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Cormac McCArthy, La Strada

Categoria: LIBRI

KEYWORDS: lettura | libri | riflessioni |
Inserito in DATA: 25/09/2009 | Vai ai COMMENTI
Un libro moderno, un paesaggio post-bellico ormai devastato, al termine di un lento declino. Un padre ed un figlio che attraversano questo mondo morto e contornato di cenere, nel cielo, per terra, nell'aria. Nessun animale, nessun colore, nessun odore oltre agli uomini, al grigio, al puzzo di bruciato e di cadavere. E la grande domanda sull'etica che non viene fatta, viene solo esposta indirettamente. Un libro bellissimo. Leggibile in qualche giorno. Da anni non restavo così colpito da uno scrittore. Come leggere un libro dalle tematiche attuali e scoprirne approfondimenti degni di un grande classico.

Questo libro, quando l'ho letto, mi ha lasciato di stucco. Un libro moderno, con tematiche contemporanee, che riesce a non cadere mai nella banalità e nei luoghi comuni, e che ha il prego di proporre un tema filosofico quale quello della domanda etica in termini puramente pratici e comunque molto profondi.

Un uomo ed un bambino camminano lungo una strada. Non hanno nome, si chiamano "uomo" e "bambino" e basta. I nomi non hanno più importanza, poichè pare non esserci più nessuno da chiamare...

Attorno a loro un mondo devastato, che si sta consumando giorno dopo giorno ed ormai pare proprio essere al termine di un lento declino: è tutto bruciato, non c'è più un animale o una pianta vivi. I boschi sono carbonizzati, non c'è più alcuna pianta in vita. I pochi umani che vedono sono o cadaveri carbonizzati, o esseri ormai allontanatisi dalla ragione che mangiano "dio solo sa cosa".

La pioggia è fredda, gelida, le temperature basse: tutta l'atmosfera è avvolta da uno spesso stato di cenere che non lascia passare la luce del sole, che si deposita al suolo colorando il paesaggio di grigio. Ogni panorama è a gradazioni di grigio. La neve è gelida e grigia.

Il silenzio è tombale, non essendoci alcun essere vivente e nessun mezzo meccanico, non c'è più assolutamente alcuna fonte di rumore. Il silenzio è tetramente rotto solo dal rumore degli alberi morti che ogni tanto cadono.

Il cielo è senza sole e cosparso di luce sbiadita che non fa ombra, la notte è senza luna e senza stelle e nera come "dentro una cassa da morto", l'uomo ed il bambino non possono allontanarsi nella notte l'uno dall'altro altrimenti non si ritroverebbero più. Quando calano le tenebre assolute devono stare immobili, al gelo, senza possibilità di fare neppure un fuoco poiché non c'è più alcun combustibile, tutto è carbonizzato.

Cosa è successo? Una guerra nucleare? L'impatto di un asteroide?
Non si sa. Non viene detto. Pare di capire ci sia stata un'esplosione. Ma in definitiva al senso del libro non importa neppure sapere cosa precisamente sia successo, nè alla stessa meccanica interna. Senza animali, senza piante, senza esseri vivente, senza colori, né odori, è un mondo cui ormai la sua stessa storia non importa più. Quello è ormai semplicemente un non-mondo.

Il bambino è nato che tutto era ormai già compiuto: non ha conosciuto il mondo di prima, non ha ricordi di cos'era e dunque non ha un metro di paragona. Ogni tanto guarda il padre che si ferma in qualche luogo conosciuto direttamente o indirettamente, o semplicemente evocativo (un telefono, una pubblicità), e lo osserva senza comprendere "guardare fantasmi che lui non può vedere".

Non si capisce cos'è successo, né quando; si intuisce che dev'essere successo ormai da alcuni anni, si intuisce uno scoppio, forse nucleare. Com'è successo? Come può aver coinvolto tutto il mondo conosciuto? Cosa hanno fatto prima dell'inizio del libro, se sono già passati degli anni? Perché alcuni uomini sono sopravvissuti? Perché solo gli uomini? E come hanno fatto?

Non sappiamo nulla della storia recente del mondo e della stessa coppia di protagonisti, sappiamo solo che tentano di scendere al sud, dove forse le temperature sono più miti. Il fuoco è infatti difficile da fare, quasi impossibile, non essendoci piante ancora in vita da bruciare ed in generale alcun combustibile. Tutto è carbonizzato. Il cibo è difficile da procurare, non essendoci né piantagioni né animali. Il cannibalismo è ormai prassi comune, essendo l'uomo l'unico essere vivente e fondamentalmente commestibile rimasto.

Insomma, il quadro complessivo è devastante, e senza speranza alcuna di poter risollevarsi. Non ci sono posti dove poter effettuare coltivazioni, non ci sono neppure i semi, non ci sono animali da poter allevare e far riprodurre, è ormai un declino inarrestabile ed inevitabile, prossimo alla fine.

Tuttavia non sono queste le domande importanti cui il libro vuole rispondere, né proporre del resto. Non è questo il suo argomento, questa è la cornice.

Questo libro infatti ha una dote, ovvero la situazione narrata non è direttamente coinvolta nel significato reale del libro: se mentre lo leggete pensate "Ma non è possibile!", o "Ma è inconcludente", se vi tormentate perché non dice cosa è successo, se alla fine vi struggete perché non dice come i protagonisti sopravviveranno, mettetelo da parte e prendete Topolino; è meglio.

Sopra a tutto il romanzo regna l'inquietante giustificazione (della) morale, la più grande ed enigmatica delle invenzioni umane, un tema velato ma onnipresente. Perché non mangiare un uomo morto? Perché morire piuttosto che uccidere? Rubare è ancora tale, o è semplicemente "procacciamento"? In un mondo ormai al termine di un troppo veloce e violento declino la morale non ha più molti appigli: come si dimenticano pian piano i nomi degli uccelli, le abitudini imparate fin dalla nascita, il calore del sole, lo stesso fenomeno dell'ombra che in mancanza del sole non si allunga quasi mai, l'idea stessa di società o gruppo sociale - Come si dimentica tutto questo, anche la morale fa fatica a resistere.

Bisogna trovarne un sostegno: e l'uomo ed il bambino lo trovano nel farsi "portatori del fuoco". O meglio, questo vale per il bambino; per il padre in realtà il sostegno della morale è il bambino stesso. Poiché il padre ha ricordi di ciò che c'era prima, e questo lo sconvolge e lo macchia. Ed infatti, alla fine, lui uccide, soggiogato dalla realtà di questa vita di per sè ormai inutile.

Se dio non esiste tutto è permesso, diceva Ivan Karamazov; poiché l'etica è una richiesta illogica, che deve affidarsi a qualcosa che essendo una fede non è criticabile logicamente. Ed infatti l'uomo è convinto che il bambino sia un dio, perché lui ormai non ci crede più. Il bambino non può invece credere in Dio, perché è nato in un mondo già devastato in cui non c'è posto per l'idea di "dio", ed ha dunque bisogno di un appiglio più terreno. Suo padre, semplicemente. La loro morale si appiglia dunque malamente ad un circolo vizioso, in cui il bambino si aggrappa al padre ed il padre al bambino.

Per questo alla fine, quando l'uomo muore e il bambino viene accolto da una nuova famiglia, quando questa comincia a parlargli di Dio lui "preferisce parlare a suo padre". E l'impressione che ci viene data della fede di questa nuova famiglia è semplicemente quella di una vana speranza, destinata prima o poi a crollare.

E' il contatto con la morte, che terrà ancora in vita il bambino in un mondo ormai morto. E la morte di tutto è l'inevitabile conclusione.

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