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I FIGLI DEL TEMPO

Adrian Tchaikovsky

Che spettacolo! Erano anni che non leggevo un libro di fantascienza epica come questo. Magnifico. E' il genere che preferisco: approfondimenti tecnici ma non esasperati, anzi, diciamo di stampo letterario; realismo ma senza dimenticarsi che stiamo leggendo un libro di narrativa e non di tecnologia; e soprattutto il mio tema preferito, ovvero l'enormità del tempo che scorre inesorabile e inquantificabile, e l'enormità dello spazio dove ogni cosa, sia un uomo o una stella, è comunque solo un puntino. Maestoso il tema e finalmente trattato da uno scrittore che non ha come prima mira il replicare il cinema d'azione o lo scrivere un libro puntando ad Hollywood. Uno scrittore che vuole celebrare la scrittura e basta. Le prime pagine, con il processo di terraformazione quasi concluso e l'abbandono della dottoressa Kern nelle immensità dello spazio e la fine delle trasmissioni dalla Terra mi ha fatto venire la pelle d'oca, e da lì in poi è stato tutto un crescere.
Certo ci sono sicuramente delle mancanze, ad esempio la cronologia. Non ci sono proprio riferimenti temporali quindi non si riesce mai a capire quanto passa il tempo tra un evento e l'altro. Sarebbe ogni tanto comodo averla, ma alla fine perché? Non serve proprio, perché comunque lo scorrere dei secoli è tangibile a pelle, la cronologia non serve più. E cosa serve in una nave dove le persone vivono secoli grazie a camere criogeniche, o in un pianeta dove una specie di ragno si evolve a velocità impressionante grazie al ricambio genetico continuo e da una mutazione virale impiantata subito prima che la civiltà umana svanisse nel nulla? L'autore lo evita platealmente quando a 3/4 di romanzo Holsten si risveglia e chiede più volte "Quanto tempo è passato" e l'unica risposta che ottiene è "Da quando?".
Certo, c'è qualche problema: siamo sicuri che le funzionalità della ragnatela di un ragno rimarrebbero le stesse con ragni grandi come "un braccio" (i fuggitivi ammutinati al loro primo atterraggio sul pianeta lì misurano così)? Ma ha senso questa domanda? Non ci arrampichiamo noi con lacci di seta per palazzi e canyon, o ci gettiamo da aerei in volo? Vorreste veramente un capitolo in più per una trattazione tecnica della cosa?
C'è anche qualcosa che magari si potrebbe rivedere: i paragrafi sono a volte troppo brevi e lo scrittore sfrutta troppo la tecnica di alternare le storie umani/ragni tra capitoli intrecciati. Così si resta a volte in sospeso con paragrafi inconcludenti per via dei colpi di scena. Tuttavia questi ultimi non sono mai esasperanti, e comunque difficilmente una storia resta eccessivamente in sospeso. Il problema viene comunque risolto con il pregio principale del libro: ti tiene incollato alle pagine!
La qualità principale di questo gioiello sono comunque le sue capacità evocative! Sono immense. Pur mancando una cronologia il peso dell'enorme tempo che scorre si sente eccome e pesa non poco. Le mastodontiche distanze pure. I timori, i problemi, i disagi, storie personali ed evoluzione sociali sono narrati a meraviglia. Pur non essendoci descrizioni in merito, si riesce persino ad avere la sensazione della gigantesca massa della Gilgamesh, questa nave che nel corso di generazioni e generazioni di umani perde sempre più pezzi. Non è praticamente mai descritta se non, e poco, all'inizio del libro, ma la vedrete spesso nella vostra mente in tutta la sua possanza. 
Personalmente il pianeta grigio ammuffito relitto di una terraformazione mai conclusa e abbandonato a millenni di desolazione è uno dei momenti che più ho apprezzato del libro, mi ha fatto accapponare la pelle. L'idea è meravigliosa: un pianeta isolato ricoperto di muffa e spore, dalla uniforme tonalità grigia, con sopra l'atmosfera una stazione spaziale mummificata dal gelo dello spazio in eterna rivoluzione attorno a quel cadavere planetario. Una cosa meravigliosa.
Tutta l'ambientazione è evocata senza necessità di descrizioni particolareggiate o continua azione, segno che ci troviamo di fronte a uno scrittore vero, che non ha bisogno di rapportarsi alla cinematografia. Questo risultato è frutto di una cosa sola: l'attenzione al linguaggio, una cosa oggi sfortunatamente rara a trovarsi ma che molti scrittori ancora difendono strenuamente spesso senza meriti riconosciuti o comunque restando relegati al "proletariato" della letteratura. Ho in mente soprattutto Stephen King che per anni io stesso ho scansato con alterigia "aristocratica" per poi scoprire che per anni ho semplicemente e malauguratamente errato. Tchaicovsky si muove sullo stesso piano narrativo, ovvero non mera descrizione ma evocazione mediante il linguaggio, e questo è forse il merito principale di questo libro.
Se c'è un libro paragonabile a quel gioiello che è il Ciclo della Fondazione di Asimov, è questo. 
Uni rammarico: pensavo si sarebbero visti i resti di Avrana Kern o meglio ancora speravo avremmo assistito al risveglio dal suo millenario sonno.

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  • I figli del tempo (stato: Libro finito )
  • I Figli della Caduta (stato: Libro finito )
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