Nelle abitazioni arabe d'argilla, dove le imposte non vengono mai chiuse, l'aria è tiepida e asciutta come in aperta campagna, e vi aleggia il profumo di una vita serena e ospitale, lontano dallo sfarzo e dagli eccessi. Eppure non vi si conduce una vita umana fino in fondo, poiché a poco a poco ci si rende conto dell'assenza delle donne. E le tetre pareti dietro cui vengono rinchiuse sono una vista malinconica. I ritratti, le aggraziate immagini che adornano anche le nostre dimore più povere costituiscono un genere di cose che nella rozza visione maomettana dell'austerità sono considerate una vanità.

Le donne non c'erano allora, e non ci sono perlopiù neanche oggi. I casi di modernità sono rari, possono accadere nelle grandi città ma non in tutta la nazione poiché fuori dalle grandi città, dove non c'è più l'esigenza di mostrare al turismo che le cose sono cambiate, le cose appunto non sono cambiate. Sono rimasto male in Egitto, appena uscito dal Cairo che è abbastanza modernizzato, di trovare subito non solo il velo ma proprio il Niqab e la grata sulla finestra della cucina da sotto la quale le donne passano i piatti agli uomini che servono ai tavoli dei ristoranti. La vita è triste senza le donne, senza il loro chiacchericcio, senza la loro passeggiata morbida per le strade. Le donne da loro non ci sono, sono segregate in casa e, anche in casa, hanno i loro spazi oltre i quali non possono andare. Le case stesse ne riflettono l'assenza poiché, a guardare una casa nei nostri territori, si vede già da subito, da fuori in giardino, la presenza delle donne: fiori, piante, aiuole, vasi, attrezzi da giardinaggio, vestiti ad asciugare, e poi entrati vasi, quadri, pizzi e merletti, ecco questi tipici femminili ninnoli d'arredamento là non possono esserci. Non può esserci la donna, né i suoi segni.