sussurri di quest'ultimo sento la mistica espressione "marchè noir", a seguito della quale noto la comparsa di un inquietante ghigno sul volto di Mighe. Dopo una decina di minuti un tunisino anzianotto ma con fare sospetto ci si avvicina con un sacco che non apre e ci intima di non aprire, ma da cui esce un allegro trillo di vetro. Gli diamo la corretta corresponsione, e partiamo per la Tavola. L'asfalto rovinato lascia ben presto lo spazio ad una pietraia che a tratti dà allegri scossoni all'ammortizzatore posteriore; il sole cala, le ombre si allungano, lo sterrato si conclude in un bellissimo spiazzo d'erba su cui c'è un fuoristrada parcheggiato. Parcheggiamo lì le moto, c'è un muretto che dà direttamente sulla pianura sottostante con una visione talmente grande e larga che quasi lascia senza parole, anzi, lascia realmente senza parole visto che le poche che riusciamo a dire vengono portate via dall'impetuoso vento che spazza ogni angolo del nostro campo base. Non ci lascerà mai un minuto di riposo, questo vento. Mai, per tutta la notte.
Una scalinata attraversa un arco di presumibile fattura romana salendo verso la piatta cima della Tavola di Giugurta. Questo monte piatto diede rifugio a Giugirta ed alle sue truppe durante la sua grande battaglia difensiva contro la strapotenza romana. La fattura romana di quell'arco che si intravede lascia intendere il triste risultato della battaglia di Giugurta.
Dalla scalinata scendono una famiglia svizzera (moglie, marito, bambino in fasce) e il guardiano della Tavola, un simpatico tunisino che ci conferma la possibilità di campeggiare in loco. Sposteranno l'auto dopo che noi, senza troppi complimenti, pianteremo le tente occupando ogni centrimetro quadro di quello spazio riparato da un muretto. E che avranno mai da rompere i coglioni? Hanno una macchina, ed una tenda super-fica montata sul tetto dell'auto; noi invece siamo dei miseri motociclisti. Nel mezzo della notte i poveracci, invece, scapperanno dalla piana della Tavola e dal suo terribile ed incessante vento, verso non si sa dove; ce lo dirà il custode la mattina dopo. Montiamo le tende, mentre il tramonto ci offre uno spaccato mezzo in ombra, mezzo illuminato di tutta la piana circostante, in fondo alla quale si vede benissimo la terra di Algeria, che noi motociclisti guardiamo con particolare bramosia.
Il buio cala, è notte, beviamo le nostre birre da Mercato Nero congelati tentando in ogni modo di proteggerci dagli zufoli violenti e gelidi che ci entrano tra i vestiti. Cuciniamo nel mio fornellino, inaugurato per la sua prima volta, un'ottima pasta al tonno, quindi per riscaldarci ci cuciniamo anche un ottimo Thè verde senza zucchero, spariamo cazzate a raffica tentando di liberarci di un cane che all'inizio ci fa cacare sotto pensando sia un randagio, mentre invece è del simpatico custode che si stabilisce tranquillo e beato in un'insenatura tra le rocce che probabilmente conosce bene, in cui si accende un ristoratore fuoco e che quasi ci fa invidia, poichè pare stare più bene di noi. Siamo disfatti dal freddo, anzi, anche questa volta parlo solo per me; sono disfatto dal freddo. In tenda il vento entra da ogni parte, la tenda sbatte e anche se mi addormento mi sveglio quasi subito per il rumore, che palle, l'aria passa dappertutto, che rumore, che freddo, che palleeeee!!!
Il mattino del giorno dopo mi sveglio con un raffreddore da paura!
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Che risveglio angosciante, col cazzo che ci facciamo la colazione col fornelletto! In 5 minuti consumi 2 fazzoletti! Siamo congelati e non vediamo l'ora di metterci in moto per riscaldarci un po'. Lo sterrato che ci aspetta esaudirà le nostre preghiere: pezzi di roccia smossa che richiedono concentrazione e forza sulle braccia sufficienti a riscaldarsi quanto basta. Ma soprattutto, che paesaggi! La Tunisia, già dal terzo giorno, appare impressionante, con paesaggi che cambiano di continuo. Vari come in un sogno.
Fantastico ad un incrocio dove io arrivo tutto imberlato per lo sterrato fatto di mattina preso a crudo senza colazione. Quando chiedo a Mighe da che parte andare mi dice: "Bostro, lì se tuto piato, lì se tuto drito, cos te vol, ndemo driti", e dritti sia! Pietraia a gogo-gogo!
Torniamo sull'asfalto e veniamo fermati in una postazione della Gendarmerie; solita trafila in cui prendono in un foglietto a caso tutti i tuoi dati e della moto, quindi chiediamo informazioni sulla strada che sulla mappa Michelin si vede scendere costeggiando il confine algerino, verso Tamerza. La risposta è perentoria: "Scordatevela!" - Casini vari con l'Algeria hanno costretto il governo tunisino ad interdire le strade che passano troppo vicine ai confini, per cui siamo costretti ad aggirare la Tavola e a scendere lungo la statale principale, percorso allucinante per il fortissimo vento che arriva dall'Algeria (e che in seguito troveremo in tutta la Tunisia, nazione in cui il vento pare venire sempre da Ovest) e che ci fa correre con le moto letteralmente storte!
Facciamo una veloce pausa colazione in un paesino che ci permetterà di avere il secondo contatto (il primo avvenne nei pochi minuti di sosta a Tunisi) con l'elegante bellezza femminile tunisina.
Ripartiamo, sempre con il fastidioso vento laterale a farci fare i funamboli sulla sella. Fiky, ovviamente, è atterrito dal vento poichè rovina la struttura dei tasselli da una parte sola, a livello ressing un vero dramma!
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Facciamo, stremati dal vento, una pausa pranzo in una cittadina, mi pare fosse Metlaoui (che più tardi scopriremo, grazie a Il Triste, essere la città natale della maggior parte degli spacciatori di droga padovani!). Teste di capretto ammiccano a noi, avventurieri da quattro soldi, seduti al tavolo in mezzo ad un marciapiede. Mangiamo una enorme porzione di un ottimo cous-cous, con verdura, salsa piccante e patate fritte.
Ripartiamo lungo strade che sornione si snodano in un paesaggio che rapisce i nostri sguardi ogni secondo incessantemente. Dopo una curva, la strada scende ad attraversare una uadi sabbioso, larghissimo, enorme. E' uno spettacolo che merita una foto. Mi butto sulla sabbia per fermarmi a scattare, appoggio il piede che però finisce su un masso insabbiato, scivola, e di colpo materializzo quanto sia pesante la mia moto con tutti i bagagli. Finisce irrimediabilmente a terra, mentre i miei due compari scorazzano sulla sabbia verso l'uscita dello uadi. Scatto una foto che ora, guardandola, mi lascia quasi deluso, poichè non riesce minimamente a rendere la sensazione di antica grandezza che ho provato in quel momento, o che più precisamente ho subìto.
Facciamo ancora molta strada in pianura mentre lontane ad occidente le montagne sono sempre più visibili. E' là che noi dobbiamo andare. Prendiamo una strada che dalla Michelin sembrerebbe una pista, e che invece pare asfaltata da non molto. Sale pian piano con enormi curve che sembrano punti di sutura ad un enorme canyon che spacca la terra formando il massiccio su cui ci stiamo arrampicando docilmente. E' fantastico. E' il nostro terzo giorno, e sono contentissimo, finora i panorami attraversati sono fantastici, e ci stiamo muovendo con sufficiente calma per poterli godere appieno.
Il sole cala pian piano e noi ci prepariamo per l'ennesimo nostro viaggio in notturna. Arriveremo a Tamerza infatti col buio. Tamerza è la più grande delle cosiddette Oasi di Montagna, un insieme di oasi disseminate in monti brulli e tenute in vita da deboli corsi d'acqua che in passato, a causa di pioggie anomale, hanno raso al suolo alcuni di questi villaggi. Ogni oasi, infatti, è formata dalla città vecchia - distrutta per terremoti come nel caso di Mides, o per inondazioni, come nel caso di Tamerza - abbandonata, e dalla città nuova. Attraversiamo il paese fino a dove finisce l'asfalto e comincia la pista. Pista che, tristemente, il giorno dopo sarà già stata asfaltata; le betoniere che avevamo visto non erano dunque abbandonate... Veniamo abbordati da un tipo che dice di avere un campeggio; ma a noi un amico ne ha segnalato un altro, e non vogliamo improvvisare, avendo già una conoscenza. Quindi arriva tale Abdul, che è una specie di agenzia turistica individuale tuttofare ambulante, e che parla così tanto a favore di quel campeggio, ma così tanto, che alla fine si sbaglia e comincia a parlarne contro, quando ormai noi ci eravamo piegati a dormire lì. Ci facciamo invece dare le indicazioni per il posto segnalato da Pista di Rommell, ma il vincolo di farsi il viaggio in sella con uno di noi (che ad esclusione, sarei io) è insuperabile. Col cazzo che mi porto uno dietro! Adoro la solitudine della moto, e girare con un passeggero mi dà già i nervi in una situazione normale, figurarsi qua, dove io e la mia moto diventiamo un tutt'uno col paesaggio... Propone a questo punto di combinare una vettura che ci faccia da guida. Ma quando gli chiediamo il prezzo, ci spara una cifra talmente fuori da ogni criterio conosciuto (mi pare 150 €) che lo mandiamo a cagare in men che non si dica!
Alla fine ci propone che ci farà uno schema a penna su un foglio. Accettiamo tanto perchè ci siamo rotti i coglioni ed abbiamo sonno. Mighe è comunque soddisfatto: grazie al Triste ha aumentato la sua cultura. E' infatti grazie a lui che scopre che tutti gli spacciatori di Padova, chiamati da lui genericamente "marocchini", sono in realtà originari di Metlaoui.
Andiamo a dormire ben rilassati e un po' brilli, cullati dal rumore dell'acqua he scorre tra le rocce della gola.
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Ci svegliamo, veloce colazione, ed il triste è già pronto a fraccarcelo nel culo! Ci inoltriamo nel lurido palmeto dietro il campeggio, col Triste che ci spiega come i nomadi se ne prendono cura: come si riproducono le palme, come si raccolgono e riparano i datteri, e via dicendo.
Scesi nel canyon, ci spiega da dove arriva l'acqua e dove va, quanto alta diventa quando ci sono le inondazioni. Si introduce nel budello del canyon, bellissimo, e ci spiega dove c'è il sale, come si formano i cristalli di quarzo, ci mostra la silice con cui nella preistoria gli antenati dell'uomo facevano frecce ed il fuoco. Dal letto incavato nei secoli del fiume, saliamo piano piano, fino ad arrivare in cima al canyon, e da là lo spettacolo è maestoso. Lontana, incastonata nella gola, emerge l'oasi col suo tetto di verdi palme, come un enorme gatto verde sornione che pisola al sole lei è distesa tra i monti. Una catena di cime più lontana segna il confine con l'Algeria (che il Triste, con la sua voce gutturale, angosciata e minacciosa continua a dire "pericolosa"; il motto diventerà un classico del nostro viaggio, assieme alla leggenda narrataci da Fiky del Dirty Sanchez e dei Gerbilli, per i quali vi rimando alla documentazione che si trova su internet).
E' bellissimo: la cima tondeggiante erosa del canyon fa sembrare di camminare sopra una nuvola. Infine ci ritroviamo all'interno del palmeto, dalla parte opposta del campeggio, in cui rientriamo dopo una visita alla cascata di Tamerza ormai invasa da un'orda di turisti tunisini dai quali decidiamo di scappare subito. Il Triste ci dà uno dei suoi preziosissimi manoscritti con le indicazioni per visitare la pista di Rommell, le oasi di Mides, Chebika e Redeyef, e un'altra pista che passando a nord del Chott el Garsa ci riporterà a Tamerza. Scappiamo, pausa pranzo poco oltre con un enorme e succulento Sandwich al pollo, e partiamo. Finalmente non abbiamo i bagagli, ed i due bastardi con cui viaggio ne approfittano per portarmi a morire in una pietraia trovata per caso dove il mio paracoppa verrà messo a dura prova. Tra litri di sudore riesco ad uscirne. Cazzeggiamo ancora un po' per qualche altro sterrato che ci permette di arrivare in posti dai quali il panorama è maestoso, ed alla fine partiamo. Valichiamo le cime da cui si scende a precipizio e che finiscono di colpo, e ci ritroviamo in una pianura infinita.
I monti tunisini sono strani: cominciano di colpo, dalla pianura, e salgono su dritti verso il cielo con guglie di una enorme cattedrale pagana. Te li ritrovi in men che non si dica alle spalle e fatichi a credere di essere sceso da là.
Arriviamo ad un crocicchio, e già le istruzioni di quel fottuto Triste sono un casino. Decidiamo di andare a naso seguendo il GPS di Fiky, dove la traccia di Rommell è già vicina, e dopo una lunga pista semi-sabbiosa nella pianura troviamo l'inizio di questa leggendaria pista. Il Generale Rommell, "La Volpe del Deserto", accerchiato dalle truppe alleate, riesce a fuggire durante i 30 giorni di tregua datigli per arrendersi, individuando, progettando e costruendo a tempo di record questa strada, su cui noi ora facciamo scorrere le ruote delle nostre moto. Andiamo piano, molto piano, perchè la strada attraversa un trionfo vero e proprio della natura. Chissà se gli stessi sentimenti che pervadono noi, pervasero anche Rommell; difficile, ma probabile, chi nel deserto ha vissuto appieno come lui non può non averne riconosciuto la grandezza spietata di questo ambiente. La strada è un dedalo nascosto di curve che si insinua timida tra i monti portando sempre più in alto. La pavimentazione rovinata, a tratti assente, rende ovviamente ancora più splendido questo percorso. E' uno dei pezzi più belli, a mio parere, di tutto il viaggio. Di colpo i monti, che sembravano lontani mentre eravamo nella pianura, ci pervadono, ce ne ritroviamo in mezzo senza neppure accorgerci. Quando finisce, il dramma: finisce direttamente in una discarica, quella di Redeyef. Le discariche in Tunisia sono veramente tristi a vedersi: in pratica, tutti i rifiuti vengono buttati dalla gente fuori dalla città, e si creano distese illimitati, puzzolenti ed a tratti fumanti, di schifezze. La Lonely Planet, con uno dei soliti eccessi di sociologismo buonista tipico dei viaggiatori pseudo-romantici, tenta di spiegare che i nomadi erano abituati a buttare tutto fuori dalle oasi poichè i loro rifiuti erano organici e nutrivano da un lato la terra, dall'altro gli animali selvatici e non. Ok, mi può andare bene, ma quando butti una bottiglia d'acqua e l'anno dopo è ancora lì, capirai, no? E' questo che mi fa incazzare di queste guide: giustificare al posto di semplicemente constatare, il tutto nascosto sotto ad un concetto millantamente scientifico di "comprensione".
Mighe pensa seriamente di abbandonare lì il suo rosso cancello, ma siccome si ricorda che io non accetto passeggero sul mio bove nero, allora ci ripensa.
Ripartiamo, riscendiamo dai monti e questa volta, al posto di andare a sinistra verso la pista di Rommell, andiamo a destra lungo una enorme e velocissima pista terrosa e sabbiosa che lambisce a nord, a tratti attraversandolo, il Chott el Garsa. Adoro queste piste, velocissime e che sembrano non finire mai. Lascio andare avanti gli altri che sollevano un polverone da paura, e così mi ritrovo da solo, molto più a mio agio. Alla mia destra la catena montuosa in cui a sera dovremo rientrare accompagna continua ed imponente la mia corsa lungo un piattone che mi ricorda l'ingresso nel deserto in Libia, l'anno scorso, come emozioni. E' inutile, io dovrò, tutta la vita, tornare in questi posti, poichè nel deserto non voglio dire di certo che trovo me stesso, ma diciamo che in parte nel deserto trovo la mia ombra, trovo la mia casa, trovo i miei hobby; la sensazione è quella, trovi qualcosa che è già tuo, ma che di solito non consideri più di tanto.
Ci fermiamo a Chebika a vedere l'oasi, ma è stra-pieno di turisti e di rompicoglioni che vogliono vendermi sassi ad ogni costo. Ripartiamo, e mentre ricominciamo la risalita per i monti eccolo, lo spettacolo supremo: il Tramonto Africano! Enorme, spettacolare, maestoso, Fiky e Mighe continuano a salire mentre il sole cala, temo che se ne sbattano i coglioni (anche se, in Mighe, mi pare strano, ricordandomi del tramonto dell'Elba...) e mi fermo a fare una foto. Riparto per paura di lasciarli allontanare troppo, e li trovo fermi due curve oltre; mi pareva. Saliamo in cima ad una piccola altura, ed assistiamo ad un tramonto immenso, come solo in Africa può avvenire. Mi ricorda il tramonto visto l'anno scorso in Libia, mentre attendevo gli aiuti fermo a bordo strada senza benzina.
Pausa visita alla Cascata Grande di Tamerza (che in realtà non è per niente grande), dove veniamo nuovamente abbordati da quel tuttofare di Abdul che vuole venderci delle palme, e torniamo al campeggio lungo una sterrata interna al palmeto (dove io, sbandando nella sabbia, rischio di investire un bambino che voleva che io impennassi!). Siamo più che soddisfatti: tanto sterrato, tanti panorami, un paese bellissimo.
Gran bevuta di birra a volontà, con anche un momento di tensione quando uno dei vari ubriaconi seduti al bar viene a romperci le balle, dicendo che siamo comunque diversi, "Cartage e Roma - Cartage e Roma", dice come a sottolineare che siamo in guerra. Facciamo a meno di ricordargli penosamente che Roma non solo ha raso al suolo Cartagine, ma ha pure gettato sale sul suo terreno, e così Cartagine è rimasta...
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Mangiamo la nostra porzione di Cous-Cous al campeggio, quindi usciamo per andare a fumare Narghilè in un bar dove ci verrà preparato da un rasta assieme ad un tizio che il rasta ci presenta come il suo amico Il Carbura, un eroe sempre con la cicca in bocca e che pare sia disposto a venderci un cannone di Hashish a 5 dinari. Si fotta, vogliamo solo il Narghilè. Ma Il Carbura diventerà un altro dei nostri idoli del viaggio, ricordato ogni sera. Idealmente diventerà il mio angelo custode, compagno fedele di viaggio e protettore della mia moto. Che infatti si graffierà, romperà, insabbierà... Vabbè...
Volevo lasciarlo segreto, ma lo dico: in realtà siamo usciti in fretta dal campeggio per evitare di incrociare Il Triste, che ormai per noi è semplicemente un grande rompicoglioni sfaticato. Siamo sicuri che ci chiederà dei soldi in cambio dei disegni di merda che ci ha fatto e che più di tanto non ci sono serviti, visto che col GPS avevamo già tutto... Dopo la grande fumata, tuttavia, e le tazze di ottimo thè, da Il Carbura, tornando in campeggio lo incrociamo che vaga come uno spettro nella notte per Tamerza cercandoci. Ci consegna un altro dei suoi preziosi disegni con la mappa per arrivare a Mides e per andare a visitare Ong Jemel, un colle a forma di cammello tra Tozeur e Nefta, e il sito di Star Wars, del quale a nessuno di noi tre fotte qualcosa... Lo molliamo di colpo con la scusa - neanche tanto falsa, del resto - che siamo stanchi, ed andiamo a dormire. Io continuo ad essere devastato dal terrificante raffreddore che mi sono beccato sulla Tavola di Giugurta, e continuo a dormire male.
Il mattino dopo ce lo becchiamo, tuttavia, come un avvoltoio in attesa di queste 3 carogne italiane, e non possiamo più sfuggirgli. Col suo fare fastidioso ed angosciante comincia a dire che si aspetta dei soldi per il disegno. Gli diciamo che pensavamo che i disegni fossero un semplice piacere... ma lui replica: "Sono stato in Germania, in Francia, in Italia e in altri paesi, dappertutto mi hanno fatto piaceri, escluso che in Italia.", discorso che di per sè ci fa ovviamente girare il cazzo. Cazzo che aumenta vorticosamente la sua rotazione quando ci spara una cifra che nemmeno quelli di Dimensione Avventura ci avrebbero chiesto! Trattiamo un po', alla fine ci rompe il cazzo così tanto che gli diamo una cifra più bassa ma sempre esagerata per gli standard tunisini, ma vogliamo levarcelo dai coglioni quanto prima. Triste di merda, che gli spaccini di Metlaoui ti infilino un Narghilè su per il culo! In fondo a qualcosa ci era tornato utile, quell'essere ignobile e svogliato, per fare il giro del canyon, quindi qualche utilità l'ha avuta... Vabbè... Fanculo... Ci vendicheranno i gerbilli, che nella notte lo insidieranno...
Smontato il db-killer (perchè? Bo! Così....) partiamo, ed andiamo a Mides: ancora una volta le istruzioni dettagliate del Triste non servono ad un cazzo. Arriviamo, parcheggiamo le moto e facciamo un giro per le rovine di questa oasi devastata da un terremoto i cui segni ancora si notano sul terreno, completamente spostato. Le venature del canyon mostrano chiaramente lo spostamento avvenuto nel suolo, sono tutte inclinate minacciosamente verso la città vecchia. Il canyon è bellissimo, ma non scendiamo fino in fondo.
Ripartiamo, siamo diretti a Tozeur. Facciamo ancora una volta la strada che scende dai monti e ci ritroviamo in men che non si dica ad attraversare lateralmente l'enorme Chott el Garsa. Abbiamo poca benzina, o meglio, abbiamo fatto un sacco di km e pensiamo di essere in crisi di benzina. Lungo la strada vedo centinaia di dromedari al pascolo, sono animali strani, lenti, eleganti, fieri. Arrivati a Tozeur scopriamo che in realtà le nostre moto consumano meno di quello che pensiamo, scoperta per nulla brutta, anzi! Arrivati nei pressi di Tozeur rimaniamo rapiti dalla grandezza della Palmeraie, che vediamo sulla sinistra ed oltre la quale all'orizzonte risplende il piattono del Chott el Jerid. Mighe non ci pensa due volte: vede un sentiero sterrato inoltrarsi tra le palme e dicendo che sicuramente il campeggio è "di là" vi si inoltra. Sarà per noi una bellissima deviazione sterrata in mezzo alla calma assoluta del palmeto. Usciti dal palmeto a sud, ci inoltriamo per un po' nel nulla assoluto e sabbioso che porta diretto verso il Chott. Vorremmo proseguire per quella pista, che si allunga verso l'orizzonte apparentemente senza alcuna fine, ma il tempo stringe. Dobbiamo mangiare, trovare il campeggio, ed andare a visitare Ong Jemel.
Torniamo dunque indietro e in un postaccio in periferia ci facciamo una mangiata da nababbi, e scopriamo l'esistenza dei Merguez, salsiccette saporitissime e piccantissime, veramente spettacolari. Raggiungiamo a panza piena il campeggio. Il tipo è un pazzo furioso, molto simpatico e disponibile, ma palesemente pazzo. Prendiamo un bungalow, poichè la differenza tra bungalow e tenda è talmente irrisoria che non avrebbe senso. Scarichiamo i bagagli, Fiky riassetta sulla moto il Sag Negativo... che è negativo... Mighe si chiede da dove verrà l'odore di benzina che sente nell'aria... Io fumo una cicca... QUindi partiamo. Subito la voglia di improvvisare sorpassa la necessità di seguire le istruzioni dell'inquietante Triste, ed improvvisiamo (ovviamente, su indicazioni di Mighe) una endurata violenta nella sabbia in mezzo ad una discarica. Dopo alcuni km dove io patisco come un pazzo sulla sabbietta bastarda della discarica, ci incamminiamo per piste fantastiche verso Ong Jemel. Il panorama è inquietante: piste di sabbia si alternano a tracce dure con devastante Tole Onduleè che pare non finire mai, a lingue di sale rimasto in superficie che ricorda la neve lasciata in Italia. Ong Jemel è un bel posto, ma invaso da turisti in vettura che fanno le solite scenette stupide per farsi fotografare, ci stanno così sul cazzo assieme ai bambini che vogliono venderci dalle rose del deserto alla droga, che ripartiamo subito. Io non faccio neppure una foto alla collina! La pista è simpaticissima, solo che a me... non pare giusta... Mi ricordo dal disegno del Triste e dalle indicazioni su internet che Ong Jemel è più a nord della pitsa che dobbiamo seguire e che porta, in un giro ad anello, al sito di Star Wars e quindi a Nefta. Lo dico a Mighe, ma lui dice che non è così: bo, comunque è lui che ha il disegno, e vado sulla fiducia. Dicevo, la pista è una figata: saliamo in cima ad una collinetta e come per miracolo ci accorgiamo che dall'altra parte è ripidissima, quasi verticale; poi tra altre due collinette ci sono delle rampe naturali su cui fare le curve a cannone è troppo divertente. Quindi imbocchiamo una pista incredibile che punta dritta con alcune curve verso - pensiamo noi - il sito di Star Wars. Sabbia a volontà su cui io patisco, terra, Tole Ondulee poca e solchi non molto profondi mi insospettiscono: di qua non passa tanta gente, come invece dovrebbe passare per raggiungere Star Wars. Il sole cala piano, altra zona salata tutta bianca, un laghetto su cui la foto è d'obbligo, una derapata, e un drittone infinito. Ma la strada è comunque secondo me troppo strana: non è tanto battuta, e secondo me è pure troppo lunga. Anche gli altri due miei compari però cominciano ad insospettirsi, il sole cala sempre più e tra non molto è notte, e di colpo ci fermiamo, Fiky guarda il GPS e dice: "Siamo a 18 km dall'Algeria!". E' il dramma: in pratica, ci siamo persi! Sta per venire notte, io pieno di raffreddore, non abbiamo molti vestiti, poca acqua. Che fare? Torniamo indietro, ma abbiamo fatto tantissima strada, troppa. Ringraziando dio abbiamo il pieno nel serbatoio. Fiky guarda il GPS e vede che Nefta è precisamente al sud della nostra posizione, circa 20 km in linea d'aria. Siamo tornati indietro a sufficienza, ora dobbiamo girare di 90 gradi ed andare dritti a Sud. Non c'è una pista tracciata, ma ci sono solo dei solchi probabilmente di qualcun altro che come noi si era perso. Il terreno è completamente sabbioso, pieno di cunette e dunette, strapieno di erba cammella che limita la libertà di movimento, e con quelle tracce che spaccano la sabbia e su cui io non riesco a guidare. Sono nel dramma assoluto, è un fuoripista (perchè, in effetti, una traccia debole non può essere considerata una pista) per me allucinante. Si fa buio, non si distingue più una buca da una cunetta, non si vede nulla, la mia moto è inguidabile, pesa come una vacca e io non sono ancora ben abituato a lei. E' l'inferno, rallento sempre di più, non combino. Provo ad accelerare, ma la ruota davanti va dove vuole e l'erba cammella che limita i movimenti è terribile, inoltre è ormai quasi notte e mi sto letteralmente cagando sotto per la guida. Un errore, e mi fracasso qualche osso rovinandomi la vacanza. Rallento ancora di più, ormai vado in secondo quasi sempre, e gli altri si allontanano sempre più, primo Fiky che segue il GPS, secondo Mighe. Nessuno di loro due ha lo specchietto retrovisore, nessuno dunque si accorge che io sono sempre più indietro. Guidare di notte mi fa paura, il peso della mia moto deve essere gestito bene e guidando senza vedere lascia poco spazio all'improvvisazione.
E' drammatico, realmente. Degli altri ormai non vede nulla, ogni tanto in lontananza compare un fanale, non sento più neanche il rumore dei motori. Seguo ormai solo la traccia che vedo al suolo, la sabbia è soffice e non lascia capire che pneumatico ci è appena passato. Infine, succede: di fronte a me non c'è più nessuno, è notte, e io sono nel nulla assoluto. Il cielo è pure un po' coperto, la luce della luna non serve ad un cazzo. Mi fermo, aguzzo la vista, ma il terreno continuamente ondulato non mi lascia alcuno spazio per intravedere i fanali dei miei compari, che ormai sono chissà dove. Non posso fare altro che seguire la traccia. Tutto attorno a me è nero, senza alcuna luce all'orizzonte, non si vedono le stelle e dunque non riesco neppure ad orientarmi tra nord/sud/est/ovest. Che fare? Seguire la traccia, è tutto ciò che ho, sperando che gli altri si accorgano che sono sparito. Ma passano i minuti, e non incrocio nessuno. Passano ancora altri minuti, ed ancora nessuna traccia. E' da più di un quarto d'ora che sono solo, arrivo (mi pare di capire) in cima ad una dunetta, e mi fermo, spegnendo il motore. Silenzio assoluto. Nessun fanale che si muove nella notte. Suono il clacson a lungo, ma non risponde nessuno. Bevo un goccio d'acqua e penso al da farsi. Se cado e rimango incastrato sotto la moto, se finisco in una buca (a tratti ne ho visto, scavate nel duro sale), se mi faccio male, sono cagato. Ma anche se rimango qua... Comincia a fare freddo, e non ho neppure il pile con me. Che stupido! Scruto ancora un po' la notte, bevo un goccio d'acqua e riparto, seguendo la traccia. Circa due km dopo il dubbio: tracce palesemente di moto deviamo verso sinistra, e in quella direzione, lontanissima, una luce lampeggia. Ricordo che appena usciti da Tozeur, oltre la discarica, avevamo passato un aeroporto. Potrebbe essere quello, dovrebbe essere molto più lontano, ma siccome non so bene in che direzione mi muovo, può essere che gli siamo tornati vicino. Penso, seguo la principale, oppure queste tracce che deviamo sono i miei due compari che hanno visto l'aeroporto e si stanno ricongiungendo, tramite il GPS, alla traccia da cui siamo venuti? Decido - Stupido! - di deviare, seguo quelle tracce ma dopo poche decine di metri svaniscono nel nulla ed io mi ritrovo infrattato in una zona di sabbia mollissima e piena di ciuffi di erba che non mi fanno neppure fare inversione. Scendo, comincio a spingere la moto ed accelerare per farla sgarfare e girare di culo, ma mi sbilancio nella sabbia e finisco al suolo con la moto, e la gamba sotto. Sono in una posizione assurda e stupida, e la gamba è incastrata oltre che sulle moto da qualche altra parte e non riesco a toglierla, nè ad alzarmi. Sono costretto a spingere la moto con l'altra gamba, ma faccio un movimento strano e piego un po' la caviglia, procurandomi una botta che mi farà male per svariati giorni. Alla fine riesco a rialzarmi, riporto la moto sulla traccia principale, e riparto. Quando ormai sto per darmi per vinto, affamato, infreddolito, solo nel buio e con la caviglia che fa male, e quasi sto pensando di farmi una buca nella sabbia e mettermi a dormire lì, una luce ed un rumore mi avvisano della presenza di Mighe, che finalmente si è accorto che io vagavo a puttane. Mando a fanculo lui, Fiky, il Triste e tutto il ***** dio!
Arriva Fiky, al quale sono saltati i fanali e che vaga da solo al buio con la freccia sempre accesa per avere almeno un po' di luce. Sono incazzato nero, e mando tutti a fanculo. Maledetto il momento che ho deciso di partire con questi due incoscienti ressing di merda! Domattina andrò dall'Imam del paese e gli dirò che sono loro gli autori delle vignette su Maometto così li sgozzerà e risolverò il problema! Fanculo!
Fiky dice che ha visto una strada battuta su cui corrono dei motorini, facciamo questi ultimi due km e ci ritroviamo su una pista in cui veniamo raggiunti dai ragazzini incrociati ad Ong Jemel, che si stupiscono di vederci ancora in giro. Mighe li manda a fanculo perchè durante quella sosta un bambino, per fargli uno scherzo, gli aveva chiuso il rubinetto della benzina!
Ripartiamo per questa pista terribile piena di Tole Onduleè che è veramente bella da fare di notte: per galleggiare devi andare almeno a 90 km/h, ma come avere il coraggio di farlo quando è buio pesto? Per cui dobbiamo andare a velocità bassa, e soffrire. Presumibilmente su questa la Tole Onduleè mi romperà i perni del copristelo di sinistra...
Torniamo infine a Tozeur e notte avanzata, infreddoliti, per fortuna troviamo un ristorante ancora aperto, con un cameriere cocainomane che ha le movenze di un cameriere della Parigi-Bene ma non è supportato dai suoi materiali: tovaglia sporca che lui tenta di pulire con un gesto atletico, col risultato di far volare le briciole che ricadranno però di nuovo sulla tovaglia, usa i nostri tovaglioli come presine per servirci da mangiare, ma alla fine mangiamo benone, tanto, e paghiamo pochissimo. Quindi andiamo a bere qualche birra in un Night lì vicino, serviti da delle ragazze fighette ed un po' svampite. L'atmosfera suggerisce che quello sia veramente un night con donne a pagamento... Ma non siamo per ora interessati alla cosa, vogliamo solo un po' sbronzarci ed andare a dormire.
Andiamo a dormire mentre Fiky sussurra pensieri ressing sull'assetto della suo moto, e Mighe continua a sentire odore di benzina nell'aria.
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Sto dormendo come un sasso nel letto anti-ortopedico del campeggio Oasis di Tozeur. Vengo svegliato dal lamento cantilenante del Muezzin: Allah Akbar! Allah Akbar! Allah è grande, non c'è altro dio all'infuori di Allah e Maometto è il suo profeta. Venite alla preghiera! Adoro il canto del Muezzin. Odio le religioni, ma è un odio misto al fascino. Sono affascinato dal fenomeno religioso, e più la religione ignora la ragione a favore della fede, più mi affascina. Per questo sono incredibilmente affascinato dall'islamismo. Allah Akbar. Credessi in qualche forma di Dio, e non amassi (come amo) il maiale, sarei già diventato da un pezzo un fervento Musulmano. Usciamo dal bungalow, e Mighe è ancora ossessionato da quello strano odore di benzina. Si china sul suo canchero, e scopre l'arcano: sul telaio della sua moto c'è della benzina, ed una macchia si vede anche al suolo. Comincia a smontare la moto, e scene simili diventeranno usuali nel corso del nostro viaggio. Il suo fantastico serbatoio Acerbis da 26 litri, "L'unica cosa nuova che ho mai comprato!", trasuda benzina. Smonta tutto, e scopre che a perdere è proprio il serbatoio, nella staffa in cui si avvita al telaio sotto la sella. E' assurdo, teoricamente lì non dovrebbe passare benzina, ed invece quei geni ce la fanno passare. Partiamo per andare a cercare qualche tipo di bicomponente che tenga su quel "plastegòn". Facciamo colazione veloce in un bar, quindi ci avviamo verso una ferramenta indicataci dal pazzo del camping. Mighe compra della pasta che dovrebbe tenere sul serbatoio ed una tanica per svuotare il serbatoio.
Torniamo in campeggio, io e Fiky ci fermiamo a mangiare dolci in una splendida pasticceria mentre Mighe si rimette all'opera mentre io parlotto con due svizzeri, uomo e donna, su due Africa Twin che mi dicono che la traversata Douz-Ghilane è una cazzata, e che persino la discesa a Tembaine è una cazzata fattibile anche coi bagagli. Mica mi convincono tanto, questi due: nessuno mi ha mai parlato di una pista battuta che collega quei punti, ma la loro parola basta affinchè i miei due compari comincino a dirmi che dovrò farcela, senza alcuna possibilità di errore... Continuo a lanciare saltuariamente l'idea di noleggiare una guida con vettura per metterci i bagagli, ma l'idea non prende piede: vediamo anche i prezzi in qualche agenzia dei dintorni, ma l'idea continua a non convincere i miei due maledetti compari. Io, frattanto, dopo essermi reso ieri conto che la mia moto sulla sabbia tunisina è quasi ingestibile, comincio ad avere l'inconscia certezza che non ce la farò mai.
Fiky, mentre Mighe lavora alla sua moto, smonta la propria per capire perchè gli erano saltate le luci. Il problema sono dei cavi sbucciati, che lui, da buon ressing, risolve in poco tempo. Mighe intanto svuota il serbatoio, lo pulisce, e applica la pasta. E' quasi ora di pranzo, Fiky ha anche fatto il bucato, continuando a mormorare tra sè e sè pensieri ressing su migliorie all'assetto della sua moto; io gli dico che secondo me il Sag negativo è... negativo... lui mi fissa, e comincia a rimuginare su questa grande verità che io gli ho esposto.
Siamo in stallo: che fare? Dobbiamo aspettare alcune ore, che la pasta sul serbatoio si secchi. Partiamo verso il Night per bere birra brindando al natale, ma è chiuso, quindi ci incamminiamo verso il centro alla ricerca di un altro posto che abbia la licenza di vendere alcolici. Il Muezzin continua ossessivamente a cantare, è venerdì, giornata sacra per l'islamismo, ed il Muezzin non fa altro che chiamare i fedeli alla preghiera più importanti della settimana.
Nessun bar pare avere birra, ma in un negozio di cianfrusaglie un tunisino simpatico e gentile, nonostante io non gli compri nulla, mi indica un bar poco più avanti, il "Petit Prince". Ci arriviamo, da fuori sembra un bel ristorantino per turisti, ma la porta secondaria porta in uno stanzone leggermente buio invaso dal fumo di sigarette e dall'odore acre della birra ruttata. E' pieno, e i tavoli sono tutti pieni di bottiglie vuote. E' strano, si capisce subito quanto uno ha bevuto contando le bottiglie sul suo tavolo. Vince un tipo seduto in centro, sul suo tavolo ha 18 bottiglie di birra ed è palesemente sbronzo. Scopriremo più tardi che qua funziona così: i tunisini non sanno bere, e quando bevono vanno avanti finchè o finiscono i soldi, o sono letteralmente divelti; i vuoti delle birre che bevono vengono lasciati sul tavolo affinchè la cameriera (che apre le bottiglie con un grezzamente sexy colpo di tetta) sappia quanto deve pagare. Per cui lo spettacolo è angosciante: i tavoli sono pieni di vuoti, e quando qualcuno paga e barcollando se ne va, i suoi vuoti vengono portati via con una cassetta. Insomma, ci sediamo e decidiamo di festeggiare questo bellissimo Natale a Tozeur: il nostro pranzo comprenderà 15 birre e due piatti di ceci! Buon natale, Dio Maiale!
Dopo questa parentesi alcolica, rinfrancati dall'abbondanza di liquido e sigarette consumati, ritorniamo verso il campeggio per continuare il lavoro. Prima però Mighe fa una tappa dal barbiere per avere l'emozione di farsa radere all'estero, mentre io e Fiky lo attendiamo in un cafè poco vicino dove ci beviamo svariati thè e fumando un ottimo Narghilè. Quel waypoint diventerà "WPT Narghilè Che Sballa", poichè io lo fumerò così tanto e così profondamente che ne uscirò completamente strafatto e rincoglionito.
Torniamo alla moto. La colla pare tenere, ora però bisogna sistemare con guarnizioni di qualche tipo l'asola incriminata. Che guarnizione usare? La risposta è... nei miei sandali! E' un'altra delle coincidenze che abbiamo incontrato nel nostro viaggio. Quei sandali da francescano, così apprezzati da Mighe, hanno accompagnato i miei piedi per oltre 10 anni, ma ormai sono arrivati alla fine della loro vita. Li avevo buttati via a Tamerza, poichè la suola in gomma è completamente distrutta; tuttavia la diligente inserviente quando li aveva trovati in camera me li aveva riportati, per cui me li ero portati dietro. Ora Mighe ha bisogno di una gomme da spessore, e decido che sarò fiero se i miei sandali finiranno la loro storia in aiuto del canchero rosso di Mighe.
Lo spessore, dopo varie ore di lavoro, è completo e composto da legno (grande Fiky El Trave!) e gomme (grandi i miei sandali Dirty e Sanchez!). Rimontiamo il tutto, finendo il lavoro a notte. Ok, pare tenere: il serbatoio è apparentemente a posto, la moto di Fiky ha ora di nuovo i fanali. Domani mattina potremo abbandonare Tozeur.
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Al mattino colazione nella bella pasticceria inaugurata da me e Fiky il giorno prima, quindi si parte. Ma... per dove? Andiamo verso Matmata, e vogliamo vedere com'è quella pista che pare da Kebili scenda verso la strada che collega Douz a Matmata.
Intanto, comunque, attraversiamo il Chott el Jerid per la strada asfaltata, poichè Il Triste (si, sempre lui) ci aveva detto che le piste che lo costeggiano a sud sono tutte impraticabili per fango. Scopriremo in seguito che non sarà per niente vero, ma tanto vale, attraversare il lago nel mezzo è uno spettacolo. Il paesaggio è stranissimo, una distesa di sale bianco puro assoluto. Impressionante. Tantissima luce riflessa dai cristalli disturba gli occhi, ma il panorama è fantastico. Incredibile. Mighe non resiste, e si butta nel sale, che regge bene. Comincia a correre a destra e a sinistra in questo piattone bianco che si mescola con le nuvole annullando l'orizzonte. Scende anche Fiky, mentre io faccio foto ad entrambi in questo ambiente alieno. Il sale tiene, non sembrano esserci pozze di fango minacciose, anzi. Capiamo che quel bastardo del triste ci ha fottuti.
Alla fine, titubante, entro anch'io: ho paura, perchè so che il sale può rompersi ed ingoiare la moto in una trappola di fango, ed inoltre perchè si sa, il sale non fa proprio bene alle moto... Ma è tutto troppo figo e non resisto, scendo dalla strada ed entro nel bianco assoluto. E' uno spettacolo guidare lì in mezzo. Il sale si rompe sotto la gomme dando una sensazione di insicurezza che è in realtà solo apparente, poichè il grip è ottimo. Dopo qualche giro, decidiamo di continuare paralleli alla strada ma nel sale. Tuttavia, man mano che avanziamo, sento il sale diventare sempre più spesso e più morbido, a tratti lo sento rompersi sotto le gomme e la moto la sento stentare di colpo. Comincio a non sentirmi più molto sicuro, ed esco: Fiky mi segue, Mighe invece continua nel sale. In lontananza c'è un bus rimasto intrappolato nel sale: Io e Fiky siamo sull'asfalto, Mighe invece si allontana per raggiungere il bus. Ne verrà fuori una delle foto che preferisco, seppure i soggetti siano un po' troppo lontani: bianco dappertutto, dal terreno al cielo, e due mezzi, il bus e il canchero rosso, perduti nel nulla.
Alla fine anche Mighe esce, le moto sono imbrattate di sale in ogni anfratto, cosa che preoccupa enormemente Fiky poichè il sale corrode ogni cosa e lui teme che le sue prestazioni notevolmente ressing potrebbero essere deteriorate da questa situazione. Oltrechè il Sag Negativo, che potrebbe diventare ancora... più negativo...
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Arriviamo a Kebili, sosta Thè in un bel baretto sotto gli alberi. Il Thè è come al solito ottimo.
Diamo un'occhiata alla mappa: dobbiamo andare a Matmata, e c'è una presumibile posta che da Bazma, poco sotto Kebili, porta sulla statale Douz-Matmata. Sarà asfaltata? Intanto andiamo verso Bazma. Abbimo la benzina scarsa, io vorrei farla ma Mighe se ne sbatte. Io e lui siamo agli opposti: io sono la coscienza, lui l'incoscienza.
Alla fine non la facciamo, arriviamo a Bazma, un paesino formato da poche case, e ci troviamo di colpo di fronte alla pista. E' una lingua di terra e sabbia che esce dal paese inoltrandosi in un paesaggio al limite dell'irreale, una pianura con alcune colline e monti lontani, desolata, pre-desertica, con pochi ciuffi di erba a colorare un po' il colore grigio/marrone uniforme da noi all'orizzonte. Partiamo per questa splendida pista che per cica 60/70 km ci regalerà panorami di desolazione post-atomica difficili da dimenticare. L'unica cosa che ci rompe, o che mi rompe, è la scarsità di benza. Avere il serbatoio pieno, in moto, equivale ad essere liberi. Salvo rotture o problemi, l'autonomia di percorrenza è l'unico limite di una moto, per cui io sono abituato a fare benzina di continuo, ogni volta che posso. Ed infatti anche questa splendida avventura su questa pista, che per me è considerabile il percorso perfetto, verrà in parte rovinata. Di fronte ad uno svincolo su cui siamo in dubbio, saremo costretti a deviare verso la strada più corta per la statale. Avrei preferito continuare ancora per quella lingua di terra.
Arrivati ai pozzi di Bir Rhezene, imbocchiamo la statale e poco dopo ci fermiamo al Cafè Jilili, un cafè posto esattamente all'incrocio dove inizia la Pipeline che scende a Ksar Ghilane. Un simpaticcismo cafè abbandonato nella desolazione assoluta, gestito da un simpatico quanto silenzioso berbero che ci rifocilla con tantissimo cibo. Il pane berbero è spettacolare, e gettato nell'ottima zuppa piccante con uovo che ci porta è un trionfo per il palato. Quando alla fine ci porta thè, caffè, biscotti e datteri, il nostro stomaco tende quasi a scoppiare, ma non ci tiriamo indietro. Solito pagamento irrisorio, e si riparte per Matmata. Abbiamo sempre meno benzina, i distributori chissà dove saranno ed io dubito pure di trovarne a Matmata. Il serbatoio di Mighe continua a perdere. Attorno a noi miriadi di km di sterrato si staccano dall'asfalto per perdersi tra i colli verso chissà dove. A volte un marabutto fa capolino sopra un promontuorio, vorrei andare a visitarne qualcuno, ma.... la benza! Cazzo, che palle! La giornata sarebbe stata perfetta, senza questo inconveniente. Comunque il tempo stringe, quindi nel complesso, a mio parere, la giornata è comunque andata benone. Ma non sarà così per tutti... Il disastro è alle porte.
Alla fine arriviamo a Matmata un po' complessati per la mancanza di benza, ed un po' tardi per fare una visita approfondita alle case trogloditiche. Mighe lo vedi serio, forse per il serbatoio; mentre Fiky è stranamente silenzioso. Come arriviamo a Matmata, un pesantissimo e noiosissimo tunisino ci si attacca e non ci molla più. Vuole portarci a fare il giro delle case, vuole portarci in un albergo, appena sente la parola "benzina" vuole portarci dal suo amico a fare il pieno. Io gli dico che ho già visto altri che vendono benza per la strada, ma lui vuole portarci dal suo amico e non c'è verso di togliercelo dalle palle. Ecco, questi individui insistenti, senza mezzi termini, li odio. Capisco tutto: povertà, mancanza di lavoro, e via dicendo. Ma non c'è modo, per me, di evitare il sentimento di oppressione che mi generano: e così mi rovinano l'umore. Siccome, inoltre, tutti e 3 non eravamo più di umore ottimo, ci gira talmente il cazzo che dopo due foto ad una buca trogloditica andiamo a fare benza con questo cacacazzo (che ovviamente vorrà anche l'obolo di ringraziamento) e scappiamo da Matmata.
La nostra meta è in realtà un paesello chiamato Toujane, citato nella Lonely Planet mia e nella Routard di Mighe con alternativa a Matmata per chi non ha voglia di fare il turista. La strada che porta a questo buco è tortuosa, si snoda nei monti del Dahar come un enorme serpente, è bellissima, ma un po' angosciante se fatta, come la facciamo noi, mentre il sole cala. Davanti sto io, che ho un fascio luminoso più valido degli altri.
Dopo svariati km ed un tramonto rosato da paura, arriviamo ad un curva che raggira un monte e subito oltre, poco più basso, semi-immerso nell'oscurità compare Toujane: la visione è spettrale. E' un antico paese arriccato su un monte, pochissimo illuminato. La cosa più strana è che le uniche luci che si vedono escono da pochissime case, non c'è alcuna illuminazione per le strade, non c'è una piazza, non c'è nulla. Solo case, per metà in rovina. E' bello, bellissimo, grottesco, spettrale, arcaico, affascinante e terrificante al tempo stesso.
Troviamo da dormire prima da un tipo, poi un bambino ci convince a seguire lui e ci porta in un posto talmente orripilante che noi... lo scegliamo! In pratica è un misto tra una casa trogloditica ed una stalla. Forse più una stalla, visto che l'odore che sentiamo appena entrati nella nostra "camera" è di pecorone! Fiky mi dice subito "Bostro, fuma più cicche che puoi qua dentro!". Ma parliamo un attimo di questa "camera": in realtà, è una grotta, un antro. La "casa" è scavata in un monte, con uno spiazzo interrato in cui si scende con 3 gradini, che dobbiamo fare con le moto per non lasciarle sulla strada, e stare un po' più tranquilli. La discesa per quegli enormi gradini comporta per me non pochi problemi, e il rumore inquietante che fa il mio paramotore quando mi incastro su uno di quei gradini non riuscirò più a togliermelo dalla testa per il resto del viaggio. Anzi, tutt'ora mi perseguita!
La camera è una grotta, con 2 rilievi in roccia laterali ed un antro in fondo su cui sono stati messi dei materassi poco meno puzzolenti dell'aria, e un piumone. Non c'è acqua corrente in tutto il paese. Quindi neppure noi ne abbiamo! I nostri bagni sono all'aperto, il gestore dell'albergo ci avvisa di fare i nostri bisogni, che poi passerà lui a buttare acqua di pozzo. Un enorme stronzo secco e duro che emerge dalla turca, però, suggerisce che lui non mantenga la parola! Mi chiedo comunque perchè, se non c'è acqua corrente in tutto il paese, ci sia una doccia e i bagni abbiamo i tubi di convogliamento dell'acqua... Bo!
Il disastro: Fiky esplode, non abbiamo visitato a sufficienza Matmata, chi se ne fotte della benzina, chi se ne fotte degli sterrati persi, è tutta colpa mia che ho fumato al cafè dopo pranzo facendo perdere tempo prezioso, o di Mighe che ha voluto fermarsi a fare un pranzo completo. E' il suo spirito ressing che si rende di colpo conto di essere assieme a due cazzari della moto. Non capisco lo sfogo, non lo capisco molto, secondo me è stata una splendida giornata che avrebbe potuto essere ancora più splendida se avessimo fatto il pieno di benzina a Kebili. Bo! I nostri piani stanno crollando, ovviamente, per la necessità di rivedere il giro ed essere a Douz per il festival del Sahara. Secondo me, alla fin fine, è proprio questo festival che non lo convince molto. Ma ormai il gioco è fatto. Perderemo tante cose, e i nostri progetti di esplorare l'Erg El Mitt sono andati in fumo. Ma non c'è scelta.
Ormai è buio pesto, ci sistemiamo nella nostra puzzolente camera, scarichiamo i bagagli, ed andiamo a mangiare un ottimo cous-cous con un'altra cosa che non ricordo più come si chiama, ma che è una specie di omelette fritta ripiena di uovo e verdure. Non c'è, ovviamente, birra in tutto il paese. Il tipo ci dice che può mandare dei suoi amici a Medenine a comprarla: sono 40 km! Gli diciamo non c'è problema... Non ho capito se era semplicemente gentile, o se voleva incularci sul prezzo delle birre. Valuto però più probabile la prima, perchè di notte andare a tornare da lì a Medenine è una rottura che supera qualsiasi valutazione economica.
Subito dopo cena Mighe e Fiky ricominciano a lavorare al serbatoio del Dominasso: Mighe perchè è la sua moto, Fiky per pura passione ressing, che come una religione gli impone di smontare almeno una volta a settimana una moto. Io invece esco dallo spiazzo e raggiungo un masso sopra il quale salgo e mi siedo: di fronte a me, nell'oscurità, il paese sonnecchia. Poche luci sono accese, si sente qualche voce, cani ululare, è notte dappertutto. E' bellissimo, sono molto contento di essere in questo posto dimenticato da Dio ma, soprattutto, dal turismo.
Quando andiamo a letto succede una scena che ci farà sbellicare dal ridere e che ancora oggi, se ci ripenso, mi fa sbaccanare. Siamo a letto, Fiky è rimasto un po' più di noi guardando mappa e GPS, il pulsante per spegnere la luce è fuori dalla porta. Si alza, va alla porta, e come la socchiude per aprirla ed uscire da pochi metri di distanza giunge un ululato rabbioso fortissimo! Fiky sbatte subito la porta, io urlo e scatto su impugnando il mio coltello da macellaio, Mighe lancia verso il cielo un porco enorme! "DOVE CAZZO E'?" urla Fiky! Non sappiamo, nessuno è riuscito a vederlo, ma come risocchiude la porta il cane (o il mostro?) ringhia di nuovo! "CAZZOOOOO!" - Alla fine stiamo sbaccanando tutti quanti, e quando Fiky prende un pezzo di carta e lo usa per svitare la lampadine è il massimo, non riusciremo a rimetterci a dormire per un'altra mezz'ora durante la quale ridiamo come idioti. Grazie a quel mostro di merda il clima si è ristabilito, siamo di nuovo il solito trio di cazzoni peregrinanti per la Tunisia, senza piani, senza meta, senza scopo se non il salire in sella e partire.
Buonanotta amici, buonanotte Toujane, buonanotte Tunisia! Riservami altre belle strade per domani!
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La moto di Mighe sembra ora finalmente a posto. Mighe meno, invece, perchè lo strano yogurt mangiato a colazione, pieno di siero, gli provoca una terribile diarrea. Il bagno è ormai quasi completamente intasato!
Saliamo sulla sommità del promontuorio in cui è scavata la nostra camera. Lo spettacolo di fronte è maestoso: una pianura immensa, con alcuni colli rocciosi che saltuariamente si ergono isolato, è ancora immersa nell'ombra che precede il sorgere del sole. Lontano il mare Mediterraneo già risplende di luce.
Lento e spocchioso il sole fa capolino all'orizzonte, e lentamente irradia la sua luce, a strati, sulla piana di fronte a noi. Siamo penso a circa 500 metri di altitudine, forse un po' di più, per cui la vista è splendida. Il sole si apre alcuni varchi tra i monti, irradiando a tratti alcuni lembi di pianura, ma prima di tutto le cime dei promontuori. E' un'alba splendida.
Resto una buona mezz'ora in cima al colle a fare foto.
Poi scendiamo, e ci attende un momento duro, un minuscolo tratto di enduro-duro da fare freschi di mattina: dobbiamo risalire i 3 fatidici gradini. Mighe ci prova a crudo, ma è costretto a fermarsi a metà per farsi spingere; mettiamo un asse, e Fiky sale - da buon ressing - impennando prima sulla ruota dietro, poi persino su quella davanti. Per far passare me sistemano vari massi tra i gradini, il che rende la salita ancora peggio poichè si è tramutata in una rampa ripidissima e costituita da massi grossi e per nulla stabili, ma io sono un esperto endurista dotata della migliore moto al mondo, e salgo senza problemi. Dietro di me restano tuttavia frammenti vari di ciò che un tempo furono 3 gradini!
Andiamo a fare il pieno dal solito benzinaro di contrabbando, quindi partiamo, diretti verso una pista secondaria che scende verso Tataouine, indicataci dal tipo di ciò che persistiamo erroneamente a chiamare "albergo"...
Scendiamo verso Medenine, ed in un piccolo centro urbano imbocchiamo una microstrada asfaltata da poco. La pista è lunga svariati km, ci darà l'opportunità di passare per paesaggi splendidi. La zona del Dahar è bellissima, diversificata: a tratti monti, a tratti pianura, e tratti zone spogliate da ogni traccia vivente, a tratti campi rigogliosi, a tratti terra argillosa erosa da slavine dentro cui insinuarsi e ritrovarsi in un labirinto allucinante simile ad un quadro di Escher.
Ci muoviamo piuttosto lentamente. La strada è a tratti asfaltata da poco, a tratti è composta invece da un perfido ghiaino su cui le ruote hanno ben poco grip e che precede, in Tunisia, l'arrivo del bitume. Ciò per noi è triste; sebbene per un tunisino una strada asfaltata risolva enormi problemi di viabilità, è chiaro che gente come noi non va in questi posti per l'asfalto. Uno sterrato è per un motociclista del nostro stampo una rottura radicale con la civiltà. Diventa, oltre al puro piacere di guida, un vero e proprio simbolo: simbolicamente, quando lasci l'asfalto per lo sterrato, lasci la civiltà, e indirettamente la tua stessa vita, dietro di te, e ti dirigi verso ciò-che-non-ha-nome. A livello psicologico la differenza è forte. Lo stesso paesaggio osservato da uno sterrato è molto più bello che da una strada asfaltata. Una strada asfaltata è come avesse dei muretti: su una strada asfaltata ti senti in un percorso obbligato, come se seguissi le indicazioni all'interno di un museo.
Ormai siamo nella zona degli Ksour a nord di Tataouine. Vediamo i primi resti di antiche dimore oltre l'asfalto, e ad un certo punto la tentazione è troppo forte. Ci buttiamo in fuoristrada a cercare qualcuna di queste rovine. Fiky si innamora di due dinosauri in cima ad un monte, e prova per mezz'ora ad arrivarci. Lui che il giorno prima si lamentava di aver perso tempo e non aver potuto visitare Matmata, ora si mette a gironzolare su e giù per sassi e gradoni per raggiungere quelle due stupide statue! Chi riesce a penetrare nella mente di questo montanaro è un genio!
Dopo aver rischiato varie volte di morire seguendo i due buei per mulattiere e pietraie crollate, parcheggio la moto, mi fumo una cicca e faccio una stupenda foto ad un panorama di devastazione, mentre i miei due amici stanno un buon quarto d'ora a correre su e giù per uno spazio di circa 200 mq. Vediamo le rovine di Ksar Haddada.
Ripartiamo, ci fermiamo a bere un thè mi pare a Ghomrassen, diamo un occhio alla città vecchia, una ragazzina che incrociamo mi lancia un bacio ridendo. Ripartiamo nuovamente, e ci ributtiamo in fuoristrada, anzi, dopo un po' è senza mezzi termini un fuoripista in mezzo a sassi e massi e cazzi! La mia moto, ovviamente, non è fatta per fare questo tipo di giri. Impazzisco, all'inizio mi diverto, ma dopo un po' diventa terribile. Le braccia sono frantumate. Usciamo da lì, arriviamo a Guemessa e in cima al monte si staglia il profilo dell'antica città, abbandonata. Un cartello indica l'accesso, ma io provo a prendere una strada sterrata che pare portare nella stessa direzione. DOpo un po' invece è palese che mi sono sbagliato, mi fermo per tornare indietro ma Mighe mi supera, seguito da Fiky. Faccio il grande errore di non mandarli a cagare, e ricominciamo a buttarci in un orrendo fuoripista massacrante, dal quale usciamo oltre venti minuti dopo. Io ne esco distrutto, fisicamente provato, sono pure a stomaco vuoto, ho poca acqua da bere, stiamo perdendo tantissimo tempo per stradine che non portano a nulla, comincia a girarmi il cazzo. Usciamo dal fuoripista che ancora dobbiamo raggiungere lo Ksar, ed è tardissimo, ormai il pranzo salterà. Mi stra-gira il cazzo. E' l'unica parte del nostro viaggio in cui veramente sarebbe meglio seguire un percorso obbligato per visitare gli Ksour, che sono veramente splendidi, ed invece noi cazzeggiamo in lungo e in largo, facendo si e no 30 km in due ore.
Sia chiaro: ho sbagliato io. Non è buona cosa decidere di fare un viaggio con moto così diverse come le nostre. Ma quei due buei sono degli ottimi compagni di viaggio! Non saprei pensarne di migliori. Però il ritmo non mi piace, è per me e il mio bove nero troppo. Devo cominciare a pensare di sganciarmi ogni tanto da loro, per potermi godere meglio il viaggio. Mi conosco, mi sento trainato, costretto a fare cose che non mi vanno, posto in situazioni che posso diventare rischiose: mi gira il cazzo. Comincio a pensare ad altre cose: la traversata del deserto coi bagagli, quanto senso ha? Mi interessa veramente dire "Io l'ho fatto"? Non sono mai stato una persona competitiva, anzi, preferisco l'anonimato, sono un single nel cervello, io. Sono io e me. Gli altri al massimo mi stanno a fianco, ma non faccio mai paragoni tra me e gli altri. Nè mi piace che ne facciano gli altri...
In sintesi: questa giornata mi sta innervosendo perchè mi sto muovendo con ritmi che non sono i miei. Mentre questo viaggio in Tunisia era pensato diversamente. Il viaggio in Libia era saltato proprio per questo: a parte i soldi che mi mancavano, il problema era proprio dovuto al fatto che il viaggio in Libia era troppo simile ad una pappa pronta.
Troviamo l'imbocco della pista che sale allo Ksar, e mi ci butto da solo con la testa piena di pensieri. Mi conosco, e so che divento piuttosto acido. Oltretutto comincio a pensare al fatto che oggi è la contraddizione totale delle lamentele del giorno prima. Arrivo in cima allo Ksar, vedo il custode, parcheggio e mi tolgo casco e vestiti e mi accendo una sigaretta. Ottimo, ci voleva questo panorama allucinante di devastazione assoluta in cui io ritrovo me stesso e la mia pace. E' bellissimo. Case che paiono fatte per le bambole aggrovigliate in cima ad un monte, tutte di colore marrone uniforme, mimetizzate, crollate. Quasi inutili. Facciamo un giro per il paese guidati dal tipo. Ci porta a vedere una casa che è stata l'ultima abitata, mi pare abbandonata solo attorno agli anni 80. Vediamo una macina che era azionata dal triste lavoro di un cavallo. Ci facciamo pure fare una foto ricordo dal tipo.
Torniamo quindi alle moto, il tipo ci prepara del thè. Mentre l'acqua si riscalda, lontana nella valle risuona la monotona voce del Muezzin. Lui si mette sopra una panca, si lava i piedi, e comincia e pregare. Parliamo in silenzio per non disturbarlo ci sentiamo come all'interno di una moschea, anche se siamo all'aperto.
Beviamo il the, gli diamo qualche soldo e ripartiamo.
Andiamo a Chenini, che non so per quale motivo ma mi lascia un certo amaro in bocca: forse perchè la strada è completamente asfaltata, ed è pieno di ragazzini che pur di farti da guida rischiano di farsi investire da noi. Li evitiamo a tutti i costi, e proseguiamo per la strada fino alla - così pensavo - misteriosa Moschea dei Sette Dormienti. SI narra che fossero dei cristiani, addormentatisi qui e risvegliatisi dopo oltre 400 anni. Nel frattempo sono cresciuti fino a 4 metri di altezza. Si svegliano, si convertono all'Islam, quindi muoiono. Nella moschea ci sono appunti dei tumuli enormi. Ma quando vi arriviamo c'è il solito stuolo di ragazzini che vogliono farti fare il giro. Questo posto me lo immaginavo perso nel nulla, abbandonato, invece lo raggiungi con una strada asfaltata ed è un pacchetto pronto per il consumo turistico. Non entro neppure.
Il paesaggio attorno è spettacolare, i monti sembrano erosi dai millenni di intemperie; anzi, lo sono. Lontana la pianura è chiazzate dalle ombre di basse nuvole, un paesaggio splendido.
Arriviamo a Tataouine prima del calare del sole, troviamo subito l'albergo, economico e carino, e andiamo a bere un Thè mentre ci lavano le moto in un lavaggio, liberandole dalla terribile morsa del sale del Chott el Jerid.
La sera facciamo la mangiata più economico del viaggio: un pollo arrosto matsodontico, due porzioni enormi di ottimo cous-cous, pane, salse, patate fritte e verdura, un litro e mezzo di Coca-Cola, un litro di acqua, il tutto per miseri 22 dinari, meno di 12 euro in tutto! Ovvero meno di 4 € a testa!
Finiamo la giornata a bere birra.
Il giorno dopo ripartiamo per finire la visita agli Ksar. A parte quello di un paesino trovato per la strada, bellissimo e ben tenuto, e fuori dalle locazioni tipiche del turismo frettoloso, molto bello è Ksar Ouled Debbab. Il paese è piccolo, il centro ha una Ksar antico ed uno più recenti, entrambi ancora abitati ed utilizzati. Sembra di essere in un altro secolo. C'è silenzio, alcuni berberi stanno tutti stesi per terra in cerchio a fare non sappiamo cosa. Nessuno ci caga, nessuno ci chiede se vogliamo visitare qualcosa, e questo è bene: sarà lo Ksar in cui ci troveremo meglio, nonchè indubbiamente il più bello.
Andiamo quindi allo Ksar più famoso di tutti: Ksar Ouled Soltane. Anche qui, ringraziando Dio, non ci sono turisti: sotto questo aspetto ci è andata bene per tutto il viaggio. Il nostro giro è probabilmente così anomalo che riusciamo ad evitarli tutti.
Lo Ksar è enorme e splendido, ben tenuto, grande, maestoso, posizionato in una pianura desolata. Un tipo ci racconta qualcosa, ci fa una foto di gruppo a noi tre arrampicati nei minuscolo scalini in cima ai granai. La voce del Muezzin si insinua tra le mura di panna mentre noi siamo seduti a gustarci un thè nel silenzio. Il ragazzo che ci fa da guida dipinge dei bellissimi acquerelli dello Ksar, ma in moto dove metterli? Peccato, qualcuno l'avrei proprio preso.
Finita la visita, andiamo in un negozio che ha tutto, tra cui anche cibo, e prendiamo un po' di roba da mangiare: tonno, harissa, pane, formaggini, e ci facciamo un panino che divoriamo seduti nel mezzo della piazza di questo paese sonnecchiante nel caldo del mezzogiorno. Qualche biscotto, e siamo di nuovo pronti.
Ripartiamo per raggiungere Douiret attraverso una pista che avevo tracciato a casa esaminando le foto satellitari di Google Earth. Facciamo fatica a trovarla, ma rimarremo ben ripagati di questa fatica. La pista è un misto di sabbia, terra, sassi, roccia, sicuramente non seguita dai turisti. Piccole zolle di terra fertile sono coltivate a palme ed olivi, per il resto il terreno testimonia già la vicinanza del deserto: poca vegetazione, tanta sabbia portata dal vento.
Douiret è un paese assurdo, sembra quasi finto: la sagoma delle case si staglia sul monte come facciate di cartone di un set cinematografico. Andiamo un salto fino in cima. Non mi stanco un secondo di questi paesaggi che apparentemente sembrano tutti uguali, ma sono tutti bellissimi.
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A questo punto, dobbiamo dirigerci verso l'oasi di Ksar Ghilane. Questa oasi è, per i motociclisti fuoristradisti viaggiatori, una specie di meta ideale. E' la Zarzura, solo che esiste. E' un'oasi di fumetto sahariano, un mucchio di palme al limitare del deserto dunoso, il Grande Erg Orientale, con una pozza di acqua calda che sgorga dal suolo in cui immergersi per ritemprare le stanche membra. Per raggiungerla da dove siamo noi, imbocchiamo la pista che parte all'incirca da Chenini e che dopo un'ottantina di km ci porterà dritti all'oasi. Per raggiungere l'oasi, da nord si scende lungo la Pipeline, quindi c'era una pista semi-sabbiosa che si inoltrava fino all'oasi, che però alcuni anni fa è stata asfaltata. L'apertura di questa pista, un tempo difficile da percorrere ai mezzi, ha aperto la fruizione dell'oasi al turismo di massa, facendo nascere pure un albergo. Come sarà quest'oasi, sarà un sogno, oppure un incubo?
Intanto mi concentro sulla pista. La troviamo quasi subito, Fiky davanti che si orienta tenendo sempre il Waypoint dell'Oasi di fronte alla nostra direzione. La pista comincia con una lunga distesa di terra rivolta ai confini del mondo, pare non finire più. Terra battuta, Tole Onduleè, paesaggio desolato pre-desertico, se non forse già addirittura desertico. Le basse e rade piante testimoniano precipitazioni irrisorie. Come la pista da Kebili, anche questa è una delle mie strade ideali. Ma in breve, il sogno si tramuta in un incubo. Sabbia! Compare a tratti a bordo strada, lunghe striscie depositate al suolo coerenti con la direzione dell'onnipresente vento. Sono di un giallo chiaro, un po' spento, immediatamente visibili nel marrone desaturato tendente al grigio del territorio circostante. I miei due compari sono davanti, io me ne sto ben distante, continuando ad utilizzare la tecnica mutuata l'anno passato in Libia per evitare di muovermi sempre nelle loro nuvole di polvere e salvaguardare il più possibile il mio filtro dell'aria.
La natura desertica del luogo è ancora più chiara proprio per la secchezza del terreno, dal quale la polvere si solleva in gran quantità. Devo stare molto distante dai miei due compari ressing che invece fanno a garetta l'un l'altro stando appaiati. E' la strada perfetta.
Facciamo svariate deviazioni, poichè a tratti usciamo dalla pista più battuta e ci buttiamo in sentierini bastardi pieni di rocce e sassi. A me il fuoristrada "duro" (nel senso di terreno con grip e roccia) piace molto, e su quello non ho particolari problemi. Anche nel caso di salite e discese me la cavo, e mi ci diverto. Mi ci sento pure sicuro, quindi anche a livello psicologico sono motivato. Poi è splendido guidare in queste situazioni, la concentrazione a mille, la moto con giri bassi che sfrutta molto la coppia e si muove proprio a passo di cammello, il motore che sembra il mugugno gutturale di questo strano ma imponente animale. Il mio bicilindrico pare fatto per questa pista, pare costruito proprio qua in mezzo. Se trovassi una fabbrica Honda a metà strada non mi stupirei più di tanto. Invece non troviamo tracce di esseri viventi.
Attorno a noi continuo colli, alcuni vicini, che comportano molte curve, salite e discese; alcuni lontani, che offrono spaccati panoramici splendidi, con la strada che di colpo si distente dritta per 5 o 6 km di fronte a noi, per poi salire sopra una depressione e sparire oltre l'orizzonte.
La sabbia aumenta pian piano.
Sempre di più.
Contrasto di colori. Comincio a sentirle picchiettare sul mio volto, invisibile, sospesa nell'aria dalle ruote seppur lontane di Mighe e Fiky.
Silenzio.
Oltre la strada compaiono i primi cumuli.
Ciuffi di erba che hanno bloccato il flusso di granelli traportati dal vento. La sabbia si scontra con la pianta, e cade; man mano che cade forma un cumulo, che a sua volta fa ancora maggiore resistenza alla sabbia trasportata bassa dal vento, che cade sempre di più. Ed il cumulo si allarga, e si alza. Pian piano procede a sommergere del tutto la povera pianta. Si vede ogni istante cristallizzato di questo processo: piante libere, piante con alla base chiazze gialle, piante con la base ricoperta da piccoli cumuli di sabbia, piante che a stento emergono da cumuli di sabbia, infine semplici dunette. La pianta è completamente sommersa, soffocata dall'inesorabile espandersi del Sahara. Un giorno tutte le piante saranno sommerse, e qui non crescerà più nulla.
Dune. Piccoli, ma inequivocabilmente quelle possono essere chiamate "dune". Sono oltre la strada, che ormai si tinge di giallo a sua volta.
Nei nostri fuoripista ne incontriamo sempre di più. E in questi fuoripista a tratti la strada, a causa di piccole depressioni, si riempie, come pozzanghere, di sabbia. Quando vi entro, mi sento scomposto come nella sabbia del Chott, quando ero perso.
I miei amici si allontanano sempre più, io mi consolo di questo paesaggio. La sabbia oppone una resistenza immane alla mia moto, mentre io allungo le gambe per zampettare ma inutilmente, disturbato dai bagagli. Ma questi fuoripista, nonostante la fatica, valgono la pena. Abbandoni la careggiata battuta da tanti mezzi e ti perdi in un sentiero tracciato da venti perenni che ti porta in cima ad un colle, e da lì vedi tutto.
Come l'anno prima in Libia, ho la sensazione che questi non siano semplici panorami, ma sensazioni materializzate. Come se un pittore astratto avesse ricreato un'emozione dipingendo un paesaggio. Non credo in dio, in nessun dio, ma in questi momenti ci sono vicino, molto vicino. Non fosse che credere in un Dio che coscientemente crea questi paesaggi sarebbe credere in un dio folle; sarebbe una religione controproducente.
La sabbia aumenta a tal punto che ad un certo punto troviamo una traccia che attraversa una depressione lunga svariati km ed invasa dalla sabbia, durante la quale io soffro, ma pian piano comincio a conoscere meglio la mia nuova moto ed imparo ad andare con più sicurezza.
Il problema qua, come nel tratto del Chott El Garsa, è che la "pista" che seguiamo è molto stretta, ricavata in mezzo a ciuffi di erba cammella, per cui lo spazio di manovra è ridotto, troppo ridotto per poter gestire bene la mia moto che come una nave in tempesta scarroccia a destra ed a sinistra.
Dopo svariati km usciamo da questa depressione e ci troviamo molto più in alto.
Sulla destra vediamo i primi segni di civiltà dopo una cinquantina di km, ed ovviamente sono come un pugno nell'occhio in un panorama come quello che stiamo attraversando: sono dei fuoristrada che traportano turisti. Poco dopo averli passati ci fermiamo per una delle classiche soste "alla Fiky": sta perdendo i bagagli, scena che assieme all'analisi del GPS ed alle modifiche all'assetto ci perseguita da tutto il viaggio. Fiky sistema i bagagli, Mighe esamina il suo cancello, io faccio foto alla cazzo, tentando di immortalare visivamente con la macchinetta ciò che la mia memoria assimila come pure emozioni.
Le vetture ci sorpassano a gran velocità. Dai finestrini i volti dei turisti ci guardano con quella stupida espressione di stupire di chi tenta di conoscere il deserto passivamente, senza la sofferenza che in realtà ne è parte integrante.
Le facciamo avanzare un po' poichè sollevano un disastro di polvere.
Ripartiamo, e ci rendiamo subito conto che la nostra andatura è più veloce della loro, si necessiterà un sorpasso! Una salita subito prima di prenderle ci riserva ogni attenzione di guida in fuoristrada: sole in faccia, salita di pietre smosse, con tolè onduleè, ed invasa dalla sabbia! Chi più ne ha più ne metta!
Usciamo da questa salita coi motori che ruggiscono, le auto davanti che tirano, noi che tiriamo di più. Le auto non si fanno troppi problemi, non rallentano, nè si scostano per darci strada: i turisti si staranno godendo la scena, e le emozioni che provano non permettono all'autista l'educazione verso dei poveri motociclisti. Io ad un certo punto mi rompo il cazzo, esco dalla pista, accelero sulla pietraia e il sabbione e rientro a gran velocità sulla strada giusto davanti alla vettura, in parte tagliandole la strada. Dai finestrini i volti sorridenti dei turisti mi guardano come fossi un eroe pazzo.
Acceleriamo, ci rifermiamo dopo un po' per qualche controllo, le auto si avvicinano in lontananza, vediamo le nuvole di polvere all'orizzonte, e quando ci sono troppo vicine ripartiamo per evitare di dover fare altri sorpassi.
Tagliamo la pipeline e ci inoltriamo nella ultima tratta della pista che ci porterà a Ksar Ghilane, già pregustando le membra immerse nella pozza calda e le interiora innaffiate dalla birra Celtia!
Compaiono dune. Nel mezzo della carreggiata.
Sono vere e proprie dune. Brevi carreggiate sabbiose si perdono lungo una pista più tracciata, ma io odio queste carregge maledette su cui la mia moto sballotta come un'ubriaca, e decido di affrontare le dune. I miei due amici fanno uguale. Si arriva alla base del cumulo di sabbio alto quasi due metri, la imbocchi accelerando per avere una adeguata spinta in salita, la moto sprofonda ma il motore dell'Africa - infinito - non molla. In cima molli un'attimo il gas, al momento giusto: in una duna, se lo molli prima ti pianti in salita, se lo molli tardi prendi la cresta troppo veloce ed accenni un salto che inevitabilmente ti porta a sprofondare la ruota davanti nella discesa. Devi essere preciso. Ce la faccio.
Le dune ci precedono, sembrano onde di mare alzate da un motoscafo che ci corra davanti. Sali una, ridiscendi, e l'altra è lì pronta ad attenderti. Cominci ad impararne la posizione, a precederle, e zigzagando ne eviti quante più ne puoi. Cazzo che figata pazzesca, ci prendo gusto, accelero! A tratti la sabbia finisce, la moto viaggia sulla sabbia col motore a giri elevati e quando di colpo la sabbia finisce il terreno duro dà immediatamente grip alla gomma, e la moto scatta e tu ti appendi al manubrio. Al contrario, quando di colpo la sabbia compare, la moto decelera bruscamente e tu devi trattenerti per non finire troppo avanti e spostare il peso sulla ruota e di conseguenza piantarti e capottare in avanti.
Che sballo, ragazzi! Quegli ultimi km sono stati una figata! Su una pietraia mi lancio talmente a cannone che sorpasso Mighe, il quale poi mi dirà che si è cagato sotto sentendo di colpo un motore urlare sguaiato alle sue spalle semi-sommerso da rumore di pietre sul paracarena!
Nel piattone dunoso e roccioso in cui corriamo, di colpo, all'orizzonte, compare una macchia verde che si allarga sempre più. Siamo arrivati, è l'oasi di Ksar Ghilane. A bordo strada dei tipi tedeschi con delle BMW si stanno riposando, sono sudati marci, non pensavano che la strada fosse così mal messa; non capisco che cazzo siano venuti a fare qua con delle moto da strada! Li vedrò arrivare all'oasi molto tardi, massacrati.
Attraversiamo un piccolo centro urbano e raggiungiamo il distributore di benza, che però è chiuso. Ripartiamo per la pista roccioso, ed eccolo: il palmeto è raggiunto. Cominciano le dune vere e proprie. Siamo in pieno deserto sabbioso, Mighe vuole farci entrare nell'oasi direttamente dal deserto quindi la circumnavighiamo faticando sulle dune, su e giù, su e giù, il motore strilla, è tutto il pomeriggio che facciamo fuoristrada, ma resistiamo per gli ultimi metri. Il giorno dopo, non so per quale motivo, farò infinitamente più fatica per uscire dalla stessa strada, di quanta ne ho fatta per entrarci.
L'oasi è raggiunta, passiamo davanti alla pozza, parcheggiamo i barelloni ed andiamo dritti al bar. Non hanno birra, ma hanno un buon thè, e ci riposiamo seduti in questo luogo meraviglioso, invasi dalle fastidiose voci di decine di turisti francesi, godendoci i frutti di una giornata epocale, la più bella di tutto il viaggio.
Piantiamo le tende dopo aver girato varie piazzole e rischiando pure di far scattare la rissa con dei fottuti francesi che continuano a dirci che il posto da noi scelto l'avevano già "prenotato" loro. Ma che cazzo vuoi prenotare in un boschetto?!? Fanculo, francese di merda, ficcati il tuo camembert nel culo e poi scorreggia!
Fatta, la tenda è montata, le mutande sono tolte, si prende l'asciugamano, e 5 minuti dopo siamo immersi nell'acqua calda e rilassante della pozza. Ci restiamo una buona mezz'ora, mentre il sole ormai calato non riscalda più l'aria, i nostri corpi sono immersi nell'acqua calda, mentre sul nostro volto pizzica l'aria fresca della notte africana, la notte sahariana.
Una cena abbondante, innaffiata da svariate birre: siamo in 3, ed al cameriere ordiniamo subito 9 birre, fate voi! E non è l'unico ordine! Quindi via al bar a bere the e fumare un fantastico narghilè.
Concludiamo la serata seduti sulle dune un po' distanti dall'oasi, col deserto illuminato dalla luna piena, pensando alla giornata di domani, seduti nel silenzio della notte dell'oasi, giornata in cui il destino si rivelerà: dobbiamo raggiungere Douz via deserto, coi serbatoi della benzina per precauzione ricolmi e carichi di tutti i bagagli. Un fine giornata rovinato da dei bambini ovviamente francesi che pare abbiamo come unico scopo la rovina dell'atmosfera di calma e pacatezza irradiata dalla notte africana: ruttano, scorreggiano, ruttano, un ammasso di coglioni.
Mi dicono tutti che il punto critico lo beccherò subito: sono infatti i primi 5/6 km per allontanarsi dall'oasi, dunette a perdifiato, sabbia soffice come borotalco, solo che non fa grumi! Suppongo che in quei pochi km deciderò il futuro della mia giornata. E così sarà!
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Mi sveglio di buon'ora per vedere l'alba. Zip, la cerniera della tenda si apre e la mia pelle si raggrinzisce per l'aria gelida che entra. Esco dal sacco a pelo rabbrividendo, nessuno in giro, rumore sommesso di russare esce dalle tende di quei fottuti francesi. Prendo la macchina fotografica, mi rullo una cicca nel buio, e l'aria gelida mi ispira anche qualcos'altro, per cui prendo anche la carta igienica!
Mi inoltro tra le dune, è ancora scuro, un lieve chiarore ad est annuncia l'arrivo del sole. Avanzo a stendo, la sabbia è compatta ma comunque il piede fatica. La caviglia mi fa ancora un po' male, soprattutto al mattina, e camminare in questo terreno così labile me la fa dolere ancora di più per i movimenti che deve fare per sostenermi nella sabbia.
Trovo, un po' distante dall'oasi, una bella duna a mezzaluna, riparo perfetto per i miei servizi. Dieci minuti dopo sono di nuovo che avanzo a stento per allontanarmi sempre di più, ma liberato come sono sto meglio e l'aria pare quasi meno fredda. Il rivolo di acqua calda che esce dall'oasi fuma abbondantemente, c'è qualcosa di surreale in questa visione di acqua calda fumante tra le dune.
L'alba è meravigliosa: faccio un sacco di foto, tentando di immortalare nella staticità degli scatti le variazioni cromatiche continue dell'alba nel deserto.
Dopo una mezz'ora abbondante torno al campo. I miei amici si stanno svegliando, andiamo a fare colazione al bar, una capatina abusiva al bagno dell'albergo (quanto spreco d'acqua che vi ho visto, questa oasi non penso durerà a lungo) quindi cominciamo a smontare il campo e caricare i bagagli. Dò una spalmata di Lasonil alla caviglia. Alla fin fine partiamo verso le 11, sosta dal benzinaro, e la poca sabbia che facciamo nel frattempo già mi preannuncia grandi fatiche, nella mia mente suppongo che il fallimento fosse già una realtà.
Benzina è fatta, serbatoio pieno fino all'orlo.
Sono le undici passate, l'ora peggiore, probabilmente, poichè la sabbia riscaldata dal sole già alto si secca e diventa meno compatta. Avremmo dovuto partire di primo mattino ma... ce ne siamo dimenticati!
Usciamo dall'oasi mentre la vita turistica è già in pieno fermento. I cammellieri attendono l'arrivo di chi vuole fingersi berbero per qualche istante della sua vita.
Dune. Si parte. Ed è subito disastro. Dopo poche centinata di metri sto già grondando sudore. Scendo da una duna, dalla successiva sbuca una vettura, per evitarla faccio una manovra troppo brusca e finisco al suolo, con una caduta rovinosa che infrange il mio cupolino fai-da-me-rda. Rotolo al suolo. Quelli della vettura neanche si fermano per vedere se mi sono fatto male, se ne sbattono allegramente i coglioni e proseguono.
Rialzo la moto: un macello! Nella sabbia la moto sprofonda, faccio fatica a trovare appigli validi a causa dei bagagli, un massacro! Quando riesco a sollevare la moto, sono in acqua, i polmoni paiono esplodermi sotto al giubbotto. Prendo fiato, e riparto. Le carregge delle vetture mi tracciano la strada, ho già perso il contatto visivo coi miei due compari. Le dune sono continue, piccole e bastarde, nella sabbia sprofondo terribilmente, a tal punto che mentre corro la moto sta così sprofondata che i piedi sulle pedaline toccano la superficie della sabbia!
Che fatica merdosa! Un disastro! La moto è inguidabile, va da tutte le parti. Sto in piedi più che posso, ma a tratti devo sedermi per zampettare e stare in piedi, ma il piede trascinato indieto sbatte continuamente sulle valigie. La caviglia mi fa un male cane perchè si gira di continuo!
Raggiungo in un piano rialzato e più duro i miei due compari. Capiscono subito che sono condannato a morte certa. Lontano il fortino romano si erge sulla sommità di una duna.
Ripartiamo, loro si allontanano subito, io a stento proseguo ma è difficilissimo e faticosissimo! Ma chi cazzo me lo fa fare? I miei compari sono lontani, sulla sinistra il fortino pare sempre allo stesso posto, un tipo con una motoretta avanza a stento verso i suoi resti. Cosa penserà di me, che sono un idiota? Be, lo penso anch'io!
Salgo su una duna, esco dalle carreggie per avere più direzionalità ma sulla sommità della duna c'è un dosso fastidioso, la moto scende, io non dò sufficiente gas per uscirne e la moto si insabbia. Il motore si spegne. Silenzio. Dune a perdita d'occhio. I miei amici sono davanti a me di alcune centinaia di metri. Scendo dalla moto che sta in piedi da sola, è sotto fino alla corona. Comincio a spingere per farla avanzare, ma i bagagli mi rompono le balle e non riesco, cado in ginocchio stremato. I miei amici stanno fermi a guardarmi, faccio un cenno con la mano ma non ho alcun tipo di reazione da parte loro. Comincio a scavare la sabbia da sotto la moto, metto la seconda, accelero un po' e la moto avanza, ma si insabbia di nuovo. Sono stremato, non riesco quasi a respirare. Torno a scavare, scavo per bene, metto la seconda, e spingo, ma non ho più forza. Avrò spostato la moto di neanche due metri. Non manca tanto alla discesa, lì sarà più semplice, ma ora è sotto anche il forcellone. Provo a spingere ma non ce la faccio, cado al suolo stremato con la vista che si annebbia. No, è troppo. E' eccessivo. Non sono qua per questo. Per nulla. Mi vedrò il deserto nell'escursione a Tembaine tra due giorni, quando sarò senza bagagli. Chi se ne fotte. Mentre riprendo fiato arrivano i miei due compari. Io sono senza forze, loro scavano, Mighe gira la moto.
"Ragazzi, io torno indietro". La decisione è presa. Chi mi conosce sa che sono una gran testa dura, che non mi tiro indietro di fronte a nulla, e mi lamento raramente. Ma qua è troppo. Rovinerei il giro a loro, è chiaro, non hanno più di tanta voglia di star dietro ad un bove. Ed io non ho il fisico di reggere una cosa così. Ok, tra poco la zona dura finisce, sono passati 3,7 km dall'uscita dall'oasi. Ma io non sono qua, in Tunisia, a fare questo tipo di viaggio. Rischio di rovinarmi la giornata. No, non sono qua per questo. E decido di fare marcia indietro. Una decisione che mi pesa molto: adoro il deserto dunoso, mi piace più di ogni altra cosa la sua forma così dinamica e così statica allo stesso tempo. Adoro i colori della sabbia che cambiano con il muoversi del sole in cielo. Adoro il silenzio di questo alieno ambiente monocromatico. Adoro salire su una duna, spegnere il motore, e guardare zitto questo oceano pietrificato da una divinità schizoide eoni passati. Tuttavia, non è il tipo di viaggio che avevo in mente. Mi rifarò a Tembaine.
Chiedo a Mighe e Fiky di accompagnarmi per un breve tratto, ma loro capiscono male e mi accompagnano per tutto il duro viaggio di ritorno fino all'oasi. Ho le braccia devastate, rialzare la moto una volta e disinsabbiarla mi hanno massacrato. Mentre rientro nell'oasi, appena fuori, è pieno di turisti pronti a salire sul loro cammello, mi guardano arrivare, un bambino se ne sta dritto sulla mia scia, sopra i solchi, e se non lo evito si sarebbe fatto ammazzare come un caprone. QUando lo sento parlare francese quasi mi pento di non averlo accoppato. Una nottata a Ksar Ghilane mi ha fatto odiare un'intera nazione!
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Entrato nell'oasi, mi accorgo che Mighe e Fiky mi hanno scortato fin lì. Li saluto: loro faranno la traversata, ed io li raggiungerò a Douz via Pipeline e poi asfalto. Non mi sono ancora pentito di questa decisione.
Loro partono, io mi tolgo gli stivali, prendo un Thè, e mi siedo sul bordo della pozza mettendo i piedi a mollo. Accendo una cicca, ma la butto via dopo due tiri: i polmoni mi fanno malissimo. Me ne sto seduto a bordo pozza coi piedi ammollo, e mi dico che sono un coglione: se non avessi provato a fare questa cazzata, avrei potuto starmene tranquillo nell'oasi a farmi un'altro bagno nell'acqua calda, invece ho buttato via una intera mattinata. Vabbè.
Rimetto a posto i bagagli, mentre un cammelliere mi si avvicina per scambiare quattro chiacchere. Sono così simpatici, questi tipi, quando vengono ad informarsi disinteressati sul tuo viaggio. Mi parla della Tunisia, dell'Italia, mi chiede dove sto andando, mi parla di Douz, di suo cugino che abita là, e via dicendo. Alla fine riparto. Faccio la pista di sabbia fino all'agglomerato di catapecchie in cui vive qualche berbero, da lì comincia la strada asfaltata che porta alla Pipeline, la quale, tristemente, è a sua volta asfaltata. La imbocco, e me la immagine splendida se fosse stata di terra battuta. Invece è una lingua di asfalto che si snoda salendo e scendendo per un paesaggio desolato che giorno per giorno si riempie di sabbia,, sconfitto dall'avanzare inarrestabile del deserto.
Lontane, alte dune artificiali tentano di bloccarne il cammino.
A volte un edificio abbandonato a bordo strada attira la mia attenzione, le mura semicrollate giacciono come resti di animale a bordo strada, affiancate da linee di demarcazione naturali con il deserto. La strada sale e scende di continuo. Io guido la moto con tranquillità. Ancora da quando sono uscito dall'oasi, mi convinco sempre di più di aver fatto la scelta giusta: sono contentissimo di essere da solo, ho un intero pomeriggio a mio disposizione. Guido coi miei ritmi, ogni tanto esco dall'asfalto per seguire una pista che porta nel nulla, a vecchi edifici, a... l'infinito. Non esagero, sono solo, non ho neanche la pompa per gonfiare le gomme in caso di foratura. Ci siamo divisi i bagagli, prima di partire, ed ora io ho le leve smontagomme, Mighe ha la pompa. Entrambi dunque se foriamo siamo fottuti!
Bir Soltane, un pozzo lungo la Pipeline: sto per imboccare la pista che vi porta, quando vero il cartello "Camping Bir Soltane". Anche qua un campeggio? E difatti è pieno di turisti. Faccio inversione e taglio la corda, sono da solo e non voglio rovinare la mia solitudine!
A tratti la sabbia copre la strada, ma all'orizzonte sparisce lentamente, lasciando il posto ad un terreno brullo e dal colore smorto.
Arrivo alla fine della Pipeline, nello stesso cafè dove abbiamo mangiato andando a Matmata. Siccome è l'una, ho fame, molta fame. Adoro muovermi da solo, e fare soste. Alcuni camionisti bevono thè, e mi salutano con un cenno della testa. Mi siedo sull'unico tavolino libero, un po' appartato. Il berbero viene fuori, mi guarda strano e forse mi riconosce. Infatti non mi chiede di firmargli il muro. Gli chiedo se posso mangiare qualcosa, ed ovviamente mi risponde di si. Intanto mi porta un thè. Poi comincia: una minestrina piccante con tonno e uovo, salse di tonno ed Harissa, pollo, cous-cous ottimo, degli splendidi pomorini leggermente scottati, succosi e rosso acceso, bellissimi; datteri; dolci; un dolce ottimo di mandorle e datteri, ricoperto di glassa; caffè; thè. Alla fine arriva e mi porta un bicchiere con un liquido rossastro, sono quasi stupito. Lo guardo, e mi dice: "Le vin". Vino! Incredibile! Lo assaggio, ed è un ottimo rosso, forse cabernet, con un sapore di uva splendido, è dolce, fruttoso, il miglior vino che abbia mai bevuto! Faccio una foto al bicchiere, farò venire grande invidia ai miei amici: sarò l'unico che berrà dell'ottimo vino in tutto il viaggio! Dubito sia vino locale, secondo me gliel'hanno lasciato dei francesi. Faccio i complimenti al tipo, silenzioso come sempre, per il vino, e lui si emoziona e mi porta un altro bicchiere! Ho mangiato come un pazzo, il mio tavolino è strapieno di piatti, e non riesco più a finire i dolci. Il tipo mi guarda boccheggiare con lo stomaco gonfio, ride e mi dice "Tu es comme un roi!".
Sento dei fischi strani, mi giro e vedo il figlio del berbero con un falco al guinzaglio. Se lo mette sul braccio e gli dà da mangiare. Quando vede che lo fotografo me lo porta vicino. Il falco è bellissimo, simpaticissimo: gli butto dei datteri e lui li agguanta con gli artigli e li mangia. Il ragazzino mi chiede se voglio una foto col falchetto sul braccio, ma gli dico che non serve.
Pago una miseria, sono talmente sconvolto dal prezzo che gli lascio pure il mio accendino in regalo, e mi rimetto goffamente in marcia. Rutto, sono gonfio. Che splendido paese.
Imbocco la stessa strada fatta andando a Matmata, passo davanti ai pozzi dove comincia la pista che abbiamo fatto giorni prima arrivando da Kebili.
La supero, e così mi ritrovo su un pezzo nuovo di strada. Ad un certo punto una pista esce dall'asfalto, è bellissima e non riesco a resistere. La imbocco, è una lingua di terra mista all'ultima sabbia del deserto, un po' di pietre riescono a dare grip alla ruota anche sulla sabbia, e finisco in cima ad un colle dal quale la visione spazio all'orizzonte a sud verso il deserto, a nord verso un piattone che porta ai monti lontani. Cazzo, vorrei fare una foto ma ho finito le batterie. Quindi riparto, per un'altra pista, che mi porta dopo qualche km di nuovo sull'asfalto.
Che paese splendido, i panorami sono fantastici. Per evitare altri casini, mi fermo a cambiare le batterie della macchina fotografico, e scatto una bella serie di foto che formeranno una splendida panoramica alla mia moto lungo questa strada che continua fino all'orizzonte.
Riparto, sono passate le ore, e voglio arrivare a Douz con la luce per vedere già un pezzo del Festival del Sahara. Lontana comincia a comparire l'oasi, anticipata dalle prime palme. Infine passi sotto ad un arco, e sei nell'oasi di Douz, al limitare del deserto. In città c'è gran casino per il festival, seguo una colonna di auto oltre al palmeto fino al Camellodrono. Una grande costruzione offre posti a sedere per il pubblico, centinaia, migliaia di persone camminano ed urlano osservando la manifestazione. Parcheggio la moto vicino ad altre due endurone targate Germania.
Arrivo sul bordo transennato e di fronte a me c'è uno spettacolo maestoso: il camellodromo è enorme, gente in costume tradizionale sta facendo una coreografia di canti e balli tribali, lontane le dune del deserto giacciono immobili, decine di cammelli al pascolo, portati da qualche tribù di berbere, danno un tocco originalmente selvaggio all'ambientazione. Dietro di me si muove qualcosa, mi giro, ed imponente un Mehari si erge cavalcato da un uomo col turbante blu sul volto, gli occhi dipinti per proteggersi dal sole, le mani tatuate molti anni fa a motivi berberi, sarà almeno a 4 metri d'altezza. Il Mehari ed il suo berbero sono imponenti, maestosi. Mi chiede una sigaretta, gli dò quella che mi sono appena rullata, e se ne va, col Mehari che col suo passo lento avanza tuttavia velocemente, in virtù delle sue lunghissime zampe. C'è orgoglio, nobiltà, fierezza guerriera in questo popolo misterioso.
Mi rullo un'altra cicca, poi però mi ricordo che ho regalato l'accendino al berbero del Cafè. Un tunisino alto e giovane mi chiede d'accendere, ma non ce l'ho, combina da accendersi con un altro tunisino e fa accendere anche a me. Mi chiede da dove vengo, se è la prima volta che arrivo in Tunisia, e se mi piace il Festival. E' contento quando gli dico che coi miei amici abbiamo stravolto il nostro piano di viaggio per vederlo, mi dice che merita, che è un gran bel festival, tutt'ora immune dal fascino del turismo.
In effetti, è una figata pazzesca! Adoro questo genere di spettacoli!
Il sole cala, il festival per oggi sta per finire: devo trovare il campeggio, e mentre consulto la guida per trovarne il nome arrivano i due crucchi. Parliamo un po', mi guardano l'Africa e sorridono perchè loro hanno a loro volta un'Africa e fanno parte dell'Africa Twin Club di Monaco. Loro sono in campeggio, e mi dicono che posso andare con loro: mi fanno strada, arrivo in campeggio, e con mio notevole piacere scopro che il campeggio è l'unico posto di Douz ad avere la licenza per le birre! Scattano subito 3 birre, una per me e le altre per i nuovi amici crucchi!
Mando un sms a Mighe per dirgli il nome del campeggio, dopo un po' loro arrivano e mi dicono che anche dopo che ho mollato io, il deserto non era proprio così facile. La pista a volte la perdevano e la sabbia era terribile. Fiky è pure riuscito ad insabbiarsi in discesa! Non so se me lo dicono per farmi un piacere, ma non sono per nulla dispiaciuto di aver saltato la tratta.
Giri di birra, quindi montiamo le tende e via per Douz a visitare un po' di negozietti ed a mangiare! Il souk è proprio dietro al campeggio, una piazza murata che nasconde bellissimi cafè con tavolini all'aperto e negozietti. In uno di questi ci facciamo amico un pazzo che per tutta la nostra permanenza ogni volta che mi incrocia fa risuonare nella piazza il suo urlo acuto: "Federicoooooooooo"! Troppo simpatico, alla fine comprerò da lui qualche dono da portare a casa.
Mangiamo in un fantastico locale lurido dove si mangia da dio spendendo pochissimo, i posti che piacciono a noi! Tipo strabico con due occhiali allucinanti, tavoli sporchi e ripuliti buttando tutto per terra, piatti e bicchieri sporchi, ma tanto tanto cibo! Scopriamo anche una prelibatezza, le Dita di Fatima (nome grottesco da dare ad un piatto, tenendo conto che Fatima era la figlia di Maometto!): pesantissime, untissime, quindi buonissime!
Prima di andarcene a dormire vediamo in un'officina delle moto conosciuto: sono Max l'Assiro, Andrea il Sumero, Fabio, ovvero gli Al Qaeda Brothers. Non osiamo chiaramente dire ad alta voce questo nome in un paese islamico... Sono dal meccanico poichè gli ha ceduto il telaio delle borse laterali. Tenendo conto che le loro valigie in alluminio autoprodotte pesano da sole 6 kg, non ci facciamo troppe domande su come sia stato possibile un cedimento del genere.
Domani partiranno per andare a Ksar Ghilane, via Tembaine. Li salutiamo, noi domani saremo a vedere il Festival del Sahara, Tembaine è per il giorno dopo.
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Ci svegliamo al mattino ed andiamo a fare colazione. Non troviamo un baretto che abbia anche paste o simili, ma troviamo un posto che più tardi scopriremo essere rinomato: Il Maestro dei Sandwich. Qua, come del resto in Libia, chiamano Sandwich qualsiasi panino. Bene, il panino che prendiamo noi è una baguette lunga come il mio avanbraccio, farcita con: Harissa, tonno, uovo sodo, olive. Il tutto in abbondanza. Io con la mia solità velocità lo divoro in circa cinque minuti, bevendo del frappè alla fragola. E' sottinteso che cinque minuti dopo sono seduto nella tazza del campeggio!
Ci ritroviamo nel Souk, dove c'è uno splendido mercato. Suonatori, gente vestita di cianfrusaglie che balla ossessivamente, tornei enormi di un gioco simile alla dama, o forse ancora di più al Go giapponese. Bancarelle dove vendono ogni cosa, dalle lamette da barba, alle scarpe spaiate. Poi all'esterno del Souk c'è invece il mercatino della frutta e verdura, strapieno di ogni ben di dio. Compriamo dei mandarini, ottimi, anche se abbondantissimi di semi. Ci sono peperoni verdi piccanti che si differenziano da quelli che si trovano da noi per il fatto di essere lunghi almeno 20 centimetri e grossi 2 o 3 cm!
La mattina la passiamo così, a fare i fichetti in giro per la città. Poi andiamo al camellodromo a vedere lo spettacolo. Che, in effetti, sarà proprio uno spettacolo. E' strapieno di gente, noi - presumibilmente in quanto stranieri - veniamo dirottati verso la tribuna con tettoia, una zona preferenziale sia come vista sia per la copertura dal sole, che è veramente a picco. Ci sono 28 gradi circa, fa un caldo terribile, noi abbiamo ancora qualche mandarino.
Di fronte a noi l'enorme spiazzo del camellodrono finisce alcune centinaia di metri più avanti con le prime dune del Grande Erg Orientale. Decine, centinaia di rappresentanti ci sfilano di fronte, arrivano dalla Tunisia, dalla Libia, dal Marocco, dall'Algeria e da altri paesi dei quali non riconosciamo le bandiere. Una carovana di cammelli è ferma poco oltre, presumibilmente alcuni berberi sono arrivati fin qua attraversando il deserto con tutti i loro averi. Manifestazioni di ogni tipo, difficili da descrivere: balli, canti, vestiti, truppe armate, truppe folcloristiche, ipnotizzatori di enormi serpenti cobra, cavalieri, cammellieri. Fanno spettacoli di equilibrismo sui cavalli, giochi di destrezza, impressionanti. Arrivano i berberi sui loro possenti Mehari che fanno numeri da lasciare a bocca aperta.
C'è anche una rappresentanza ufficiale italiana (l'ambasciatore?), il che giustifica la bandiera italiana che sventola assieme a tutte le altre. E' seduto non lontano da noi, ma a lui servono da mangiare e da bere... E' palesemente annoiato, ma non mi fa invidia poichè la mia maglietta a maniche corte, sotto questo sole, è sicuramente più consona del suo completo giacca e cravatta!
Nel mezzo del cammellodrono c'è un pozzo: attorno a questo viene simulata una carovana di cammelli che traportano beni da commerciare attraverso il Sahara. Vengono assaliti da dei predoni a cavallo, ma arrivano "i buoni" che a spada ben in vista sconfiggono i ladri, e tutti cominciano a festeggiare. Vengono simulate, guerre, ma anche scene di vita quotidiana in un'oasi, o eventi vari legati alla vita nomade.
Poi c'è la simulazione della caccia: alla faccia dei Verdi, viene buttata una lepre e vengono mollati i cani. La prima lepre viene inseguita a lungo, rimanendo vincente, da un cane della razza "Canis Gerbillium" (vedasi il significato di "gerbilling" su Google, mi pare anche su Wikipedia). Il pericolo più consistente per quella lepre, col cane dietro, è infatti quello di fermarsi di colpo... Immaginiamo subito la scomparsa del cane, e la trasformazione della lepre in una nuova razza a forma di Canis Gerbillium! La lepre sfugge al cane per svariati minuti, finchè tutti si rompono i coglioni e vengono mollati tantissimi cani. Sentiamo delle urla, delle risate, e non vediamo più la lepre. Vengono mollate svariate lepri, e noi speriamo che compaia anche una griglia, ma non compare!
Intermezzo: guardando la folla constatiamo ancora una volta che le ragazze tunisine sono veramente splendide!
Lo spettacolo dura splendidamente fino al tramonto del sole, quando lo speaker saluta la folla, dando le date del 2010 (per chi vuole, dal 26 dicembre!). Tutta la folla, e noi dietro, scende nel piazzale, dove si possono vedere da vicino gli animali. I dromedari sono fantastici. Enormi, maestosi, eleganti e nobili! Ruminano l'aria continuamente. Facciamo un sacco di foto ad ogni cosa, anche ad una super-figa si presume italiana che lascia tutti a bocca aperta.
Ripartiamo, torniamo al campeggio attraversando il palmeto, prendiamo lo zaino e partiamo: direzione Hammam!
E' da quando siamo scesi in Tunisia che io e Mighe abbiamo intenzione di farci un bell'Hammam, e nella guida ne abbiamo trovati due a Douz. Uno l'abbiamo beccato, ma al mattino era solo per donne, e dalle 17 invece apre l'orario per uomini. Dopo l'abbandono dei miei sandali a Tozeur, ho dovuto comprarmi un nuovo paio di sandaloni da frate a Douz. Non mi serviranno, comunque, perchè il tipo dell'Hammam non me li fa mettere, non so perchè. Mi dà un paio di sandali suoi, misura penso 40 che col mio possente 46/47 non c'entra un beato cazzo!
Mettiamo la roba di valore in una cassetta di sicurezza, ed entriamo. Non si vede un cazzo! C'è una furiosa nebbia che non fa vedere, appena entrati, più lontano di un metro! Poi la vista un po' si abitua e si vede... a due metri! Saltiamo la prima stanza, già calda, per entrare nel Calidarium vero e proprio. Ci saranno 50 gradi, la nebbia di umidità è minore ma c'è da piangere. Io, grasso, abituato a stare seduto su una sedia, con la mia pressione alta, come mi siedo comincio a gocciare litri di sudore da ogni poro della pelle. Dopo un minuto sono indubbiamente quello che suda di più! Mi sudano pure gli occhi! Le lenti a contatto paiono sciogliersi sulla retina! Una sensazione allucinante! Non ho mai fatto saune, questa è la prima volta, e sono sicuro che sarà anche l'ultima! Dopo cinque minuti scopriamo che possiamo riempire un secchio di acqua per metterci i piedi: lo prendo, lo riempio, ci infilo i piedi ed urlo, poichè l'acqua sarà ad 80 gradi! I rubinetti dell'acqua fredda, sono da un'altra parte, riempio dunque il secchio con l'acqua fredda e ritorno a soffrire nel forno crematorio. E' terribile, mi gira pure la testa, dopo 10 minuti non ce la faccio più e mi sposto nell'altra sala che è meno calda (ma sempre molto calda) ma più umida. Non riesco quasi a respirare, mi manca l'aria, la pressione penso si abbassi di brutto in pochi secondi perchè comincia a girarmi la testa, e sto ancora peggio quando sento il rumore che fa il corpo del tizio che si sta facendo massacrare dal massaggiatore!
Vado in bagno a lavarmi la testa e la faccia con l'acqua fredda, e mi ripiglio un po'. Ritorno all'Inferno, e ricomincio a sudare come un pazzo. Ormai esperto riempio il secchio di acqua fredda in cui metto a mollo i piedi e con cui, a volte, mi bagno il capo ed i polsi. I 4 o 5 tunisini dentro l'Hammam stanno in silenzio, o parlano a voce sommessa. Noi facciamo altrettanto. Siamo in un luogo prettamente arabo, non convenzionale, non turisticizzato, alla periferia di Douz, a fare qualcosa di prettamente arabo. La sensazione migliora un po', non è male, mi sento quasi più sano.
Avviene però di colpo un fatto che rovina tutta l'atmosfera: entrano... degli italiani! E non sono solo italiani classici all'estero, sono pure (scusatemi il momentaneo tono razzista) meridionali! Cominciano a parlare a voce alta, ad urlare, a ridere sguaiatamente, a farsi gli scherzi tirandosi l'acqua. Palesemente stanno rompendo il cazzo a tutti. Mi vergogno talmente tanto di essere anch'io del popolo tricolore che vorrei fuggire. I tunisini li guardano con fastidio, ma nessuno dice nulla. Io e i miei compari, sfacciatamente, a voce alta diciamo "I soliti rompicazzi italiani". Scusatemi, ma noi del profondo nord-est siamo molto diversi dal resto d'Italia. Siamo più silenziosi, più burberi, più rispettosi. Non c'è alcun dubbio. Siamo profondamenti diversi dal sud. E questo tipo di comprtamento lo odio. Non dico che sono solo quelli del sud che lo adottano all'estero, ma perlopiù li ho sempre incontrati così. Due palle, non fanno altro che far casino. Persino quando un loro amico anzianotto si sente male continuano a fare casino portandolo fuori.
Vi dico che facevano così casino che il gestore dall'Hammam, quando ce ne andiamo, dice a Mighe: "Si vede che voi non siete della stessa zona dell'Italia di quelli là". Da vergognarsi.
Insomma, restiamo lì a cucinarci e sudare. Ma non abbiamo pranzato, ed io non ce la faccio più. Vorrei fare il massaggio ma la coda d'attesa è lunga, ci vuole almeno mezz'ora, ed io e Fiky non abbiamo voglia di resistere. Il sudore abbandonato nel pavimento dell'Hammam ci ha fatto venire ancora più fame e sete. Guardiamo la coda d'attesa, ci sono 2 tunisini, poi Mighe, poi io, infine Fiky. L'attesa è troppa, è circa un quarto d'ora a persona, anche abbondante.
Io e Fiky ci distruggiamo ancora un po' nel Calidarium, quindi usciamo, facciamo la doccia fredda mentre i simpatici italiani continuano a fare un casino allucinante, si mettono pure a farsi shampoo e bagno schiuma nella doccia facendoci aspettare un'eternità, ed alla fine siamo per strada alla ricerca di un nuovo posto per mangiare come dei veri Buei! Vaghiamo a destra e sinistra, ed alla fine ritorniamo nel posto della sera prima, l'unico che non ci abbia dato l'impressione di essere turista, e l'unico sempre pieno di tunisini: ovvero, l'unico in cui si mangia bene e si spende poco (ergo, l'unico "sgrauso per buei"!).
Dopo aver ordinato una gloriosa zuppa piccante e dell'agnello, mentre affrontiamo l'harissa col pane, arriva Mighe. Dopo cena incrociamo i vandali Al Qaeda, sempre dal meccanico. Sono partiti al mattino, ed ancora prima di arrivare al Cafè La Porte du Desert Fabio si è capottato facendosi male e facendo danni alla moto, che ora è sotto i ferri del sapiente meccanico che, sfortunatamente, anche Fiky a breve conoscerà.
Torniamo al campeggio e prendiamo delle birre: domani è il gran giorno, forse assieme agli Al Qaeda, lasciando in campeggio quasi tutti i bagagli, partiremo alla volta di Tembaine! Là dormiremo nel campo tendato, ed il giorno dopo torneremo a Douz! Io un po' sono nervoso, un po' sono gasato! Sono rilassato, e oggi mi sono riposato per bene! Domani sarò pronto per la Grande Fatica! Lasceremo al campeggio tutto così com'è, in questo modo non dovremo perdere tempo a fare bagagli e verso le 9 potremo partire, assieme ai pazzi! Mighe è un po' scosso dal gran volo di Fabio, anch'io un po' ma non più di tanto: conosco la follia di quel gruppo di talebani dell'off-road!
Notte: è l'ultima notte del condannato a morte, o la notte prima del giorno della gloria? Lo saprò domani.
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Mi sveglio di buon'ora riposato e gasato! Zip, esco dalla tenda, "Che strano, dormono ancora", scuoto la tenda dei due compari monodotati ma ne esce solo un gemito ed una scorreggia! La scuoto ancora, e Mighe mi manda a farmi fottere! Strano, è sempre così mattiniero quando si tratta di essere Ressing! Suppongo stiano confabulando fra di loro per escogitare un modo per farmi restare al campeggio, ma oggi, diversamente che a Ghilane, sono determinato!
Vado in cesso a fare il mio dovere mattutino. Quando torno, Fiky è fuori dalla tenda mentre Mighe dorme ancora. Urlo una bestemmia ma Fiky mi dice, serio: "Sssshh che ha vomitato tutta la notte!". La notizia mi giunge con la stessa irruenza di una tegola che mi cade in testa dall'Empire State Building! Bestemmio. Chiedo a Mighe se è vero, e la cera che ha in viso mi risponde da sola! Porca troia! Il disastro: è saltato tutto!
Sono disperato, questa non me la aspettavo. Attendiamo un po', ma il responso è tragico: l'uomo sta male, non è il caso di partire. Da un lato (come al solito, in tutte le nostre avventure, le sfighe occorse sono sempre contornate da strane coincidenze fortunate) è comunque una fortuna: meglio gli sia venuta ora, piuttosto che a Tembaine: là saremmo stati (idealmente io e Fiky, materialmente Mighe) nella merda! Saremmo stati lontani 100 km circa dalla civiltà, soli in moto, e con viveri utili per una sola notte!
Io sono comunque disperato, perchè in questo modo mi salta l'escursione nel deserto che tanto volevo fare e che mi aveva reso molto sensato il ritiro dalla traversata Ghilane-Douz! Cazzo! Porcazzo dio, e adesso che faccio? Sono fottuto. Si palesa in me la mancanza quasi assoluta di deserto dunoso in questo viaggio! E' un disastro! Sono disperato! Non mi pento di non aver fatto la traversata, quel giorno non potevo immaginare un disastro simile, ma cazzo... Eh vabbè, non ci posso fare nulla. Vado a farmi un giro in centro mentre Fiky accudisce il morto, devo anche comprargli un limone. Appena uscito trovo gli Al Qaeda Brotha che stanno partendo: che invidia merda!!! Racconto loro la disavventura, quindi li saluto a denti stretti e ben grondanti veleno! Compro al Souk qualche simpatico da portare a chi mi attende a casa.
Porto il limone a Mighe, gli dò il fornellino in modo che si cucini un Thè con quello che avanza ancora dalla nostra notte selvaggia alla tavola di Giugurta, e propongo a Fiky di fare un giro. Lasciamo l'uomo a peregrinare tra la tenda e il bagno come un Caronte moderno, ed io e Fiky andiamo al Souk. Beviamo dei thè, guardiamo il mercatino, osserviamo a lungo le fighette tunisine, quindi per pranzo torniamo dal nostro eroe, che è candidamente steso al sole sulla sua stuoia. Attorno a lui resti di confezioni di Imodium ed Enterogermina testimoniano il disastro intestinale che lo sta perseguitando. Io e Fiky beviamo qualche birra, quindi usciamo a pranzare dal nostro amico il Signore dei Sandwich.
E' a questo punto che Fiky, di solito silenzioso e disposto a tutto, fa uscire il suo animo Ressing: "Bon, Mighe, inculati, noi andiamo via!". Grande! Un mito! Il progetto della giornata è partire, farci i 20 km di deserto fino al Cafè la Porte du Desert, così almeno io vedo quel posto leggendario, poi scorazzare un po' sulle dune lì attorno, senza allontanarsi, e tornare a visitare il cadavere di Mighe al tramonto per dargli degna sepoltura.
Si parte, dimenticando ovviamente ogni attrezzo per la moto! Facciamo il pieno, quindi comincio a seguire Fiky che segue a ritroso la traccia del giorno prima fino all'inizio della pista. La pista, come mi aveva anticipato Mighe, non è quella distesa di terra battuta che lui ricordava, e che tutti mi avevano descritto. E' invece una distesa di Tole Onduleè spesso e volentieri sommersa da cumuli enormi di sabbia con le solite fastidiosissime carregge che io tanto odio. A tratti ci sono delle dunette. Sarà per il forte vento che da giorni spazza queste zone, ma non è per niente la simpatica "strada di campo" che mi avevano descritto, in sincerità questa strada da solo non la farei mai.
Fiky ovviamente va come un treno, io mi sono abituato di più alla sabbia con l'Africa, inoltre qua è meglio poichè comunque la strada è larga, ed anche se la moto sbanda a destra e sinistra, comunque c'è spazio perchè si muova e riacquisti la traiettoria. Andiamo veloci, è troppo fico. Quando il terreno diventa duro, invece, dalla gomma di Fiky si sollevano grandi nuvole di polvere, ed io mi allontano allegramente. Dei cammelli al pascolo attirano la mia attenzione, sono sempre affascinato da quegli animali. Fiky si allontana velocemente, io supero una vettura ed accelero per raggiungerlo. Pian piano mi ci avvicina, poi d'un tratto, lontano, lo vedo fermarsi, ma stranamente, anche se mi vede arrivare tranquillo, non riparte. Anzi, Fiky scende dalla moto e guarda il motore... Arrivo, mi fermo, e mi dice che mentre mi aspettava ha notato di avere lo stivale sporco, lo ha toccato ed è ..... OLIO! Ma porca puttana Eva!
Il telaio della moto è sporco di olio, gli dò un fazzoletto per pulire il tutto e capire da dove è venuto. Pensiamo sia lo Svitol usato per pulire il cavo frizione, ma questo è scuro. Di colpo scopriamo cos'è successo: presumibilmente la Tole Onduleè (che Dio, Allah, ed il Bisonte Bianco la stramaledicano!) ha fatto mollare un po' il serbatoio dell'olio dalla sua sede, questo ha cominciato a vibrare e sfregare sul telaio, e così in un punto si è un po' aperto, ed ora perde olio. Guardo il contakm: abbiamo fatto 9 km. Attorno a me il deserto è ormai cominciato, davanti a me, all'orizzonte, si intravede il deserto dunoso che però quest'anno per me resterà un sogno, un desiderio irrealizzato. Ancora una volta constatiamo il doppio volto della sfiga: se Fiky non se ne fosse accorto subito, avremmo potuto trovarci al Cafè, a 20 km di distanza, con la sua moto senza olio! E senza neppure un attrezzo con noi! Ma....... cazzo!!!
Mi arrendo al destino funesto che ha deciso che io non farò deserto. Saluto la distesa di dune, e dietro a Fiky ce ne torniamo mestamente verso Douz, per andare dritti dal meccanico. Arriviamo dal fantasma di Mighe. "Già tornati?" - Gli rispondo con un bel cane!. Spieghiamo la faccenda, Fiky va dal meccanico, io mi bevo una birra in solitudine, in mesta solitudine.
Mighe si è un po' ripreso, quindi andiamo dal meccanico a vedere se combina ad aggiustare la moto del povero Racer! La scena è fantastica: il meccanico sta smontando la moto di Fiky il quale gli sta a fianco osservandolo in silenzio, tentando di spiegargli a volte come fare, tenendolo d'occhio e tentando pure di intromettersi nel lavoro. Per il meccanico non dev'esserci nulla di più fastidioso. Mentre siamo lì sulla porta compaiono due tipi, ed uno di questi è Signo, amico di Mighe e Fiky! Poco dopo, seduti al bar di fianco al meccanico bevendo thè, io trovo pure Manè! Che piccolo il mondo, eh? No, in realtà sapevo che oggi li avrei incrociati! Arrivano lui e Marty e cominciamo a scambiarci impressioni di viaggio! Che figata che è ritrovarsi all'estero, c'è qualcosa di veramente avventuriero che è difficile da spiegare.
Loro sono in albergo e ci dicono che, essendo il 31, andranno a cena in un ristorante tutti assieme. Signo è del loro gruppo. Noi ci eravamo, invece, completamente dimentica che è il 31 dicembre. Ma in fondo, a noi, quanto ci fotte che è il 31 dicembre? Ben poco. Tuttavia, ci associamo alla allegra comitiva, dandoci appuntamento per la sera. Torniamo dal meccanico, che pian piano (per niente male, tra l'altro, come meccanico!) ha sistemato la moto: smontato il serbatoio, fatto saldare per bene, controllata la tenuta, fatta fare un'altra saldatura, ora la tenuta tiene bene, e rimontata la moto. Fiky pagherà, per circa 3 ore e mezza di lavoro, una miseria veramente, mi pare 20 euro!
Alla faccia di quello sfigato BMWaro che in campeggio è rimasto a piedi con la sua nuova di neanche un mese BMW R1200GS Adventure, della quale è morta la batteria, e che pare abbia una batteria assurda inesistente in tutta la Tunisia. Alla faccia delle migliaia di Euro sborsate per quella moto, il numero verde BMW gli dice candidamente: "Non copriamo la garanzia in Tunisia, ed ora metta giù il telefono e risparmi i soldi della telefonata"! Lui e la sua arrapante morosa pagheranno la bellezza di 350 dinari una batteria pure meno potente, che gli permetterà, però (non ne siamo tuttavia certi), di tornare a Tunisi e poi a casa, al termine di una vacanza allucinante. Pensando alla sua esperienza, io mi tiro su il morale: in fondo io mi sono solo perso il deserto dunoso del Grande Erg Orientale, lui invece si è perso tutta la vacanza!
Ci facciamo belli per la serata di capodanno (ovvero, ci laviamo mani e denti) ed usciamo ad incrociare gli altri. Sono un bel gruppo numeroso! Andiamo al ristorante, dove mangiamo tanto e bene, come al soolito, anche se paghiamo qualcosa di più rispetto al solito ma siamo in un posto più elegante. Un gruppo di suonatori a metà cena entra come un quartetto di furie infernali nella sala, strombazzando con quella assurda trombetta araba dal suono allucinatorio, e rullando sui tamburi. Fanno un casino immenso: dal tavolo vicino, dove ci sono dei turisti arabi, una signora imponente si alza e si mette a ballare, per compiare il suo orrendo marito. orride divertita mentre sculetta guardandolo. Le due figlie la guardano, si gasano, e vanno a ballare pure loro, e lo spettacolo è strano: la più piccolo è inquietante, vanitosa, muove i fianchi tentando di essere sensuali anche se avrà 11 anni. La più grande, invece, che ne avrà 15, non balla molto, ma santo dio come muove le anche ed il culo, è impressionante! Bravissima! E' una danza sensuale, pensata probabilmente per compiacere il marito-padrone quando lo desideri.
Grande festa dei camerieri, che con l'intenzione di bruciare dell'incenso rischiano pure di dar fuoco al povero Mighe che, ancora intestinalmente indisposto, mangiucchia a stento qualcosa.
Infine mezzanotte passata in strada, bevendo dell'orripilante vino rosso tunisino, e parlando di moto e Motobecane e motorini Madmax con Raul, che pure che scrocca uno ad un ragazzino facendosi un giro per l'isolato!
Torniamo in campeggio, io e Fiky ci scoliamo qualche birra, Mighe ci osserva invidioso: buon anno, bueame tunisino! Buon anno, Quelli del Sanchez! Addio, Grande Erg Orientale! Con te mi resta un conto aperto...
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Ci svegliamo. E' il primo gennaio 2010. Fottuto 2010, cominci già trovandomi con l'amaro in bocca!
E' tempo di lasciare la bella oasi di Douz. Mighe si è un po' ripigliato.
Dobbiamo andare a Kairouan, la nostra gita off-roadistica sta per concludersi poichè ora l'ultima tappa del viaggio, prima dell'arrivo a Tunisia, è una tappa culturale: la città santa di Kairouan, la più antica città islamica del nord-africa. Io la voglio vedere, e la strada fin là si prospetta ormai un drittone enorme. Non sarà così.
Il piano di viaggio prevede di salire lungo il Chott El Fejaj fino alla statale Gabes-Gafsa, per poi salire a Sened Gare, un'antica città arroccata sui monti piena di rovine, in cui pare troveremo da dormire in qualche modo. La guida è piuttosto evasiva, al riguardo: non ci sono neppure tantissime indicazioni stradali. Usciamo da Douz, io col cuore spezzato in due, lo sguardo diretto alle ultime dune, all'ultima sabbia che suppongo vedrò in questo viaggio.
Il Chott El Fejaj è un altro lago salato, bellissimo, piatto all'infinito. Mighe prova a scendere sul letto bianco del lago ma questo, differentemente dal Jerid, è realmente fangoso, la sua moto sbanda a destra e sinistra. Vedo Mighe sgambettare tentando, in definitiva con successo, di tenerla dritta, quindi ritorna verso la strada asfaltata dalla quale io e Fiky osserviamo ridendo le prodezze del Dominasso. Fiky, dopo averlo visto, mette da parte il suo spirito Ressing e decide di non emulare il pazzo Mighe.
Perdiamo una decina di minuti a ridere ancora di più quando Mighe comincia con le mani a togliere il fango salato dalla moto: ha imbrattato tutto, sembra cacca molle. La raccoglie con la mano e la lancia al suolo, fa "pof" e si allarga, proprio come una merda di vacca fresca fresca. Fa talmente impressione che sono talmente psicologicamente scosso dalla scena che il mio naso percepisce l'inesistene odore caldo della merda molle.
Borse, schiena, moto, tutto zozzo!
Ripartiamo ridendo, lontani, alla fine del lago, i monti paiono contornati da una nebbiolina rosata, la scena è così strana che io, guidando, comincio a canticchiare Purple Haze di Jimy Hendrix. Man mano che ci avviciniamo, la nebbiolina sembra sempre più reale. Una volta passata la prima catena montuosa, la nebbiolina diventa reale a tutti gli effetti, è qualche km di fronte a noi, un banco di nebbia giallastra alto alcune decine di metri. Dopo una curva, mi ci trovo di fronte, e mi viene la pelle d'oca. Mi fermo: ad una decine di metri di me, di punto in bianco, sta vorticando una violenta tempesta di sabbia! Mighe e Fiky si sono fermati di fronte a me, e già li vedo offuscati dal fenomeno. Riparto, io sono in testa, entro nel banco e subito la visibilità si abbassa: il vento forte solleva la sabbia e la trasporta da ovest ad est ad una velocità assurda. Si vedono al suolo lingue di sabbia comporre strane figura nella loro corsa selvaggia da una parte all'altra dell'asfalto. Sul volto i granelli fanno malissimo, mi sollevo più che posso la mia nuova Kefya per ripararmi più che posso, e non posso non essere contento di questo acquisto: la sua trama sottile ripara dalla sabbia permettendo di respirare bene. Sebbene so che verrò additato come Compagno Comunista da tutti gli ideologicizzati italiani G8ini merdosi, ammetto che è un accessorio fantastico da usare in moto!
Avanzo lentamente, non si vede nulla, la sabbia entra dappertutto, me la sento fino nelle orecchie, mi entra negli occhiali dandomi fastidio alle lenti a contatto. Quando ad un certo punto di colpo mi trovo i fanali di un furgone a meno di 5 metri di distanza, mi cago addosso perchè la visibilità è ridottissima, meno ancora di quanto pensassi. Tengo gli occhi incollati al suolo per seguire le deboli strisce bianche e riuscire a stare nella mia corsia. Vorrei fermarmi per fare una foto all'interno della tempesta, ma mi cago addosso e non lo faccio: non vorrei mai essere investito da chi mi sta dietro.
Con un muro invisibile di colpo la tempesta scompare, frenata da un colle poco distante, ma circa 500 metri più avanti ne vediamo un nuovo inizio. In questa bolla di salvezza dalla tempesta un carretto trainato da un asino con un tunisino sopra mi fa quasi tenerezza, ci guarda divertito e ci saluta! Cazzo, ma come fa a farsela a quella velocità, senza paura? Be, se lui effettivamente si trovasse in Friuli con la nostra nebbia invernale... Dipende sempre dall'abitudine.
Rientro nella tempesta, pare ancora più violenta e mi chiedo quanto durerà, ma finisce fortunatamente dopo alcuni chilometri, percorsi a non più di 20 km/h!
Un'esperienza sicuramente indimenticabile, da un lato splendida, dall'altro terrificante. Proprio come un Dio.
Concludiamo la bella e inaspettata strada che sale a nord lungo il Chott EL Fejaj, e ci ritroviamo sulla statale per Gafsa. Siamo fermi in un paesino dimenticato da dio, da ogni dio, escluso che da Allah: il Muezzin infatti comincia subito a cantare. Fermiamo le moto, e ci sediamo a bordo strada per un pasto frugale ed una pausa. Mighe decide di improvvisare salendo per la strada di fronte a noi che ad occhio dovrebbe portarci sempre verso il misterioso Sened Gare.
Il paesaggio collinare e rigoglioso è da spettacolo. La strada è simile ad un serpente pagano sinuosa tra i colli, sale, scende, guada gli uadi, curva e ricurva. E' talmente bella che ciascuno di noi la segue col proprio ritmo, per goderci appieno il panorama, e ci allontaniamo l'un l'altro in contemplativa solitudine. Alte muraglie montuoso ci affiancano, salendo vertiginose al cielo, per poi risprofondare al suolo e scomparire. I monti in Tunisia sono perlopiù tutti così: maestoso e solitari. Ad un incrocio, Mighe segue ovviamente la strada con la pavimentazione peggiore: non facciamo molta strada prima di ritrovarci in uno splendido sterrato che attraversa sornione una valle incantata coltivata con successo. Il terreno brullo e grigiastro è continuamente chiazzato da ampie distese erbose coltivate dalla popolazione locale, difesa probabilmente dalle ondate del turismo dalle due catene montuose che si allargano a nord ed a sud. Quella a sud l'abbiamo appena attraversata, quella a nord è ancora lontana e presumibilmente sulle sue cime si annida il gioiello Sened Gare, che la guida posiziona alla bellezza di oltre 1.000 metri! Tuttavia, dopo alcuni km di sterrato, non capiamo più dove siamo. Usciamo dalla lingua di terra e ci troviamo su una strada asfaltata molti anni prima che costeggia un paese minuscolo dedito presumibilmente alla sola agricoltura locale, che dà sostentamento sufficiente a tutta la misera popolazione. La piccola moschea risalta appena tra le case. Alcuni bambini escono timidamente dalle mura e ci osservano, seguiti da degli anziani. Ci fermiamo per chiedere indicazioni, e il piccolo gruppo di persona manda a presentarsi un uomo molto vecchio, che parla di continuo ridendo come un matto. Non parla però nè francese nè alcuna altra lingua da noi conosciuta. Una donna poco lontana mostra sul volto e sulle mani numerosi tatuaggi d'hennè. E' una zona, si capisce, tribale, isolata dalla civiltà. Sono sicuro che tutta questa zona andrebbe esplorata con molta più calma, perchè darebbe grandi soddisfazioni dal punto di vista della "Fuga dalla modernità".
Mighe tenta di farsi capire dal vecchio, gli mette pure davanti la piantina, ma nessuno di noi ha qualche dubbio del fatto che sappia leggere i caratteri occidentali; i suoi occhi inoltre mostrano i segni di una violenta cataratta. Guarda la mappa con la stessa espressione che avrei io di fronte ad un testo fenicio! La scena è talmente ridicola, con Mighe che continua a parlare in francese, ed il vecchio che ride, urla e gesticola, che non posso esimermi dal fare una foto, con atteggiamente comunque un po' ritroso poichè non mi pare che siano molto contenti di farsi fotografare...
Alla fine pare di capire che siamo sulla strada giusta, salutiamo il vecchio che continua a ridere e tutti ci fanno grandi gesti con le mani alzate, palesemente di augurio. E' qua che mi rendo conto che non ho usato, in tutto il viaggio, con nessuno la splendida parola "Inshallah" che tanto mi piace. Avrei potuto usarla per manifestare il nostro ringraziamento a quel simpatico vecchietto, presumibilmente l'Imam della tribù, ma me ne dimentico.
Ripartiamo per la strada, un forte vento viene - guarda a caso - da ovest e ci dà grande fastidio. Arriviamo dopo svariati km ad un paese, che però è nettamente fuori dalla nostra strada. Chiediamo informazioni in un paesino dove veniamo circondati da ragazzi che vogliono fare un giro in moto! Fatichiamo a liberarcene, otteniamo un'indicazione, e torniamo indietro di svariati km. Arriveremo mai a destinazione? Mai come nel resto del viaggio, durante questa giornata ci siamo sentiti così tanto lontani dalla civiltà. Neppure l'anno scorso in Libia ho avuto la sensazione di trovarmi in un posto così lontano ideologicamente dalla cultura in cui sono cresciuto, nel senso più lato del termine.
Mighe riconosce lo svincolo che dobbiamo prendere, e cominciamo ad avvicinarci sempre di più all'alta parete roccioso che costituisce i monti a strapiombo in cui si annida Sened Gare. C'è una prima catena di cima, che sale realmente quasi solo in verticale, talmente ripide e sottili, che sembrano le case di carta di un set cinematografico. Saranno alte 8-900 metri, ma in pochi km passiamo dall'esserle davanti, all'esserle dietro!
Quindi attraversiamo un paesino per metà diroccato, splendido, dove ci fermiamo a fare delle foto, e ripartiamo per la nostra desolata strada che comincia a salire, salire, salire sempre di più e sempre più ridipa. Sbagliamo un bivio, torniamo indietro e continuiamo a salire sempre più su, per strade sempre più ripide. Impressionanti questi monti, in poche decine di km siamo ad oltre 1.200 metri. Sotto di noi si vede la catena montuosa di Cinecittà come vista dal satellite, la pianura, i monti che cominciano, salgono al cielo, e poi tornano a finire nella pianura. E' uno spettacolo strano, mai visto. Anche da me i monti sono ripidi, ma cominciano molti km prima con monti più bassi. Qua invece dalla pianura di colpo si innalzano vere e proprio colonne montuose dalla cui cima la vista è aliena e mozzafiato.
La strada è, in pratica, da svariati km una sterrata. Superiamo la cima del monte ed subito dopo ci troviamo di fronte ad un altopiano verdeggiante lontano alcuni km e più basso di noi in cui si allarga un misero insediamento che non può che essere Sened Gare. Alcuni operai stanno lavorando per asfaltare questa strada, è un peccato - certamente una grande conquista per la popolazione, ma con egoistica sincerità mi dico che sono contento di essere riuscito a farla così com'è. Il bitume rovina il colpo d'occhio. Gli operati ci salutano contenti.
Arriviamo a Sened Gare. Poche case di pietra, tante grotte in cima al monte, un fiume che rende rigogliosa la valle che potrebbe anche essere "il giardino di Eden". Superiamo l'abitato uscendo dall'asfalto, per fare un giro nell'interno, e ci ritroviamo su uno sterrato roccioso. Apparentemente questo sterrato è dalla parte opposta dell'asfalto che avremmo dovuto seguire, ma sicuramente valicherà il passo anche questo. Che fare? Mighe non ci pensa due volte, e siccome è lui che conduce la piccola carovana di moto (se ne lamenta sempre, ma in realtà gli piace), noi gli andiamo dietro. Lo sterrato comincia facile, ma pian piano diventa sempre più una mulattiera pietrosa che negli ultimi km ci farà un po' sudare. Tuttavia, è splendida, e non ci sono parole per descriverla bene: immaginate un monte ripido, brullo, roccio e marrone, attraversato da un serpente pietroso, intervallata da svariate piccole oasi verdeggiante e popolate da palme. Tutto questo... immaginatelo nel nulla assoluto.
Dopo una ripida discesa tra massi enormi, valichiamo il passo del monte di Sened Gare, e davanti a noi si riapre la pianura. I monti, come prima, spariscono in un istante, mentre noi percorriamo il lungo sterrato terroso verso il basso, che in pianura ridiventa sabbioso. E' l'ultima sabbia che troveremo nel nostro viaggio.
Cominciamo a correre per un drittone sabbioso che attraversa enormi campi coltivati con Fichi d'India. Ci fermiamo ad ammirare il panorama e dalla coltivazione sbuca un signore con suo figlio. Sorridendo ci chiede da dove veniamo e dove andiamo, e ci dice che poco oltre c'è l'abitato moderno di Sened, dove tuttavia non troveremo nessun posto per dormire. Parlottiamo un po' con lui, che ci chiede se portiamo a fare un giro in moto suo figlio, ma sinceramente su quella pista sabbiosa in due non è il caso. Usciamo da questo sterrato pochi km dopo, direttamente sulla statale Gabes-Gafsa. Siamo certi siano i nostri ultimi metri di sterrato in Tunisia, e ce li godiamo appieno; non sarà così, poichè a Gafsa ci verrà riservata ancora qualche sorpresa...
Ci dirigiamo verso Gafsa, il posto più vicino dove troveremo da dormire. Lontana una nube giallastra ci indica che la tempesta di sabbia ha superato i monti. Entrando a Gafsa, in effetti, un forte vento semina ancora un po' di sabbia tutt'attorno. A Gafsa troviamo un alberghetto niente male, in cui la prima TV trovata in tutto il viaggio verrà da Fiky immediatamente posizionata su Rai Uno: Gigi d'Alessio a manetta! Io e Mighe insultiamo immediatamente il nostro compagno Ressing, che cambia canale nell'unico altro disponibile, un canale arabo in cui canta un tipo che è la fotocopia tunisina di Gigi d'Alessio. Tristissimo, quindi...
Scendiamo nella Hall e ci sediamo un attimo sulle poltrone per osservare bene una tipa che è splendida: assomiglia molto ad Afef, ma è ancora più bella! Tuttavia subito dopo essermi seduto mi rendo conto di una cosa: è da quando sono partito che non mi siedo in una poltrona, in una cosa "morbida"! E me ne accorgo solo ora, ovvero senza averne mai sentito la mancanza!
Mangiamo in questa città, per niente bella, ed andiamo a dormire dopo esserci scolati qualche birretta nell'orrendo bar a fianco dell'albergo, che ci regala anche l'emozione di una abbondante vomitata abbandonata sulle scale. Lo schema è sempre quello: svariati alcolizzati seduti al tavolo con i loro vuoti in bella mostra. Giocando tra gli scarafaggi che vengono a salutarci, individuiamo anche il Re Degli Alcolisti Tunisini: un tipo ubriaco fradicio che ha la bellezza di 18 vuoti sul suo tavolo. Un eroe che, non sappia se fortunatamente o sfortunatamente, non abbiamo il piacere di conoscere direttamente.
Ci addormentiamo davanti al Gigi Tunisini che fa incredibili facce da stupido davanti alle telecamere, cantando merdose e mielose canzoni.
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Ci svegliamo con calma, poichè la strada per Kairouan non è lunga. Facciamo colazione, recuperiamo le moto dal deposito in cui sono state custodite (ma perchè il portone è aperto?) e partiamo.
Al solito Mighe ha un colpo di genio: perchè usare la strada asfaltata per uscire da Gafsa? Quella discarica laggiù sembra attraversabile. Ed è così che in realtà i nostri ultimi km di sterrato si compiranno al cazzeggio per la discarica di Gafsa. Tra una sgarfata e l'altra nella sabbia putrida, Fiky Ressing sempre più tenta pure di uccidermi scagliandomi contro con l'ausilio della ruota dietro una scatoletta di tonno vuota: fortunatamente con un tanto abile quanto non-spontaneo movimento della testa riesco ad evitarlo.
Partiamo per la noiosa statale, che diventa meno noiosa solo quando cominciamo ad attraversare la principale zona di coltivazione di peperoncini della Tunisia. Fermi a bere un thè in un baretto vediamo passare un carretto tirato da un mulo con unico bagaglio... un telaio di automobile! Solo qua si vedono scene simili, solo nella splendida Tunisia! Ci fermiamo a pranzare in un posto sufficientemente sgrauso per le nostre aspettative dove oltre due etti di capretto uniti ad una formidabile salsa al peperoncino appena fatta riempiono i nostri stomaci viziati dai succulenti pasti tunisini. Il fasto del pranzo ovviamente ci richiederà ben pochi dinari di corresponsione... I Love Tunisia, come mi dice Smontic!
Arriviamo a Kairouan ben prima del tramonto. Troviamo grazie alla Lonely Planet l'albergo più economico della città: paradossalmente, è splendido! In pieno centro, proprio davanti alla porta di ingresso della Medina, ha una stanza grande e pulita con bagno interno, nonchè il tetto aperto che offre una visione spettacolare di tutta la città Santa. Dappertutto ci sono minareti, dai quali di colpo comincia un canto in coro di decide di Muezzin. Qua, nella città più santa del Nord-Africa, hanno un tono molto più autoritario che nel resto del paese. Dal minareto a noi più vicino, mentre scarichiamo i bagagli dai nostro prodi mezzi, arriva una voce gutturale e baritonale che urla "Allah Akbar" ai fedeli, mentre da tutti gli altri minareti arrivano in coro lontano le stesse esortazioni alla preghiera. Tuttavia, non sembrano avere molta presa sulla popolazione. Essendo una città santa, me la immaginavo molto più osservante dei prescritti islamici, mentre in realtà scopriamo essere una città molto aperta, se così si può chiamare una città in cui per la strada ti offrono: hashish, cocaina, e persino oppio!
Andiamo a fare un giro nella Medina, all'interno del Souk, che è splendido. Un mercatino continuo, animato da urla e schiammazzi. Raggiungiamo per vicoli fuorimano la Grande Moschea ma l'ingresso è chiuso al pubblico. Quindi torniamo indietro per il Souk e ci fermiamo a bere un thè in uno splendido baretto costruito in pure stile arabo dove ci facciamo anche un ottimo ed enorme narghilè. La sera andiamo a mangiare in un locale consigliatoci dall'albergatore: maledetto il momento che abbiamo seguito il suo consiglio! E' un ristorantino iper-turistico il cui la qualità del cibo non è per nulla all'altezza di ciò cui noi siamo ormai da vari giorni abituati. Tornando in albergo ci perdiamo, e vaghiamo per un'ora circa per tutta Kairouan, la notte buia illuminata a tratti da ben pochi lampioni in periferia. Arriviamo alla grande Moschea dalla parte opposta da cui siamo arrivati, attraversiamo la ormai vuota medina ed andiamo a dormire nel nostro albergo.
A si, una nota: già dal pomeriggio al souk ci rendiamo conto che Kairouan è una città piena di splendide ragazze! Ma veramente strapiena!
Il giorno dopo lo passiamo a Kairouan: visitiamo la Grande Mosche, più la tomba di un tizio che non ricordo più quale santo sia... Quindi ci gettiamo in compere: Fiky vuole comprarsi un tappeto, ed anch'io ci sto pensando. Andiamo in uno dei tanti negozi di tappeti nel souk, il tipo ci mostra varie proposte, ma non sono proprio bellissime. Quando vede che siamo indecisi, ma che abbiamo le idee chiare su cosa cerchiamo, si sveglia: ci prende e ci porta da un'altra parte. Passiamo vari vicoletti fuori dagli itinerari turistici, ed entriamo in una casa che sembra la reggia di uno sceicco. Splendida è dire poco.
E' ricoperta di tappeti, sia per terra, che sui muri. Alcuni sono bellissimi, in seta, veramente lavori di qualità elevata. Tutti fatti a mano. Ci sono persino delle donne che, per il piacere dei visitatori, passano la giornata a fare tappeti.
Restiamo dentro un bel po': ci offrono un thè, sventolandoci davanti decine di tappeti, riempiendoci la testa di nozioni sui tappeti. C'è da dire che è gente professionale ed esperta, e i tappeti sono veramente belli! Alla fine io e Fiky ci orientiamo verso due bei Kilim, due tipi ci marcano stretto, sparano cifre che abbassano sempre di più, e in men che non si dica, prima ancora che io e Fiky si riesca a dire qualcosa, abbassano per l'ultima volta il prezzo, ci prendono la mano e la stringono a sancire il patto, e già uno schiavo sbucato dal suolo ha impacchettato i nostri due tappeti! Il prezzo, secondo gli standard abituali, è veramente irrisorio, ed i tappeti sono veramente belli!
Usciamo dal posto rintronato, andiamo all'albergo a lasciare gli acquisti, e ci inoltriamo nuovamente nel Souk per bere dei thè e fumare dell'ottimo Narghilè. Mighe, seduto al tavolino, di colpo si alza ed entra dal barbiere di fronte, dove si fa rasare la barba per bene!
Bella giornata, turistica, ma trascorsa in una città veramente magica.
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La fine si avvicina, sento l'odore di marcio del termine del nostro viaggio ogni secondo. Viaggio al termine della notte... il senso del tempo che scorre... i giorni trascorsi in un attimo... gli amici che smetterai di avere a fianco... La vita è una cosa terribile, negarlo è stupido: ogni cosa che ti dà, prima o poi ti verrà tolta. Di ogni cosa sentirai la fine, e poi la vedrai, immancabilmente. La fine di questo viaggio, con le esperienze e le emozioni che ci ha dato, diventa per me (come al solito, nella mia terribile mentalità negativista) un simbolo universale del destino annichilente di ogni cosa.
Partiamo verso Tunisi, lasciandoci alle spalle gli sterrati, il deserto, le oasi, il Triste, il Carbura, le sofferenze e i divertimenti trascorsi, le liti persino. Non c'è più motivo per lamentarsi, bisticciare, poichè non c'è più una base per cui farlo. C'è solo una lunga strada asfaltata e dritta, che porta km dopo km verso la civilizzazione e con destinazione Tunisi, la metropoli di stampo indubbiamente parigino che appena sbarcati, tre settimane prima, mi era sembrata così romanticamente accogliente, ed ora mi sembra così malvagia nel suo essere l'ultima tappa prima dell'imbarco, ed il simbolo della Fine, con la "f" maiuscola.
Davanti a me ci sono le moto dei miei due compagni, Fiky e Mighe. Due compagni di viaggio, due amici simpatici, grandi avventurieri, grandi motociclisti. Due persone che non posso non chiedermi quando rivedrò, con tutti gli impegni noioso e fastidiosi che la vita quotidiana ti riserva.
Pensieri lugubri, in contrasto con lo spirito di condivisione ed allegria che ci ha accompagnato fin'ora. Lo so, brutti pensieri, ma se pensavate che questo viaggio sarebbe stato solo allegria, stronzate, birre e sterrati, non è così. Sono tre settimane che li ho sempre a fianco, e tra poco ci separeremo, ed attorno a noi non ci sarà più l'immensità del paesaggio desertico e predesertico della Tunisia: ci saranno i rispettivi luoghi di lavoro, ci sarà l'inverno friulano, i campi arati, gli alberi spogli, le montagne bianche, i soliti bar ed i soliti luoghi di ritrovo, il lavoro con tutte le sue noie e i suoi nervosismi.
Terrificante. Anche la pausa pranzo che facciamo, raggiunta io a bordo del Dominasso di Mighe per poter fargli provare la maesta della Regina, è triste. Il posto sgrauso che troviamo, infatti, coi capretti appesi, la carne cotta sulla griglia all'aperto, ha qualcosa di stranamente meno sgrauso del solito. Non saprei dire cosa: i capretti appesi con più regolarità, i tavoli sistemati con più ordine, le ordinazioni prese con meno fretta... Bo, tante cose. Ed anche se il capretto sarà buonissimo, a tutti quanti resterà sullo stomaco.
La strada per Tunisi che facciamo passa per la costiera di Hammamet, e tristemente riscontriamo la struttura terribilmente turistica che ha questa zona, in Italia così celebre per il famoso "esilio" (alla faccia dell'esilio poi...).
Le indicazioni sono un po' ostiche da seguire. Ad un certo punto paiono tutte portare verso l'autostrada, senza eccezioni; in una rotonda di fronte a noi c'è il casello di ingresso, ma vogliamo evitarla e sia io che Mighe giriamo a sinistra verso la terza uscita... C'è qualcosa di strano... Qualcosa di conosciuto... Di ... noto... Andiamo un po' avanti passata la rotonda ed una struttura sulla destra in mezzo ai campi mi pare stranamente nota... Si, è un flash back... Ma forse... No, non è un'allucinazione... E quando Mighe mi si affianca e mi dice "Hai capito dove siamo?", si, anch'io ho capito: poco dopo siamo seduti al bar del distributore, quello stesso bar che un anno prima ci aveva visti seduti allo stesso modo tornando a Tunisi dopo essere usciti dall'autostrada per fare benzina. Non l'abbiamo fatto apposta, anzi, pensavamo veramente di essere da tutt'altra parte: ed invece, per puro caso, il cerchio ha deciso di chiudersi da solo! Un ragazzo tunisino ci viene a parlare, chiedendoci da dove veniamo e dove andiamo, dandoci (anche se ormai è tardi) i benvenuti in Tunisia, ed a lui chiediamo di farsi una foto seduti in quel così speciale baretto fuori Tunisi.
Così, prima ancora di imbarcarci, il cerchio si chiude, e finisce il nostro viaggio in Tunisia.
Arrivati a Tunisi, ci ritroviamo sbalzati in una enorme città fatta di strade larghe, di un eccessivo traffico di auto, di tanto rumore, di palazzi alti, di negozi in ogni angolo. Mentre parcheggiamo di fronte all'albergo (sempre di categoria iper-economica, secondo la Routard) noto che persino il triste canto del Muezzin sembra più un lamento che un'esortazione, mentre la sua voce è sovrastata dal frastuono orripilante della città, cui noi non siamo più abituati.
Usciamo a fare una camminate nell'enorme Avenue Bourquiba. Mangiamo una cazzatina ottima in un posto posto che fa crepes di tutti i tipi, quindi andiamo in un bar che serve birra.
Il clima è già diverso: non ci sono solo alcolizzati, ma anche tanti ragazzi. Inoltre non ci sono più le bottiglie vuote abbandonate sui tavoli, ma le ordinazioni si pagano subito. Che ordinatamente triste... Insomma, ci prendiamo una birra, e mentre la beviamo chi ti compare? L'alcolizzato che ci aveva abbordati il primo giorno, appena arrivati a Tunisi. Ci riconosce subito, e viene a sedersi con noi. Gli mancano svariati denti, quasi tutti perlopiù. Mangia foglie di finocchio. Mentre parla a Mighe che, questa volta fortunatamente, è l'unico che parla inglese, gli spunta pure addosso qualcosa che pare un dente e che fa sbaccanare me e Fiky, che tentiamo di trattenerci in tutti i modi, ma senza successo.
Mighe e lui parlano a lungo di cose importanti quali il vivere saggiamento, il vivere la vita interamente, e via dicendo. Mighe abborda con lui un bel discorso anti-Berlusca, la qual cosa sancisce definitivamente la sua militanza attiva nei popolo dei compagni Rossi! Mamma mia non si fermano un attimo! La mia attenzione viene sviata una prima volta da una ridicola rissa che scoppia in fondo al bar tra un cretino vestito da rapper anni '80 e un pirla in canottiera; una seconda volta da un tipo apparentemente sbronzo che mi dice "We can stay together another time" ed al quale io non rispondo un "no" gentile ma deciso come consiglia la mia guida Lonely Planet, ma gli dico semplicemente "Another time"... Dopo questa avance omosessuale, scopro però che non è la prima, come pensavo: il ressing Fiky trova infatti il coraggio di raccontare che a Douz era stato palesemente molestato da un tipo. Se pensate che abbiamo troppa fantasia, sappiate che l'avance di Fiky è stata effettuata con una palese simulazione di un atteggiamento auto-erotica. Insomma, aveva fatto il gesto di menarsi il cazzo!
Alla fine riusciamo a sganciarci dal vecchio, che in sostanza è semplicemente un povero barbone alcolizzato, ed andiamo a dormire.
Al mattino subito ci buttiamo a visitare la Medina di Tunisi, che secondo le nostre guide cela un souk tra i più belli della Tunisia. Superato l'arco che consacra l'inizio della Medina ci inoltriamo in un terribile dedalo di vicoli strettissimi, in parte pure inquietanti. Visitiamo una moschea, e prima di entrare incrociamo Signo! Che piccolo questo paese! Mighe e Fiky decidono di continuare per il Souk, mentre io e Signo entriamo nella moschea per visitarla. C'è ben poco da vedere, poichè in corso ci sono lavori di manutenzione, ma ci fermiamo un bel po' a sentire le spiegazione di una guida che parla a degli annoiati studenti. Poi ripartiamo per girare per il souk fino a che non ci incontriamo con Manè e Marty e gli altri loro compagni. Loro però vogliono andare a mangiare, io invece voglio girare il mercato per trovare un bel regalo da portare a casa alla mia morosa, e mi incammino. Non ho con me il cellulare, quindi non posso rintracciare Mighe e Fiky: li sentirò dopo, in caso. Il souk è splendido, mi infilo per vicoli fantastici alcuni consigliati dalla guida Lonely Planet, altri dal mio semplice istinto. Finisco fino al limite della città più nota, in mezzo alla zona del souk dedicata ai tunisini, dove si trova di tutto. Zampe di cammello, incredibili ciambelle invase dalle api, una pure me la prendo e la divoro, ed è ottima. Una moschea bellissima attira la mia attenzione, ma non mi fanno entrare per visitarla.
Ritorno indietro per una parte diversa del mercato, sempre però una zona non turistica. Ci sono un sacco di tendaggi e stoffe in vendita. Due volte circa mi capita però che un ragazzo mi supera di colpo col cellulare all'orecchio e di colpo mi si ferma di fronte. Io lo schivo, ma la scena mi insospettisce, per il fatto semplice che di solito i tunisini tendono ad essere molto rispettosi e servizievoli e socievoli nei confronti dei turisti. Premetto che io tengo il portasoldi nella tasca posteriore sinistra; i miei calzoni hanno una tasca che si chiude con l'asola ed un bottone a pressione veramente duro. Inoltre, quando sono in situazioni sospette, tengo le mani in tasca tirando per bene i calzoni per tenerlo aderente alla chiappa, in modo che sento subito se qualcuno cerca di fare il furbo. Insomma, ad un certo punto arriva per la terza volta un tipo che mi passa davanti parlando al cellulare e questa volta si posizione in modo che io non riesco a schivarlo, per cui apposta gli vado addosto piuttosto forte, ma lui non si muove. E' palesemente troppo solido e fa finta di niente, mentre un tunisino si sarebbe subito profuso in scuse. Il loro piano è questo: il tipo rallenta la mia camminata piazzandomisi davanti in quel modo, e nel momento in cui io mi fermo il suo compare che mi sta dietro mi sfila il portasoldi. Come sento che qualcuno cerca di sbottonarmi la tasca immediatamente, senza neppure pensarci, la mia mano scatta ed afferra il polso del pirla dietro. Lui mi guarda con fare da fico, mentre io con l'altra mano metto il portasoldi al sicuro. Gli dico "NO!" agitando l'indici, lui balbetta "Monsieur, monsieur, moi... " - "NO! NO!" rispondo io alzando la voce, "NON MI ROMPERE I COGLIONI!" - Lui fa l'offeso, "Coglione è parolaccia in italiano" e io gli dico di si, "Vuoi che chiami anche la polizia?" (tecnica palesemente mutuata dall'avvocato di El Kef). Lui a quel punto dice che non voleva far nulla, che siamo amici e coglionate varie, al che mi giro verso il suo compare che facendo finta di parlare al suo telefono - spento - osserva la scena. "Ed anche tu non mi fare il furbo!". Mi guarda con fare interrogativo, il suo compare però gli fa un gesto che non capisco e gli mormora qualcosa in arabo. A quel punto se ne vanno frettolosi, e solo il secondo mi saluta, quel mona che ha tentato di sfilarmi il portasoldi.
A questo punto mi rincammino nel souk, ma non sono più tranquillo. Mi sento in un posto alieno, mi sento attorniato da nemici, da gente ostile; mi sento fuori luogo, non mi sento per niente sicuro, non più. Non sono più a mio agio. La triste fine del mio viaggio viene ancor più rovinata da un tentativo di furto. Sono nervoso ed infastidito, continuo a toccarmi il portasoldi che ora tengo nella tasca davanti, ben prodotto dalle mie mani. Due ragazze col velo che probabilmente hanno assistito alla scena ed hanno compreso ciò che è successo, mi dicono in un inglese stentato misto a francese che devo stare più attento, che in questa zona del souk non vengono mai turisti e non c'è polizia, per cui appena un turista vi si inoltre viene preso di mira da tutti i furbetti della zona. Sono molto gentili, ma soprattutto molto simpatiche, ed una è pure molto carina. Faccio un po' di strada con loro, ed alla fine le saluto, ringraziandole ancora per l'aiuto datomi e l'apprezzatissimo conforto.
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Sta per succedere il disastro, ed io ancora lo ignoro. Allora, siamo all'uscita dal souk, dopo il tentativo di furto. Riesco ad orientarmi, torno all'ingresso, sotto l'arco, mi mangio un enorme panino con tonno ed harissa e incrocio Manè e la sua compagnia. Parliamo un po', loro si fermano lì a pranzo, mentre io vado a raggiungere i miei due compari. Vado in albergo e prendo il cellulare. Il piano è di ritrovarmi con loro per vedere se hanno qualche programma, quindi tornare nel souk e compare un bel braccialetto che avevo scelto tra vari banchetti che avevo esaminato a lungo.
Li raggiungo al 7th Sky, un bar al settimo piano di un edificio, un bar panoramico che gira su se stesso regalando lo spettacolo dei due volti di Tunisi, quello ricco e moderno e quello povero e disastrato. Bevo una spremuta d'arancia con due cubetti di ghiaccio, ai quali non faccio neanche caso. Quindi scendiamo ed andiamo a bere birra, seduti all'aperto, in ammirazione di tutte le bellezze, tantissime, che passano lungo il marciapiede.
Dopo qualche birra, sono circa le quattro, il sole non è pi alto in cielo e comincia a fare freschetto; inoltre, ormai la mia produttività intestinale è nota, il panono sta facendo il suo effetto. Vado dunque in albergo a prendere un maglione e per andare in bagno. Gli ultimi 500 metri soffro un po', ma penso sia normale per il freddo. Mi siedo sulla tazza, ed è il disastro. Nel giro di 5 minuti sto malissimo, mi stendo nel letto ed ho i brividi. Una seconda scarica mi sconvolge. Cazzo, non è possibile, ho vissuto nel disastro ed ho mangiato nello sporco per venti giorni, e l'ultimo giorno, in una città completamente occidentalizzata, crollo così, in 10 minuti? Arrivano i miei due compari, che mi chiedono che cazzo sto facendo visto che mi aspettavano. Io sto morendo... Loro escono a fare la spesa per il viaggio in nave del giorno dopo, e un minuto dopo io sono inginocchiato sulla tazza che vomito tutto ciò che posso ed anche di più. Lo so, il discorso è schifoso, ma è ciò che è successo e non voglio celare o censurare nulla. Vomito di tutto, litri e litri di liquidi. Quindi ho un'altra scarica di... altro... e ritorno nel letto, scosso dai brividi e con la fronte bollente e sudata. Mi infilo sotto il piumone, ma ho ancora freddo, quindi mi butto sopra anche la giacca da moto e la camiciona da negro che avevo comprato a Douz una sera in cui avevo un freddo cane e non avevo voglia di tornare in campeggio. Quando gli altri ritornano mi trovano in uno stato pietoso, mi sono messo persino la Kefya sulla testa per il freddo terribile che sto patendo.
Neanche mezz'ora prima ero in un bar a bere birra, allegro e spensierato, ed ora sono disfatto dalla diarrea e dal vomito nel mio letto, infreddolito quasi fossi al Polo Nord.
Chiedo a Fiky se c'è una coperta nell'armadio dei vestiti, ma lui vi trova solo una tenda, che mi sistema sopra. Hanno comprato un sacco di roba da mangiare, ma io chiedo solo acqua. Poi loro escono a cenare, mentre io me ne sto a letto senza forze. Faccio a stento i bagagli, quindi sigillo la finestra con due miei calzetti perchè gli spifferi continui mi stanno congelando. Quindi mi metto a dormire, svegliandomi di continuo per bere poichè sono in piena crisi idrica, dopo aver espulso sotto varia forma tutti i miei liquidi...
Il giorno dopo mi sveglio distrutto dalla febbre e dalla diarrea, prendo un Imodium ed andiamo a raccattare le moto al parcheggio. La breve camminata mi rende fradicio di sudore, e per mettere la ciliegina sulla torta in questo stato devo stare all'aperto a montare i bagagli sulla moto.
Partiamo per il porto, sbagliamo strada e facciamo un bel pezzo di strada contromano, ma non me ne frega un cazzo perchè sto malissimo. Arriviamo in porto, e mentre Mighe e Fiky vanno a validare la prenotazione io resto a badare alle moto perchè non riesco a camminare; un fottuto francese però mi fa spostare le moto. Poi un altro francese mi chiede di spostarle ancora, lo faccio ma non gli va bene, lo guardo e lo mando a fanculo senza mezzi termini, quindi stremato mi siedo sul marciapiede. Sto malissimo, e non ho scelta.
Gli altri ritornano, facciamo tutta la noiosa trafila burocratica, cambiamo i dinari rimanenti (scoprendo che in tutta la nostra permanenza in Tunisia abbiamo speso poco più di 500 €, per tutte le spese escluso il tappeto) e saliamo in nave. Io vado diretto in cabina e mi stendo nel letto, dove in pratica svengo. Vi resterò disteso fino alla mattina del giorno dopo, salvo pause trascorse in bagno, quando riuscirò ad alzarmi, un po' ripreso, per fare colazione con un buon thè caldo che però mi farà venire la nostalgia dell'ottimo thè berbero bevuto per tutto il viaggio. Questo invece è un anonimo thè Lipton!
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Quando scendiamo dalla nave io mi sento un po' meglio, ma bastano i pochi km al freddo per raggiungere l'albergo dove abbiamo lasciato i bagagli per farmi ricadere in uno stato pietoso. I minuti persi per sistemare i bagagli e mettere l'imbottitura al mio completo Revit (l'avevo lasciata in albergo) mi fanno sudare terribilmente, ed infatti alla fine mi ritrovo fradicio. Così riparto e mi inserisco in autostrada, con i vestiti fradici di sudore che si gelano nell'aria fredda che inevitabilmente trafila.
Mangio Imodium come caramelle. Saluto gli altri, poichè voglio farmi l'autostrada il più velocemente possibile, ma sono così pieno di crampi allo stomaco e di brividi che perdo lo svincolo con la Torino-Piacenza, e mi ritrovo costretto a passare per Milano. Alla fine non allungo di tantissimi km la strada, penso, ma sono costretto a fare 3 tappe nei bagni di altrettanti autogrill.
Brividi, crampi allo stomaco, sintomi di scariche, dolori alle ossa, mal di testa, sudori: è un viaggio allucinante, che dura circa 6 ore ma mi soffrire terribilmente. E' un inferno, giuro che è l'esperienza più brutta della mia vita. Arrivo a Codroipo verso le 19:30 completamente sconvolto, passo dalla morosa ma lei non è a casa, e io fuggo dritto verso la mia, di casa: sto per svenire. Arrivo, lascio i bagagli sulla moto e scarico solo l'indispensabile.
Vado in bagno, quindi mi faccio un thè verde con le foglie avanzate dalla nostra, ormai lontana nel tempo ed anche nello spazio, notte di campeggio selvaggia sulla Tavola di Giugurta, Tunisia, Africa del Nord.
L'avventura è finita, siamo tutti a casa nostra, lontani l'uno dall'altro.
E' finito tutto.
Mi restano solo le mie foto, i miei video, ed ora anche questo lungo report che chissà se mai rileggerò!
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Siamo scesi a Tunisi il 20 dicembre 2009, verso le 16:30. Ci siamo imbarcati da Tunisi il 5 gennaio 2010, verso le 11. In tutto questo tempo abbiamo speso circa 530/540 €, esclusi i 100 € per il tappeto. Abbiamo dormito una notte all'addiaccio, 3 notti tenda in campeggio, il resto dei giorni sempre in alberghetti di bassa categoria ma con colazione inclusa e bagno in camera, oppure in bungalows (Tamerza e Tozeur) di campeggi con bagno in comune.
Come prima conclusione, dunque, posso dire che la Tunisia è economicamente conveniente.
I paesaggi incontrati hanno spaziato dalle campagne rigogliose, alle pianure predesertiche, alle desolazioni desertiche. Abbiamo visto colli, monti, vallate, altopiani, pianure. Siamo passati dal mare ad oltre 1.200 metri di altitudine. Paesaggisticamente la Tunisia offre qualsiasi cosa.
A livello di fuoristrada, si passa dai guadi agli sterrati di roccia, dalle mulattiere pietrose, ai sentieri di terra scavati da canali d'acqua piovana saltuaria, alle piste infinite, dall'Hammada alla sabbia. A tratti perdendoci, scegliendo strade a casaccio, ma sempre ritrovando la nostra direzione. Anche a livello enduristico, la Tunisia offre qualsiasi cosa.
La popolazione è gentile e disponibile. Spesso ti chiedono loro stessi come ti trovi, dove vai, da dove vieni, e ti danno spontaneamente indicazioni e consigli. Si trova sempre da dormire, in qualsiasi posto; presumibilmente anche a Sened Gare, volendo, avremmo combinato una sistemazione. Riguardo alla benzina, conviene farla di continuo, ma solo facendo gli sprovveduti (come noi) si rischia di restare a piedi. Tra distributori ufficiali e non, la rete di disponibilità è vastissima e in pratica copre ogni paese.
La vita delle oasi è splendida, i resti romani ed archeologici in generi sono dappertutto, la zona turistica è viva ed animata, Tunisi è una metropoli moderna ed accogliente.
Abbiamo fatto quasi 3.000 km, che tolti quelli in Italia fanno da 1.500 a 1.800 km in Tunisia. Tenendo conto che abbiamo avuto qualche stop forzato per problemi alle moto, avremmo potuto farne di più, e la media sarebbe stata ottima: un buon compromesso, tenendo conto dei giorni che avevamo a disposizione, per coniugare voglia di far strada con il desiderio di fermarsi un po' di più per vedere, parlare, scoprire.
A parte il lato prettamente economico, che ha influito al 90% sulla mia scelta, questa volta, di non tornare in Libia, sono contentissimo, a conti fatti, di aver preso quella decisione. Girare senza una meta precisa, improvvisando giorno per giorno, cambiando direzione in corso di marcia, con le tende e la possibilità relativa di fermarsi a dormire in qualsiasi luogo, è il modo migliore per viaggiare in questo paese grande ed ospitale.
Certo, siamo in un paese retto da precetti religiosi che si sono introdotti nella cultura stessa della gente: la libertà è limitata. Il nostro amico avvocato di El Kef si è fatto ben 2 anni in un campo di lavoro vicino ad El Borma, in pieno deserto, per aver partecipato ad una dimostrazione di critica al governo. Le (splendide) ragazze che girano libere e non velate per la città, che ti guardano con occhi furbi e desiderosi, al calare del sole scompaiono. Le birrerie sono infestate da veri e propri alcolizzati. La popolazione vive sull'orlo della povertà. E non bisogna del tutto fidarsi della loro apparente gentilezza, poichè sebbene sia reale, non copre comunque ogni ambito della loro personalità. Tendono inoltre ad essere particolarmente invadenti, ti parlano, non comprendono la risposta "No" ad un loro invito (rispondono sempre "Perchè?" - "Cristo, perchè di no e basta!") e non hanno riguardo per il contatto fisico: ti appoggiamo subito la mano sulla spalla, ti prendono per il braccio, ti tirano, ti spingono senza problemi. Per una persona particolarmente ritrosa come me, ostica al contatto fisico ed all'eccessiva socialità, sono comportamenti particolarmente fastidiosi.
I miei compagni di viaggio sono stati semplicemente grandi!
In moto è stranissimo, pare timoroso di tutto all'inizio, di ogni salita, di ogni curva; poi di colpo parte e non lo prendi più. Si adatta a qualsiasi cosa, e sa, sebbene sia il tipico montanaro scontroso, tirare fuori il lato divertente di ogni situazione.
Che dire, non posso che dare voto 10+ a tutta l'avventura, dalla partenza alla fine. Anche le disavventure accaduteci sono state lievi: e sempre, come ho sottolineato spesso, affiancate da risvolti fortunati che hanno sempre permesso di risolverle quasi subito o di non renderle drammatiche. E pur avendo fatto tanto fuoristrada, anche a tratti duretto, non ci è mai successo nulla, nè alle moto, nè hai piloti.
Esclusa la botta alla mia caviglia nel Chott el Garsa, che tutt'ora l'umido dell'inverno friulano mi sta facendo dolere terribilmente. Ma è un dolore sopportabile, quasi dolce, se penso che è tutto ciò che, ora che ho finito questo racconto, mi lega ancora alla mia splendida avventura tunisina!
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