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Tatuaggi parte 3: la sfida

Categoria: RACCONTI

KEYWORDS: personale | tatuaggi |
Inserito in DATA: 03/07/2012 | Vai ai COMMENTI
Con questo tatuaggio ho osato. Ho osato parecchio. 
Dopo il primo, mi ero reso conto di essere entrato in un circolo vizioso. Da quel giorno in poi non ho più in mente altro che riempirmi il corpo. 
Il tatuaggio per me è... come dire. Bo, come una toppa. Sai, quando vai da qualche parte, e per ricordo ti compri la toppa, o l'adesivo, del posto. Mi comprenderanno meglio i motociclisti. 
E' che, comunque, la toppa comunque ricorda l'evento nei suoi contenuti: invece i miei tatuaggi, se guardati e basta, non c'entra proprio un cazzo con il motivo. Che poi, spesso, un motivo chiaro e tondo, un evento vero e proprio, non c'è.
Bon, insomma, capitemi cazzo.
Non sono opere, non sono rappresentazioni, non sono significati: sono rituali. Non è il tatuaggio, di per sé, ad essere importante, ma il tatuarsi è il significato!
E' per questo che i miei tatuaggi non seguono per nulla uno schema complessivo: non è che ne faccio uno qui, uno là, che poi unirò assieme. Io mi faccio un tatuaggio per volta, a seconda dell'occasione, di solito ci sono momenti particolari che mi portano a fare un tatuaggio, ma non sempre il soggetto del tatuaggio è legato a quel particolare evento. 
Ad esempio: il mio tatuaggio dello scorpione rappresenta appunto uno scorpione per via di quella storia già raccontata. Tuttavia, la storia è in realtà, nel complesso, è legata al motivo per cui mi sono tatuato, non lo scorpione in sé. E qual è il motivo? E che ve ne fotte a voi? 
E' per questo motivo, ad esempio, che quando mi viene l'idea di farmi un tatuaggio devo farlo subito! 
Ci sono tatuatori che ti mettono l'appuntamento a un mese, due, sei mesi di distanza... Non potrei mai essere loro cliente. 
Con questo terzo tatuaggio, invece, passavo attraverso un momento particolare della mia vita: avevo una morosa, della quale ero perdutamente innamorato. Lei voleva farsi il suo primo tatuaggio. Io invece, poiché mi sentivo finalmente "a posto", in ordine col mondo, mi sentivo sicuro, felice, volevo fare qualcosa di nuovo, qualcosa che mi caratterizzasse in maniera nuova. Quindi un tatuaggio ben visibile era un marchio indiscutibile, andava controcorrente a farsi i tatuaggi in posti perlopiù nascosti. 
Era un segno di passaggio, a tutti gli effetti. 
Anche la scelta del tatuatore era emblematica: non è uno di quelli mtici che fanno tutto perfetto. Anzi, il suo stile artistico è piuttosto impreciso e sporco: ma questa è la sua caratteristica. Sarà una scusa? Non lo so, ma non penso neanche, perché l'ho visto fare cose precise ed è molto bravo. 
Lui condivide la mia visione del tatuaggio: il tatuaggio come marchio di un preciso e definitivo momento della vita. 
Sotto questo aspetto, il tatuaggio diventa molto simile a ciò che era per le antiche popolazioni: una specie di medicamento magico. 
Vi racconto un aneddoto: quando ti fanno un tatuaggio, il tatuatore ti parla molto dell'arte che lui rappresenta, dell'underground, degli alternativi, e via dicendo. 
A me di 'ste cose non frega invece un cazzo. 
Inoltre i tatuatori sono molto interessati a come viene fuori il tatuaggio subito dopo averlo fatto: per cui, magari, usano sfumature di bianco che lo rendono si perfetto, ma che dopo un anno sono già scomparse. 
Mettono anche molta attenzione alla cura: ti dicono di non prendere il sole per un mese, di riempirti di crema e non lavarti, ti riempiono di carta domopak... Poi, ovviamente, ogni tatuatore ha la sua teoria: c'è chi ti dice di lavarlo, chi ti dice di non lavarlo, chi ti consiglia una crema, chi un'altra. 
E ciascuno, sicuramente, avrà le sue certezze inconfutabili e ti criticherà gli altri tatuatori. 
Il mio tatuatore invece è ben diverso: quando gli ho fatto fare questo tatuaggio, un tribale polinesiano (il triangolo sta per l'isola, le linee le capanne, i seghettati i mari che circondano l'isola, è insomma un tatuaggio di "appartenenza") è stato molto chiaro: "Ma tu pensi che i Maori si mettessero creme, non facessero il bagno, e non prendessero il sole?!?". 
Ecco perché mi piace, perché è, nel complesso, sincero, e non è fichetto. 
Quindi, nel complesso, questo è un tatuaggio di appartenenza: appartenenza alla famiglia, alla propria comunità, ma anche alla propria cultura, ai propri valori, ed il fatto che sia così esposto e visibile è perché questi valori vanno testimoniati, e difesi, con forza. 
Devo ammettere che, comunque, non ho mai visto nessuno infastidito da questo tatuaggio: anzi, molti non lo notano, e molte persone anziane sono persino arrivate a dirmi "Ma questo è bello". 
La sua geometrica semplicità vince. 

Con l'occasione ho anche introdotto mio fratello in questo mondo, creando un mostro...

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