È ormai invalsa, tra i biologi, questa abitudine di parlare di un animale o di una pianta, o di un gene, come se cercasse consapevolmente il modo migliore di aumentare il proprio successo [...]. È un linguaggio di comodo che non è dannoso, a meno che non capiti fra le mani di persone che non sono in grado di capirlo. O forse sono così in grado che lo capiscono male? Ad esempio, non riesco a trovare un altro senso a una recensione al Gene egoista scritta da Mary Midgley sulla rivista «Philosophy», di cui è tipica la prima frase: «I geni non possono essere egoisti o altruisti, come gli atomi non possono essere gelosi, gli elefanti astratti o i biscotti teologici». Il mio articolo In Defence of Selfish Genes in un numero successivo dello stesso giornale dà una risposta esauriente a questo articolo, fra l’altro particolarmente maligno. Sembra che certa gente, che per la preparazione ricevuta è troppo incline a usare gli strumenti della filosofia, non possa resistere alla tentazione di sfoggiare la propria erudizione quando non serve. Ricordo il commento di P.B. Medawar sulle attrattive della «fantafilosofia» per «moltissime persone, spesso con gusti letterari ben sviluppati, la cui istruzione è andata molto al di là delle loro capacità di pensiero analitico».
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